La Polonia a Milano, nel segno della video-arte. Incontro con Stanislaw Ruksza, giovane curatore che a Careof DOCVA porta cinque diversi artisti, a raccontare come si è evoluto l’immaginario del Paese nel nuovo millennio
Un bombardamento di immagini. Unite nel segno di una cruda e insieme struggente lettura del presente. Sono artisti in senso stretto, ma anche attivisti i cinque nomi arrivati dalla Polonia a Milano, seconda tranche del progetto con cui Careof DOCVA abbraccia la Fondazione Imago Mundi di Cracovia e il Kronika di Bytom, energica piattaforma per […]
Un bombardamento di immagini. Unite nel segno di una cruda e insieme struggente lettura del presente. Sono artisti in senso stretto, ma anche attivisti i cinque nomi arrivati dalla Polonia a Milano, seconda tranche del progetto con cui Careof DOCVA abbraccia la Fondazione Imago Mundi di Cracovia e il Kronika di Bytom, energica piattaforma per le arti contemporanee. Deus ex machina è il giovane curatore Stanislaw Ruksza, che di Kronika è anima e corpo e che porta (fino al 19 luglio) il suo pacchetto di video-artisti in Italia, tessendo un racconto omogeneo di cosa è accaduto – e cosa accade – tra Varsavia e dintorni. A partire dalla cesura tra Anni Novanta e nuovo millennio. “È possibile considerare l’arte come chiave per il cambiamento?” domanda retorica quella che si pone Ruksza, che considera la sua selezione “una scelta sintomatica, che mostra come gli artisti vogliono essere parte del processo di trasformazione e democratizzazione del Paese”. Come? Prendendo di petto le inevitabili mastodontiche contraddizioni che sono emerse dopo il collasso dei regimi sovietici, con l’euforica ebbrezza liberista a presentare il conto in forma di disagio sociale, con il proliferare di fenomeni di difficile soluzione. C’è lo scarto, profondo, tra chi ha vissuto con coscienza quella trasformazione – parliamo degli artisti mid career, come il curatore dell’ultima Biennale di Berlino Artur Zmijewski – e chi invece è arrivato a giochi fatti: “i primi hanno più coscienza del presente e forse sono più pratici, non solo per quanto riguarda il loro essere artisti. Non è un caso se in movimenti affini a quello degli “indignati”, oggi in Polonia, trovi più artisti nati prima del crollo del comunismo che artisti giovani”.
I nodi vengono al pettine. È lo stesso Zmijeski a esorcizzare il grande tabù dell’Olocausto: in The Game of Tag un gruppo di persone completamente nude gioca a prendersi, nella fusione mimetica di una location che passa senza salti apparenti da un anonimo scantinato alla camera a gas di un lager; Katarzyna Gorna accende l’attenzione sull’emancipazione femminile, chiedendo alle sue performer di interpretare ancestrali gesti rituali, comunicazione non verbale che trasmette potenza, maturità, coscienza del proprio ruolo nella società. Il medesimo processo di autodeterminazione che perseguono i soggetti raccontati da Piotr Wysocki, che indugia sulle diverse declinazioni della sessualità. Non mancano tratti comuni, pur nella logica specificità dei diversi autori: su tutti è il corpo ad essere, tanto nella deformità tanto nella sua più limpida poetica, oggetto di indagine e insieme veicolo di trasmissione. L’eccezionale ricorrenza al nudo, mai fine a se stessa e sempre vestita di stupefacente eleganza, è icona di un nucleo di artisti che svela, oltre la metafora, gli irrisolti conflitti della contemporaneità.
– Francesco Sala
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