Il nuovo Broad Museum chi poteva disegnarlo se non Zaha Hadid? Tante foto dal nuovo museo/non-museo appena inaugurato in Michigan
Dopo aver scelto Richard Meier per il Broad Art Center all’Università della California e aver sostenuto la campagna di fundraising della Walt Disney Concert Hall di Frank Gehry, il magnate ha deciso di puntare su un’altra star dell’architettura mondiale, Zaha Hadid. Ed eccolo, l’Eli and Edythe Broad Art Museum appena inaugurato in pompa magna a […]
Dopo aver scelto Richard Meier per il Broad Art Center all’Università della California e aver sostenuto la campagna di fundraising della Walt Disney Concert Hall di Frank Gehry, il magnate ha deciso di puntare su un’altra star dell’architettura mondiale, Zaha Hadid. Ed eccolo, l’Eli and Edythe Broad Art Museum appena inaugurato in pompa magna a East Lansing, nel Michigan: non solo museo, ma anche spazio didattico per il vicino campus universitario che mira così a diventare il nuovo hub culturale della zona. Una scelta rischiosa, questa presa dal businessman originario di Detroit, che potrebbe essere controproducente trasformando l’attenzione mediatica, che la notorietà dell’anglo-irachena porta con sé, in un tonfo.
I musei di Zaha Hadid non sono mai stati troppo apprezzati dagli artisti e dal mondo dell’Arte in genere, che spesso li ha giudicati inadatti a esporre, troppo elaborati e autoreferenziali, irrispettosi e prepotenti. Molto probabilmente perché sono essi stessi opere d’arte più che contenitori, e dal confronto molti uscirebbero sconfitti. Basti pensare alle polemiche che ancora oggi si trascina il Maxxi di Roma apprezzato più quando, alla sua prima apertura al pubblico, era vuoto piuttosto che, ora, completo di opere. Anche se tutti possono apprezzare – per esempio – la forte tensione generata dall’incontro/scontro con Widow di Anish Kapoor, impensabile in qualsiasi altro museo.
Nell’esperimento statunitense l’equilibrio tra arte e architettura resta precario. Un corpo elegante ben ancorato al terreno da cui però cerca di fuggire, con scatti fulminei accentuati dalle pieghe del rivestimento che ne marcano la tensione. Un interno intermittente: muri sbiechi, soffitti discontinui, finestre irregolari e ritagli alternati. Una sistema ben studiato e coerente all’esterno, messo costantemente in crisi all’interno con sovrapposizioni anomale e discontinue di elementi diversi tra loro che lottando esprimono la propria potenza linguistica. Un museo che non ne vuole sapere di essere imprigionato e relegato a mero raccoglitore ed espositore di oggetti d’arte. Sarà la sua fortuna?
– Zaira Magliozzi
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