Venezia Updates: l’architettura? No, piuttosto, l’uomo che verrà. Foto e video dal Padiglione Austria, con il protagonista Wolfgang Tschapeller che dà qualche risposta, e pone qualche domanda…

Non sembrerebbe avere un’attinenza con il “contenuto”, se non come soluzione indirizzata a tamponare la luce naturale, la riduzione ai minimi termini dell’ingresso al Padiglione Austria. All’interno, per effetto di un semplice gioco di specchi, le pareti più estese di ognuna delle due sale principali – ma indipendentemente l’una dall’altra – si rimbalzano delle immagini […]

Non sembrerebbe avere un’attinenza con il “contenuto”, se non come soluzione indirizzata a tamponare la luce naturale, la riduzione ai minimi termini dell’ingresso al Padiglione Austria. All’interno, per effetto di un semplice gioco di specchi, le pareti più estese di ognuna delle due sale principali – ma indipendentemente l’una dall’altra – si rimbalzano delle immagini video, che occupano le intere superfici. Sono animate da strane figure umane digitalizzate: corpi che fluttuano in uno spazio indefinito, a-prospettico, an-architettonico, con i visitatori intrappolati nel mezzo a esplorare il senso di quell’inatteso territorio comune. Declinazione ulteriore del tema generale Common Ground proposto di questa 13. Biennale di Architettura, che passo dopo passo si rivela piena di interesse. L’allestimento del padiglione austriaco si chiama Hands have no tears to flow (Le mani non hanno lacrime da versare), che è il titolo di una poesia di Dylan Thomas citata da Marshall McLuhan.

Creato dall’architetto Wolfgang Tschapeller in collaborazione con Rens Veltman e Martin Perktold, su proposta del commissario Arno Ritter, il lavoro è l’esito di un progetto concettualmente complesso, in cui la sociologia quotidiana (corpi e comportamenti di persone reali) viene proiettata in una dimensione digitale e virtuale per essere studiata, analizzata, modellizzata. Ne deriva un sistema comportamentale ancora più complesso e aperto poiché, grazie a connessioni interattive generate in base all’azione autonoma dei visitatori del padiglione, possono subentrare possibili varianti ad interferire con gli “attori”.
Quindi: “Le identità scivolano da un soggetto a un altro, come il calore scivola in uno scambio termico”, sottolinea Tschapeller, che naturalmente si addentra in questioni ulteriori, come: “È possibile intercambiare le regole dell’architettura dagli edifici ai loro abitanti? Potrebbero questi ultimi assorbire le funzioni degli edifici? Sarà quindi il corpo stesso il vero cantiere, e non più l’edificio?”.

– Franco Veremondi

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Franco Veremondi

Franco Veremondi

Nato a Perugia, residente a Roma; da alcuni anni vive prevalentemente a Vienna. Ha studiato giurisprudenza, quindi filosofia con indirizzo estetico e ha poi conseguito un perfezionamento in Teoretica (filosofia del tempo) presso l’Università Roma Tre. È giornalista pubblicista dal…

Scopri di più