Exposed. Il racconto una notte di dicembre, a Olbia

Un progetto nato come omaggio agli alluvionati della Sardegna. Duecento fotografie affisse abusivamente, in una notte di fine anno, a Olbia. Ma in poche ore tutto viene spazzato via. Il video racconto di quest'avventura, attraverso le immagini e le parole di chi c'era

L’azione si è svolta nella notte fra il 30 e il 31 dicembre, per le strade di Olbia. L’avevamo lanciata qualche ora prima, rispettandone l’anonimato, in quanto esperimento collettivo che abbandonava l’autorialità, in nome della condivisione e della partecipazione. Arte pubblica, guerrilla art,  arte di strada. Exposed voleva essere, semplicemente, un tributo agli alluvionati della Sardegna, ai morti e agli scampati, alle cose disperse, alle famiglie spezzate, alle certezze franate nella foga del fango e della pioggia. Un omaggio in forma di gesto e di visione, catturando grazie alla fotografia i volti di sedici superstiti.
Si erano organizzati a squadre, per raggiungere diverse zone del centro, con un piccolo equipaggiamento: 200 manifesti, colla, scope, macchine fotografiche, videocamere. Attacchini e reporter, insieme, in una lunga notte clandestina, a coprire gli spazi anonimi delle pubblicità con le facce intense di chi, dopo avere perso tutto, aveva ancora una storia da raccontare. Anche solo con gli occhi, nella nudità offerta all’obiettivo.
Exposed era un’azione illegale, come la migliore delle sorprese: da svelare alla città addormentata, alle prime luci dell’alba. Un’azione per la comunità, pensata in chiave comunitaria. In tanti avevano collaborato, donando un piccolo contributo economico oppure partecipando all’organizzazione.

Exposed

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Tutto avvenne come da programma, nel freddo di una corsa furtiva, scandita dall’attesa. Quelle facce, protagoniste di un teatro urbano differente, avrebbero inchiodato tutti alla verità: la vita, la morte, il naufragio, le possibili responsabilità condivise. Colpa del clima? Del cielo? Del riscaldamento globale? O anche colpa di chi, in materia di tutela idrogeologica, di prevenzione, di sicurezza, troppo spesso in Italia non riesce ad arginare la tragedia?
Al mattino del 31 dicembre Olbia si è svegliata, ignara, preparandosi ai festeggiamenti per il Capodanno. Ma quelle facce, già intorno alle 9, non c’erano più. Scatta subito l’allarme tra la piccola famiglia di artisti/attivisti: telefonate, messaggi, domande. E in breve si chiarisce la faccenda. La società municipalizzata, che gestisce gli spazi per le affissioni, aveva tolto tutto, col sorgere del sole. Spazzate via, senza pensarci troppo, le 200 maxi fotografie che avevano invaso Olbia, in un rituale di memoria, di rispetto, di bellezza e di compassione.
Esplode il caos, nel giro di niente. Giornali, tv, social network riprendono la notizia, e il sindaco  di Olbia, Gianni Giovannelli, prova a metterci una pezza, dispiaciuto: “Purtroppo, come avviene in questi happening, i manifesti sono stati affissi in grande numero, coprendo spazi pubblicitari a pagamento, gestiti da una nostra società; la quale, ad insaputa dell’amministrazione comunale, ha rimosso tutto. L’obiettivo i ragazzi lo hanno comunque raggiunto, perché tutta l’Italia ne sta parlando. Nessuna volontà da parte nostra di censurare l’operazione, è stata semplicemente una decisione della società incaricata”.

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La rivendicazione dell’azione, da parte di chi l’aveva progettata, realizzando gli scatti, è avvenuta poco dopo. L’artista Gianluca Vassallo, tra i moltissimi apprezzamenti giunti e qualche (sciocca) accusa di strumentalizzazione, ha sentito di dover replicare, tramutando il dispiacere del fallimento in occasione per una nuova riflessione: “Spero che dopo tutto il trambusto mediatico – che uccide l’opera e le sue intenzioni sociali, badate, non la favorisce – si torni a ragionare di ciò che l’opera propone: il bisogno di uno sguardo su donne e uomini vivi, fatti di carne, che stanno cercando di risollevarsi. Donne e uomini che sono individui, portatori di tragedie singolari e non (solo) un gruppo sociale con problemi omogenei. Individui che hanno bisogno di ascolto e risposte soggettivi”.
Gianluca ha realizzato un video, con i materiali raccolti quella notte: immagini, parole, discussioni, appunti visivi. Lo ha finito di montare in queste ore e ce lo ha consegnato, come testimonianza di un’esperienza intensa e piena di significato. Lo pubblichiamo in anteprima, insieme a una carrellata di foto, per continuare a mettere l’accento sul dato umano e culturale di questa avventura.

Exposed

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E pensando alla maniera in cui le nostre città sono quotidianamente offese da manifesti pubblicitari invasivi, piazzati in mezzo a scorci monumentali, o da locandine elettorali che sbucano come funghi, abusivamente, ci chiediamo – con un filo di retorica – come mai la stessa solerzia messa in campo per cancellare Exposed, non venga sfoggiata dalle amministrazioni locali per cancellare le brutture di centri storici e periferie d’Italia.
Alla fine, la consapevolezza resta una. A toccare davvero, in qualche senso profondo e laterale, sono gli sguardi che bucano, che interrogano, quelli che contengono una storia, e la porgono, e la denunciano, e la tengono viva. Come ogni scatto fatto bene. E così, i volti di Exposed, ancora velati di terrore e di malinconia, agganciano, costringono al ricordo, dischiudono i canali dell’empatia. Tutta roba che pesa. E da cui non ci si salva. Perché l’immagine, quando si fa umana, è sempre portatrice di pericolo, di crisi. Quella crisi che, nelle storie dei superstiti e nel tempo immortale della fotografia, Exposed voleva forse perseguire. Sul filo del racconto, in un’insolita notte di dicembre.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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