“Tutto è computer”. I rischi del tecno-ottimismo

Cosa succede quando la tecnologia diventa religione? E quando questa religione si intreccia al potere? Le vicende sociopolitiche attuali offrono grandi esempi in merito

Wow. Everything’s computer”, ha esclamato Donald Trump durante l’imbarazzante spot per la Tesla che è andato in scena a Washington lo scorso marzo. Entrando in una fiammante automobile rossa, parcheggiata proprio di fronte alla Casa Bianca, il presidente americano ha espresso il suo apprezzamento per le macchine di Elon Musk commentando l’avanzato livello di digitalizzazione dei sistemi di bordo.

“Tutto è computer”. Una frase banale ma efficace

Comprensibilmente, per via della sua ingenuità e della sua traballante costruzione sintattica, la frase è diventata subito un meme, generando migliaia di commenti, parodie e reinterpretazioni. C’è chi ha sottolineato il boomerismo dell’espressione, paragonando il presidente ai propri nonni, e chi ha trasferito le parole sulle labbra di Neo in The Matrix, nel momento in cui si risveglia e capisce che il mondo è una simulazione. Altri, invece, hanno apprezzato l’efficacia e la capacità di sintesi: “è una delle cose più divertenti e vere che siano mai state dette, un sunto accurato del 21esimo secolo”, ha scritto l’utente Cosmic Slop su X in un post che ha accumulato oltre un milione di visualizzazioni e migliaia di condivisioni. Un altro utente, Aryan Singh, ironizza intelligentemente nei commenti: “è una riflessione su come il calcolo sia alla base di tutto, dalla biologia alla fisica. Le cellule elaborano informazioni, l’universo segue regole matematiche, e l’intelligenza artificiale è solo l’ultimo passo in questa grande equazione”.

Elon Musk e Donald Trump
Elon Musk e Donald Trump

Tecno-ottimismo e tecno-capitalismo

Battute a parte, vale la pena di analizzare l’espressione per estrarne il vero cuore concettuale, la radice ideologica profonda. La frase, infatti, non va letta come una considerazione sulla pervasività della tecnologia, come alcuni hanno fatto, quanto piuttosto come il perfetto slogan tecno-ottimista. Wow, tutto è computer è la versione compressa e memabile del Techno-Optimist Manifesto, pubblicato online nel 2023 da Marc Andreessen, uno degli imprenditori più ricchi e influenti della Silicon Valley. Nel lungo e appassionato documento, Andreessen esprime una fede cieca e incrollabile nel progresso tecnico, da lui considerato l’unico mezzo per raggiungere il benessere e migliorare la società.
In uno dei passaggi più significativi, si legge: “crediamo che non esista un problema materiale – sia esso creato dalla natura o dalla tecnologia – che non possa essere risolto creando ancora più tecnologia”. Seguendo questa logica – o meglio, questa religione – più cose diventano computer, meglio è. La sola presenza di un sistema digitale, possibilmente il più avanzato a disposizione, basta a certificare la qualità e l’importanza di un progetto, che si tratti di un’impresa, un’applicazione per smartphone, un prodotto da mettere sul mercato oppure un programma politico. La tecnologia crea problemi – lo stesso Andreessen lo ammette in più punti – ma non importa, perché basta guardare avanti e trovare un’altra tecnologia che sia in grado di risolverli. Il loop è progettato per andare avanti all’infinito: la macchina tecno-capitalista, secondo questa teoria, crea e risolve problemi a ciclo continuo, puntando verso “l’infinito e oltre”, per citare Buzz Lightyear.

Il tecno-ottimismo e i suoi illustri predecessori e detrattori

Il manifesto del tecno-ottimismo si chiude con una lunga lista di “santi protettori”, figure scelte arbitrariamente dall’autore tra i personaggi storici che, secondo lui, avrebbero ispirato la sua visione, oppure sostenuto simili ideologie. Tra loro, prevedibilmente, c’è anche Filippo Tommaso Marinetti, il maggiore produttore di manifesti pro-tecnica che la storia conosca, fermo sostenitore del nuovo a ogni costo. Se vogliamo combattere a suon di manifesti, possiamo contrapporre a questa visione, ingenua e pericolosa, quella espressa in un altro manifesto, quello del “Macchinismo”, scritto da Bruno Munari nel 1938. L’artista e designer milanese, che negli anni giovanili aveva brevemente aderito al movimento futurista, comprese ben presto le insidie connesse all’idolatria della tecnica. Non solo si mise a costruire una serie di “macchine inutili”, oggetti che “non fabbricano, non eliminano manodopera, non fanno economizzare tempo e denaro, non producono niente di commerciabile”, ma cercò di posizionare la figura dell’artista nel mondo tecnologizzato in modo radicalmente diverso. Rivendicando il diritto e la necessità di stare nel presente, e la libertà di usare la tecnologia, rifiutando però, al contempo, di diventarne schiavi.

Le parole di Bruno Munari

Mentre tutto “diventa computer”, e il tecno-ottimismo prolifera in ogni dove, vale la pena di rileggere le sue parole: “Le macchine si moltiplicano più rapidamente degli uomini, quasi come gli insetti più prolifici; già ci costringono ad occuparci di loro, a perdere molto tempo per le loro cure, ci hanno viziati, dobbiamo tenerle pulite, dar loro da mangiare e da riposare, visitarle continuamente, non far loro mai mancar nulla. Fra pochi anni saremo i loro piccoli schiavi. Gli artisti sono i soli che possono salvare l’umanità da questo pericolo. Gli artisti devono interessarsi delle macchine, abbandonare i romantici pennelli, la polverosa tavolozza, la tela e il telaio; devono cominciare a conoscere l’anatomia meccanica, il linguaggio meccanico, capire la natura delle macchine, distrarle facendole funzionare in modo irregolare, creare opere d’arte con le stesse macchine, con i loro stessi mezzi.”

Valentina Tanni

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Valentina Tanni

Valentina Tanni

Valentina Tanni è storica dell’arte, curatrice e docente; la sua ricerca è incentrata sul rapporto tra arte e tecnologia, con particolare attenzione alle culture del web. Insegna Digital Art al Politecnico di Milano e Culture Digitali alla Naba – Nuova…

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