
In un’epoca in cui la sovrapproduzione e l’iperconsumo saturano il mondo della moda, l’eco-styling, ovvero: lo styling contemporaneo – sostenibile e consapevole – è una pratica sempre più diffusa. Non un esercizio di estetica fine a sé stesso, volto ad abbinare solo abiti e accessori a trucco e parrucco, ma una forma di riconfigurazione creativa del guardaroba. Non richiede nuovi acquisti, ma uno sguardo nuovo su ciò che già possediamo. Significa riappropriarsi dei propri abiti: reinterpretarli, riscoprirli, modificarli, ma anche scambiarli o venderli. Ogni capo torna a essere – come da sua natura – un oggetto vivo, trasformabile, capace di moltiplicarsi in combinazioni potenzialmente infinite – tante quante ne sappiamo immaginare. Il modo in cui un abito viene combinato, stratificato o persino sovvertito nel suo uso originario dice qualcosa su chi lo sceglie. Al centro non c’è più l’oggetto da possedere, ma il gesto di chi lo indossa e il modo in cui decide di farlo. È un linguaggio visivo che interpreta l’unicità, l’autonomia e la bellezza soggettiva di chi lo pratica.

Il significato dell’eco-styling
Oggi, preservare la bellezza significa dare valore proprio all’unicità. In un contesto dominato dall’omologazione dei social, dalla velocità produttiva e dall’accumulo compulsivo, la bellezza si manifesta nel prendersi cura dei materiali come delle narrazioni che attraversano i tessuti, delle mani che li hanno creati, delle menti che li hanno ideati e delle storie di chi li ha indossati prima di noi. È una bellezza che non si misura nella novità, ma nella profondità. Lo styling consapevole invita allora a un cambio di prospettiva in un mondo che ci abitua a cercare la bellezza altrove, fuori di noi – nei modelli irraggiungibili, nella ‘perfezione’ da replicare. Fare o seguire pratiche di styling ci spinge a rivolgere lo sguardo verso di noi. Così ogni combinazione diventa una dichiarazione di indipendenza dai canoni imposti, un esercizio quotidiano di auto-rappresentazione critica. È questo, in fondo, uno dei ruoli fondamentali del vestire: esprimere sé stessi, dando forma – ogni giorno – a un’estetica personale, fluida, in divenire. Un approccio che prende forma attraverso esperienze eterogenee, capaci di intrecciare tecnologia, cura artigianale e trasformazione personale. Tre esempi affini nell’intento lo raccontano bene.
Look @ The Label, la app di eco-styling come personalizzazione della moda
La styling app incentrata sulle forme del proprio corpo è uno strumento digitale che invita a riconsiderare il proprio stile non come adesione a una norma prestabilita, ma come esplorazione personale. L’app si basa su tre passaggi – misurare le proprie forme, caricare i propri abiti, creare i propri outfit – attraverso cui valorizzare i capi del proprio guardaroba in relazione alla nostra forma fisica e al nostro quotidiano. L’obiettivo non è costruire il guardaroba ideale, ma scoprire possibilità nuove dentro quello reale. Ideata da Jennifer von Walderdorff, l’app include anche percorsi di coaching, valutazioni personalizzate e consulenze di stile: dispositivi che, invece di suggerire cosa acquistare, aiutano a capire cosa già parla di noi.

Sophie Strauss, lo styling inclusivo (e quindi eco) per antonomasia
Styling per persone reali. Con base a Los Angeles, Sophie Strauss propone un’idea di styling radicalmente inclusiva, pensata per chi spesso si sente escluso dalle estetiche dominanti. Il suo lavoro si rivolge a chi vive un cambiamento – di corpo, identità, lavoro, vita – e desidera ristabilire una relazione sensata e sensibile con il proprio guardaroba. I capi vengono riconsiderati e adattati e lo spazio dell’armadio si trasforma in terreno di rielaborazione. Le sue consulenze – anche a distanza – si accompagnano a corsi, handbooks, wedding styling e sessioni di “closet clean-out”, dove l’atto del selezionare diventa pratica di cura. Non si tratta di cosa indossare, ma di come utilizzare ciò che si ha, ogni giorno, in modo più consapevole.

The Seam, quando l’eco-styling diventa evoluzione
Riparare per prolungare il senso delle cose. The Seam è una piattaforma nata nel Regno Unito per facilitare l’incontro tra persone e artigiani del riparo. Dall’aggiustare una zip al ricostruire un maglione, dal rinnovare una borsa al sistemare un orlo, ogni intervento diventa parte di una narrazione materiale che non elimina le tracce del tempo, ma le integra. Non si tratta di tornare allo stato originario del capo, ma di accompagnarne l’evoluzione. La riparazione si configura così come una pratica di styling a tutti gli effetti: creativa, intenzionale, affettiva. Restituisce valore a ciò che già possediamo e sposta il desiderio dall’acquisto alla cura per ciò che amiamo.

Il valore dell’eco-styling come atto di cura e resistenza
L’eco-styling non è una questione meramente estetica, è un atto di cura e di resistenza, una pratica che restituisce potere a chi indossa e non solo a chi produce. Una bellezza silenziosa, che non grida, ma che si rivela nelle pieghe dell’intenzionalità, nella capacità di vedere – e far vedere – ciò che già esiste sotto una nuova luce.
Margherita Cuccia
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