
Non è un periodo facile per il sistema moda: la crescita dei fatturati sembra un sogno lontano, gli scarsi risultati portano a mettere in dubbio le figure che dirigono i brand (creativamente e finanziariamente), le certezze traballano di pari passo al coraggio di osare. A rigor di logica, ciò porterebbe a un appiattimento — come in alcuni casi sta accadendo — ma la Milano Fashion Week primavera estate 2026 ha dimostrato che la speranza dev’essere sempre l’ultima a morire.

Versace by Dario Vitale
Soprattutto se l’interesse si rianima per i tanti debutti programmati per questa edizione. Dario Vitale ha rianimato Versace proponendo abiti e accessori che ricreano l’autentico stile anni ‘80 della Maison della Medusa, quello che risale ai primi anni di Gianni nel settore, autentico e a tratti acerbo come non è mai stato. E, dunque, abilissimo nel leggere le necessità del tempo e tradurle in moda desiderabile perché sexy, gioiosa, massimalista ma non troppo, lussuosa. Vitale è il nuovo archeologico del fashion, capace di rendere attuale e dannatamente bello il modo di vestirsi che si usava quarant’anni fa.

Jil Sander by Simone Bellotti e Bottega Veneta by Louise Trotter
Simone Bellotti ha invece dimostrato che il minimalismo di Jil Sander è tutto fuorché noioso. E Louise Trotter da Bottega Veneta che esistono più strade percorribili. C’è ancora spazio per la semplicità ma si può proporre in una varietà di modi: replicando l’essenzialità “gelida” del passato (come Bellotti) ma personalizzandolo a suon di tagli, cuciture e sovrapposizioni, o lavorando senza sosta sulla ricerca dei tessuti (come Trotter) per una moda materica quanto sperimentale. Ne risulta un’arte del vestire prevedibile e al contempo rinnovata, che genera comunque curiosità in chi adesso vede qualcosa di nuovo.

Demna by Gucci
Mancava poi la spettacolarità di Demna. Solo lui poteva sostituire una sfilata con un evento privato che somigliava a un red carpet dove la sua prima collezione per il brand veniva indossata da modelli e modelle. Mentre loro interpretavano le star hollywoodiane, giocando però con i cliché italiani — dalla sciura al cocco di mamma, come sono stati nominati i look —, nessuno ha potuto evitare tale evento sul web. Foto, video, commenti, interazioni, articoli giornalistici hanno fatto rimbalzare la presentazione da una parte all’altra, ribadendo il genio creativo di Demna che vede Gucci a metà tra gli anni ‘90 e 2000, con l’aggiunta del gusto contemporaneo. E tanta, ma tanta, ironia.
L’ultimo Giorgio Armani
Ma non c’è debutto creativo che tenga alla grandezza di Giorgio Armani. Dopo la scomparsa giovedì 4 settembre, si è pensato a lungo su come sarebbe stata l’ultima collezione disegnata dal re dell’eleganza italiana, su come il marchio avrebbe onorato il suo fondatore. La risposta è arrivata l’ultima sera della Milano Fashion Week: con uno show sotto i portici della Pinacoteca di Brera, composto da decine di look (womenswear e menswear) e animato dalla musica live di Ludovico Einaudi, in mezzo alle lanterne presenti alla camera ardente dello stilista. Una celebrazione già programmata sotto ogni minimo dettaglio dallo stesso signor Armani, perché sarebbe dovuto essere la celebrazione dei 50 anni dell’azienda. Invece, è stata anche l’occasione per salutare colui che ha plasmato il Made in Italy e l’immaginario dell’eleganza italiana. Il suo stile, detto armaniano, era nell’aria, e con questo show si è chiuso un capitolo. Who’s next? Chi sarà il prossimo — a diventare come lui e a rendere la moda qualcosa per tutti, anche solo per l’interesse che sapeva generare?
Giulio Solfrizzi
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