
Lungo la suggestiva Riviera del Brenta, le porte di Villa Pisani (Stra, Venezia) si spalancano per accogliere La forza del colore, mostra che celebra fino al 2 novembre 2025 il viaggio creativo di Roberto Capucci, uno dei pionieri della moda italiana del Novecento. Curata da Enrico Minio Capucci, Paolo Alvise Capucci e Francesco Trentini, l’esposizione riunisce venti abiti iconici, affiancati da oltre settanta disegni, schizzi e fotografie d’epoca, restituendo un percorso estetico e concettuale che attraversa oltre cinquant’anni di sperimentazione tra arte e sartorialità.
La carriera di Roberto Capucci
Roberto Capucci apre il suo primo atelier a Roma nel 1950, sostenuto dalla giornalista Maria Foschini, che lo introduce al marchese Giorgini, imprenditore fiorentino noto per aver organizzato la prima sfilata della moda italiana nel febbraio del 1951. L’anno successivo, Giorgini propone a Capucci di partecipare alla seconda edizione. Ma per non urtare la sensibilità dei grandi nomi — come Emilio Schuberth, che minaccia di disertare qualora sfilassero anche giovani emergenti — cambia strategia: gli commissiona trenta abiti da presentare durante il ballo di chiusura. Il successo è immediato: i capi vengono venduti nel giro di poche ore. Da quel momento, la presenza di Capucci nel calendario delle sfilate diventa imprescindibile. Poi si trasferisce a Parigi, da cui torna nel 1968, un momento di grande fermento culturale e creativo. Dopo gli anni parigini, entra nel calendario della Camera Nazionale dell’Alta Moda con collezioni radicali, frutto di una ricerca continua. Nei primi anni Settanta le sue modelle sfilano senza trucco, con i capelli al naturale e gli stivali rasoterra, in un’atmosfera che evoca una nuova spiritualità. L’esotico è sempre più deciso nella sua produzione: dai colori intensi alle silhouette ispirate agli abiti tradizionali, tutto si traduce in mini abiti, tuniche dritte e shorts che fondono rigore architettonico e leggerezza esotica.
L’alta moda di Roberto Capucci
Infatti, forme scultoree, geometrie audaci e fiammate di colore trasformano le stanze della villa settecentesca di Stra in un palcoscenico dove l’abito si fa arte. Per Capucci, infatti, il vestito è molto più di un capo da indossare: è espressione artistica e culturale, capace di attraversare il tempo e abbattere gli stereotipi. Le sue creazioni sono vere e proprie sculture da indossare, opere assolute che parlano un linguaggio universale fatto di bellezza, ricerca e visione.
La mostra su Roberto Capucci
Nelle tre sale espositive del piano terreno di Villa Pisani, i tessuti sembrano sollevarsi e dilatarsi, prendendo vita e sfidando la gravità. Le creazioni di Capucci, che a dicembre compirà 95 anni, sono la sintesi perfetta tra l’eleganza effimera della moda e la fermezza solenne dell’architettura. In questo dialogo visivo e materico con la maestosità del luogo, gli abiti si trasformano in culture generatrici di spazio: attivano dinamismi cromatici, riplasmano gli ambienti e si fondono con affreschi, stucchi e prospettive barocche in un contrappunto armonioso. Un incontro poetico tra creatività sartoriale e grande pittura che trova il suo apice nell’abito da nozze ispirato ai colori del Tiepolo, posto al centro del grande Salone da Ballo, dove si misura con la pittura settecentesca in un silenzioso gioco di rimandi.
Il colore per Roberto Capucci
Tra forme architettoniche e volumi scultorei, è il colore a dominare, dosato con la sensibilità di un pittore. Capucci, che si è sempre definito più sarto che stilista, aveva inizialmente immaginato per sé un futuro da artista o architetto, e proprio al liceo artistico iniziò a coltivare quella profonda sensibilità cromatica destinata a diventare il segno distintivo del suo lavoro. Ogni stanza di Villa Pisani è dunque dedicata a un colore che ha avuto per lui un significato profondo. Il verde, simbolo di una natura ora misteriosa ora sorprendente, anima l’abito Bougainville del 1989 e Diaspro del 1995, entrambi realizzati in taffetà plissettato e declinati in una gamma di sfumature cangianti, spesso in contrasto con il viola. Il blu, evocazione della profondità del mare e del cielo, avvolge le sculture in taffetà plissettato, come Oceano del 1998: un capolavoro composto da oltre ventisette sfumature distese su trecento metri di seta. infine il rosso, da sempre associato all’amore, alla passione e alla forza primordiale, si sprigiona in alcune delle creazioni più iconiche, come l’abito Nove Gonne, realizzato in taffetà di seta per l’autunno-inverno 1956/57. Intenso e vibrante, è ispirato ai cerchi concentrici che l’acqua disegna quando viene sfiorata da un sasso: un capolavoro del passato, recentemente riportato alla ribalta nella quarta stagione di Emily in Paris, seppur reinterpretato con pantaloni capri al posto della gonna e indossato dalla protagonista Lily Collins.

Le clienti di Roberto Capucci
Pensare che Roberto Capucci si sia distinto solo per l’uso del colore o per le forme scultoree sarebbe riduttivo. La sua visione era guidata da un’indipendenza assoluta, impermeabile alle mode e ai condizionamenti esterni. Ripeteva spesso, come un mantra, una frase di Schiller: “Piacere a tutti? Un errore. Meglio deliziare i pochi”. Eppure, quei “pochi” furono in realtà moltissimi. A cominciare dalle celebri capuccine, clienti fedeli e affezionate, tra cui attrici del calibro di Gloria Swanson e Marilyn Monroe, fino a figure di spicco come Rita Levi Montalcini. Per lei, nel 1986, Capucci realizzò un abito in velluto viola scuro ispirato ai colori di Caravaggio, indossato per ritirare il Premio Nobel per la medicina. Ma la sua musa assoluta fu Silvana Mangano, per la quale disegnò i costumi del film Teorema di Pier Paolo Pasolini: un incontro tra arte, cinema e alta moda che resta uno dei vertici della sua produzione più intensa e ispirata.
La rivoluzione di Roberto Capucci
Un’altra vera rivoluzione, che ha affrancato Capucci dal sistema moda più istituzionale, è stata la scelta radicale – compiuta negli anni Ottanta – di sottrarsi ai calendari imposti, alle stagioni obbligate, ai ritmi frenetici dell’industria. Decide di presentare le sue collezioni come personali d’artista, fuori da ogni schema, in giro per il mondo. La sua alta moda, sospesa tra sogno e materia, tra artigianalità assoluta e invenzione poetica, trova così nuove vie per emozionare. Raggiunge occhi diversi, cuori inaspettati – non più solo le sue celebri estimatrici, ma anche nuovi sguardi pronti a lasciarsi incantare.
Marta Melini
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