Fashion Week: il Moschino di Adrian Appiolaza ritorna ad un’irriverenza Anni ‘80 e ‘90 

Il nuovo Moschino è un tuffo nel passato irriverente del brand. Ma finalmente è tornato ad essere ciò che non era da tempo: satirico. Ecco il racconto del debutto del nuovo direttore creativo

Moschino è tornato al linguaggio del fondatore Franco e del suo braccio destro Rossella Jardini, stilista ancora troppo poco ricordata nel racconto del marchio. Dopo l’arrivederci del direttore creativo Jeremy Scott e la prematura morte di Davide Renne, che sarebbe stato il suo successore, l’ironia non sembrava più parte di un progetto diventato di successo per questa e per l’irriverenza nel rappresentare la società senza alcuno sconto verso il consumismo o l’apparenza. Ma il nuovo creative director Adrian Appiolaza ha rassicurato tutti: la satira è qui con noi. E non è sottile come può sembrare a primo impatto dalla collezione autunno inverno 2024-25 del brand.

Il Moschino di Adrian Appiolaza
Courtesy of Moschino

La collezione autunno inverno 2024-25 di Moschino

Il debutto del nuovo stilista è infatti esplicito sin dal primo look: una donna sfila nuda in tacchi a spillo rossi, avvolta solo da un tradizionale trench mentre le cade dal collo una collana di perle e mantiene con la mano sinistra, coperta da un ricco guanto, una composizione che altro non è che una busta della spesa traboccante di verdura e pane. Chi mai si vestirebbe così per andare ad acquistare il cibo? I borghesi, ironici senza impegnarsi nel farlo. Poi è un susseguirsi di camicie che diventano turbanti, di cravatte che si modellano per formare top, di occhiali da vista appesi a collane su camicie del marito o dell’amante il cui unico prolungamento sono le parigine velate, e di bretelle e pizzi stampati su gonne come se cadessero svelando la parte intima di chi nasconde qualcosa di sensuale sotto un innocuo maglioncino.

Courtesy of Moschino
Courtesy of Moschino

Le provocazioni Anni ‘80 e ‘90 del nuovo Moschino

Tutto, cosa di più e cosa di meno, riconduce al punto interrogativo presente su alcuni capaci della collezione e ci fa dubitare di come abbiamo sempre visto e indossato gli abiti. Quindi è anche un mettere in dubbio ciò che ci circonda e ciò che la società ci ha trasmesso, perché la nostra conoscenza (e anche il modo di vestirsi) è un terreno comune ottenuto dai saperi degli antenati o banalmente di coloro che ci hanno preceduto nel tempo. Così, in pochi look, l’eleganza italiana non è più sicura come i grandi brand del lusso sono soliti credere in un momento di crisi economica e umanitaria come questo. Però, a perdere valore agli occhi dello spettatore sono anche i messaggi di pace pronunciati da chi si avvolge nelle perle, quindi nel lusso, ed è lontano chilometri dagli abitanti di terre martoriate e ancora di più da chi sta in silenzio o acconsente alla guerra e a qualcos’altro: “Peace Pearls” è infatti il motto ricamato su una maxi T-shirt sovrapposta a delle balze che la rendono visivamente un abito. E solo poco prima sfilava un completo che potrebbe ricordare quelli in Tweed delle signore dell’alta società, ma che in realtà viene abbinato ad un jeans e ad una borsa-panino. Insomma, un’eresia per le signore sedute in salotti che si trasformano in mura impermeabili. E queste sì che sono provocazioni firmate Moschino, quasi dallo stesso Franco la cui presenza è inevitabilmente sentita ma che forse nelle prossime stagioni Appiolaza riuscirà a depotenziare. Sempre nel rispetto del passato del marchio e del suo futuro che non può affidarsi solo ad un’irriverenza Anni ‘80 e ‘90.

Giulio Solfrizzi 

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Giulio Solfrizzi

Giulio Solfrizzi

Barese trapiantato a Milano, da sempre ammaliato dall’arte del vestire e del sapersi vestire. Successivamente appassionato di arte a tutto tondo, perseguendo il motto “l’arte per l’arte”. Studente, giornalista di moda e costume, ma anche esperto di comunicazione in crescita.

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