Tra moda e cinema. Storia della mitica Sartoria Tirelli di Roma

La Sartoria Tirelli è un’istituzione per il mondo del cinema. Oggi Dino Trappetti la porta avanti, svelando ad Artribune il progetto che l’avrebbe resa un museo 

Dino Trappetti ha ricevuto a giugno 2023 un’onorificenza alla carriera da parte della Camera dei Deputati. Socio sin dagli esordi del grande amico e sarto Umberto Tirelli, non ha mai lavorato con lui, occupandosi invece di pubbliche relazioni. Alla scomparsa di Tirelli, nel 1990, Trappetti ne eredita la Sartoria: questa ha fatto la storia del cinema, del teatro e della lirica, interpretando i sogni di registi e costumisti, ed elevando ad arte gli abiti che hanno permesso agli attori di fondersi con l’epoca e con i personaggi che dovevano interpretare. Contribuendo alla vincita di 17 Oscar. Oggi una delle più importanti collezioni di abiti al mondo – 315.000 pezzi, tra cui gli abiti autentici della Regina Margherita e di Carolina Bonaparte – è il risultato anche di una ricerca collezionistica durata tutta la vita: quella di Tirelli, continuata poi da Dino Trappetti.

Intervista a Dino Trappetti

Siamo stati accolti in un clima familiare da Alessandro Trappetti e Laura Nobile, i suoi nipoti. Tirelli viveva addirittura nell’appartamento di fronte alla Sartoria, coltivando una certa intimità con costumisti e allievi. Si può definire un’azienda familiare questa?
Tutto ebbe inizio con l’aiuto di amici fraterni nel 1964. Ero poco più che ventenne e già conoscevo bene Tirelli. Quando volle mettersi in proprio, mi sono offerto di aiutarlo con una quota, ma non ho mai lavorato con lui. Tirelli si fidava totalmente di me, ero il suo socio e amico, poi comprammo anche una casa insieme a Capri e il nostro divenne un rapporto familiare. La familiarità qui si esprime anche nel modo in cui viviamo il lavoro, i rapporti con i collaboratori, le sarte e il fattorino. Antonio, il magazziniere, ormai lo sento come un fratello. Io sono subentrato quando Tirelli, poco prima di morire, mi ha lasciato gran parte della sua quota. 

Lei era da sempre legato alla Sartoria, ma com’è nata l’amicizia con Tirelli?
Frequentavo e amavo molto il teatro. Poi un amico mi portò in una filodrammatica in cui il regista era Andrea Camilleri, non ancora il famoso autore di Montalbano. Io avevo 17 anni e fui subito preso. I costumi li forniva una piccola sartoria, ma quando si decise di produrre La locandiera di Goldoni andammo alla Safas, una sartoria di alto livello. Lì conobbi Tirelli che ne era il direttore. Siamo diventati subito amici e venne a teatro a vederci. Così iniziò la nostra amicizia, e io ebbi la fortuna di conoscere il suo mondo.

Tirelli sembra un personaggio da film! 
Era un fuoco d’artificio – risponde ridendo -, era “inarrestabile” come dice Tosi in un’intervista: lavorava moltissimo ma si divertiva. È stato una presenza indispensabile nella mia vita. Pur di lavorare in teatro, iniziai dal basso facendo il fattorino/tuttofare al Festival di Spoleto del 1965. Solo tre mesi dopo, accompagnando in macchina Giancarlo Menotti a Perugia, mi notò e cambiò la mia vita per sempre. Iniziai con lui a lavorare nelle pubbliche relazioni, che è diventato poi il mio mestiere. Nella vita bisogna essere pronti a fare qualsiasi cosa, nessun lavoro è mai umiliante. Io sono stato fortunato però ho osato, rischiato.

Poi come è proseguita la sua storia? 
Ho lavorato per 15 anni nel top del top della cultura a partire dal Festival dei Due Mondi, facendo esperienze nell’opera, nella musica, nelle arti figurative, nel teatro e nel balletto, lavorando per 7 anni, dal ’72 al ’78, al Festival di Spoleto, furono esperienze multiculturali. Contemporaneamente d’inverno iniziai a lavorare per il grande attore Romolo Valli. E questi due mondi che vivevo finirono per incrociarsi perché Giancarlo Menotti mi obbligò a convincere Romolo Valli a fare il direttore artistico per il Festival dei Due Mondi, così Valli d’inverno era attore e d’estate direttore artistico. Lo fece mirabilmente dando nuova linfa al Festival che sin da quell’epoca era un must assoluto.

Qual è la sua produzione sartoriale preferita fino ad oggi? 
La più grande fu Il Gattopardo di cui Piero Tosi, scelto da Visconti, disegnò i costumi e li fece realizzare da Tirelli, al tempo direttore della sartoria Safas. Fu proprio in questa occasione che Tirelli comprese la possibilità di mettersi in proprio, e così ebbe inizio la Sartoria.

Quella che avete vissuto è stata un’epoca d’oro del cinema e della storia di Roma. Col passare degli anni si può dire che si parli meno di arte e più di budget?
Io seguo e coltivo l’insegnamento appreso da Tirelli il quale, se interessato a qualcosa, la faceva. Per lui era un investimento sul futuro. Una volta il budget per i costumi veniva deciso dal direttore di produzione e condiviso direttamente con la Sartoria, adesso invece il costumista è imprenditore di se stesso: riceve un budget dalla produzione ed è il costumista a pagare la sartoria. Non sempre è facile perché i costumisti pretendono il massimo e chiedono di pagare sempre il minimo, ma questo fa anche parte del gioco. Noi facciamo tutto il possibile affinché il prodotto venga presentato in modo impeccabile. Una buona stoffa, ben tagliata e ben cucita, disegnata da un grande costumista, diventa quella che chiamo “la riserva aurifera dell’azienda”. Qualsiasi cosa per noi è fuori budget però ne vale sempre la pena; i costumi rimangono a noi e abbiamo la possibilità di noleggiarli. 

La vostra collezione funge da ispirazione per gli stessi costumisti? 
I costumisti mettono molto gli occhi sulla collezione. Lo scorso ottobre a Madrid è stata inaugurata una bellissima mostra al Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Picasso & Chanel, dove noi abbiamo partecipato con 15 abiti di un’antica donazione fatta alla Fondazione Tirelli Trappetti, di cui conosco anche l’origine. Il più delle volte sono donazioni di case principesche con cui Tirelli aveva iniziato a stringere rapporti, che ho poi continuato. Questa collezione di abiti Chanel anni ’20 è della principessa Altieri, un’aristocratica romana che comprava vestiti esclusivamente a Parigi. È stato un grande stupore scoprire dalla Casa Chanel, promotrice della mostra, che neanche loro hanno più quegli abiti di cui noi siamo proprietari, perché all’epoca si vendevano anche capi che andavano in sfilata senza conservarne una copia.

Ha mai pensato che la vostra collezione potesse dare vita ad un museo?
Questo è un progetto di cui si è parlato a giugno con l’Onorevole Mollicone quando ho ricevuto il conferimento dell’onorificenza alla carriera dalla Camera dei Deputati, si è parlato della mostra per i 60 anni della Sartoria e di un museo. Io sono d’accordo ed è una esperienza che ho già cercato di portare a termine. A cavallo del secolo, in maniera lungimirante, era nato un progetto con Francesco Rutelli, allora sindaco di Roma, ma poi la location è stata acquistata da altri. Peccato che nel frattempo io avessi fatto restaurare 200 abiti autentici, completamente a nostre spese, per donarli al museo. Per fortuna mi era venuto in mente di inserire nel contratto la clausola modale, ovvero che la donazione sarebbe avvenuta solo a condizione che lo spazio venisse realizzato. Il progetto non si è mai realizzato ma, dopo una causa costosissima durata 12 anni con il comune di Roma, gli abiti sono rimasti in mano alla Sartoria. Oggi sono disponibile a riprendere il progetto, mi piacerebbe gestire esposizioni temporanee in cui il cinema, le serie televisive, il design e gli abiti della nostra collezione siano in costante dialogo e a disposizione di tutti.

Ad esempio?
Nel 2015 Gian Luca Farinelli, presidente della Fondazione Cinema per Roma, organizzò una mostra a Palazzo Braschi, I vestiti dei sogni, e chiese aiuto alle sartorie teatrali: il 60% erano abiti della nostra collezione. La ricerca per quella mostra portò alla luce tante cose, tra cui lo scialle indossato da Francesca Bertini nel film Assunta Spina del 1915, considerato uno dei maggiori successi del cinema muto italiano. Fu Francesca Bertini in persona a regalarlo a Umberto Tirelli. Ed è molto emozionante pensare che quello sia stato l’inizio del cinema. Le persone vogliono vedere queste cose; la mostra ebbe per 3 mesi la fila all’ingresso e i funzionari del museo ci ringraziarono personalmente.

Qui nel suo studio vedo i bozzetti delle collaborazioni della Sartoria con i maestri dell’alta moda, tra cui Karl Lagerfeld, Versace e Valentino. Quanto deve la moda alle suggestioni che vengono dal grande cinema? 
Un esempio è quando, nel 1968, Tosi realizzò per la Caduta degli Dei di Luchino Visconti meravigliosi vestiti in stile anni Trenta, indossati dall’attrice Ingrid Thulin. Ci fu una riscoperta clamorosa di quel decennio, la cui linea ancora oggi non si perde di vista. Il liscio scivolato morbido, con la vita appena segnata, per me è il massimo della femminilità. Succede anche il contrario. Noi abbiamo acquistato la collezione originale degli stampi di Maria Monaci Gallenga, importante stilista degli anni ’20 e ho sempre in serbo l’idea di ridarle vita creando una nuova linea Gallenga. Tirelli molto tempo fa fece una collaborazione di borse Gallenga per Fendi.

Cosa pensa della moda oggi?
Ci sono state annate clamorose in cui la creatività era protagonista. Gli anni ’60 sono solo tre decenni dopo gli anni ’30, eppure ai tempi sembrava parlare della preistoria perché tutto nello stile era cambiato. Invece, se oggi penso agli anni ’90, non mi sembra sia cambiato molto.La moda non ha più identità, si ripete sempre. Io ho amato Chanel fin da ragazzino perché vedere le signore con tailleur al ginocchio e le perle al collo per me è il massimo della femminilità. Adesso mi sembra si sia persa di vista la valorizzazione del corpo: stupire per stupire non è moda – un esempio su tutto sono i jeans strappati appositamente. Secondo me si ritornerà a portare un vestito come si deve, non dico borsetta con guanti, ma tornerà e dipenderà dal cinema.

Quali sono gli altri impegni della Fondazione Tirelli Trappetti per il futuro?
Stiamo collaborando con New York, Tokyo, Londra e Parigi. Stiamo preparando una mostra importante a Roma per il 60esimo della Tirelli in occasione della Festa del Cinema del prossimo anno, organizzata con Gianluca Farinelli e promossa dalla Commissione Cultura della Camera dei Deputati.  

Chi è il fotografo Vittore Buzzi

Autore di fotografia contemporanea e docente ha vinto numerosi premi tra cui: World Press Photo, Premio della Federchimica, Premio della Provincia di Milano, Premio Yann Geffroy. Ha pubblicato sulle principali testate nazionali ed internazionali. Sue immagini sono presenti in collezioni pubbliche e private.

Margherita Cuccia

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Margherita Cuccia

Margherita Cuccia

Textile designer con particolare attenzione alla sostenibilità. Insegna Design del Tessuto, all’Università Iuav di Venezia all’interno del triennio in Moda e Arti Multimediali. Insegna all’Accademia di Costume e Moda di Roma, Merceologia Tessile, all’interno del triennio in Costume e Moda…

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