L’incredibile spazio di Milano dedicato al design compie 10 anni. Un libro sul Nilufar Depot
All’inizio doveva essere un magazzino, quello in Via Lancetti, oggi è molto di più: un luogo in cui si incontrano vintage e design di ricerca e al quale guardare per capire cosa c’è di nuovo in città, progettualmente parlando. Ecco la sua storia
“Ci sono posti che non hai mai trovato, e altri che non ti aspettavi di trovare perché stavi cercando altro”: si apre così, con le parole di Annamaria Sbisà, Nilufar Depot, The First Decade, il libro pubblicato da Nilufar per festeggiare il decimo anniversario della sua succursale in Via Lancetti. E non si tratta di un’esagerazione, o di una frase motivazionale spesa con leggerezza, perché lo spazio di 1500 metri ricavato in un’ex fabbrica di argenteria avrebbe dovuto essere un semplice magazzino destinato a contenere i pezzi accumulati da Nina Yashar in una vita da gallerista e avida collezionista. È diventato, invece, una meta di pellegrinaggio per gli appassionati di design che, soprattutto durante il Fuorisalone (ma non solo), non esitano a spingersi fuori dalle zone più battute per ammirare pezzi storicizzati e progetti contemporanei e spesso radicali, riuniti fianco a fianco in allestimenti memorabili.
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La storia di Nilufar Depot, un teatro per il design
Il luogo, c’è da dire, si presta già da solo a suscitare meraviglia: progettato dall’architetto Massimiliano Locatelli, ricorda un teatro, con un grande palcoscenico centrale sul quale si affacciano delle balconate con ringhiere amovibili per permettere la mobilitazione dei pezzi con dei muletti. La sua inaugurazione risale al 13 aprile 2015 e non fu esente da pathos perché, si racconta, proprio all’ultimo momento Yashar decise di ricavare gli ottanta centimetri che servivano per dare a ciascuno dei palchi la giusta altezza e il giusto respiro dal basso, andando a scavare sotto il pavimento. Nel corso degli anni, il Nilufar Depot si è trasformato di volta in volta in una versione sui generis della scenografia del film Dogville di Lars von Trier – nel 2017, con le strisce di nastro adesivo bianco a delimitare, anziché le case e le strade di una cittadina immaginaria, degli ambienti domestici ideali –, nella Vienna avanguardista – due anni dopo, riproponendo le enormi “bolle” proposte dal collettivo Haus-Rucker-Co nell’allestimento della mostra Far, firmato da Space Caviar –, o ancora in una grande libreria indipendente con volumi d’arte e riviste.

Dieci anni di mostre “da museo” e installazioni visionarie
“Ci sono stati tanti bei momenti, ma alcuni progetti rimangono punti fermi del mio percorso”, spiega la gallerista, in attività dal lontano 1979 quando aprì un primo spazio in via Bigli e debuttò con una mostra sul motivo della rosa nel tappeto influenzata dalle sue origini iraniane e dalla sua storia familiare (suo padre era un commerciante di tappeti persiani). “Sicuramente «Lina Bo Bardi – Giancarlo Palanti, Studio d’Arte Palma», del 2018, è stato un momento di grande responsabilità, perché restituire il giusto spazio storico e curatoriale a due figure centrali del modernismo brasiliano ha richiesto uno sguardo quasi museale, ma anche molta sensibilità. Poi penso a «Silver Lining», la mostra che ha celebrato la scorsa Design Week e i dieci anni del Depot, esplorando il rapporto tra materia e luce. Il progetto è stato realizzato con Fosbury Architecture ed è stato pensato come un omaggio al metallo, ma anche al design radicale degli anni ’70, che sento molto vicino. Anche «Poikilos» degli Objects of Common Interest, presentata nel 2023, è stata una mostra particolarmente significativa. L’installazione era delicata e visionaria, con la capacità di spingersi oltre i linguaggi convenzionali. In generale, questi dieci anni sono stati un percorso di costante trasformazione, che ha reso Nilufar Depot una piattaforma sempre più internazionale, dove oggi la sperimentazione e la curatela convivono in modo organico”.

Nina Yashar e Martino Gamper, un dialogo lungo vent’anni
All’inizio di ottobre, per festeggiare i dieci anni del Depot, Nina Yashar ha chiamato un suo grande amico, Martino Gamper, a effettuare una performance nell’atrio. Il designer altoatesino ha decostruito sotto lo sguardo dei visitatori una serie di arredi mid-Century, tra cui le testiere Positano di Ico Parisi e il letto LT29 di Franco Albini e Franca Helg, e ha riconfigurato i loro pezzi dando vita a nuove opere, con l’aggiunta di pannelli in legno composito. “Ho conosciuto Martino grazie a Ron Arad, che mi parlò di un suo ex studente a Londra che aveva un approccio molto personale al design”, ricorda ancora Yashar. “Andai a vedere il suo lavoro e fu una scoperta davvero speciale per me, soprattutto per la sua capacità di destrutturare e ricomporre forme con una leggerezza solo apparente, quasi rituale. In quegli anni stava portando avanti il progetto «100 Chairs in 100 Days», un’idea che rompeva del tutto le regole del design, sia con gioia che con rigore”. Correva l’anno 2007 e Gamper stava realizzando cento sedie-Frankenstein, una al giorno, assemblando pezzi provenienti da altre sedie di recupero nell’ambito di un’esperienza pionieristica di design circolare. “Quel primo incontro ha dato subito vita a un dialogo creativo molto fluido, che è cresciuto nel tempo. Quando nel 2015 abbiamo inaugurato Nilufar Depot, chiesi proprio a lui di immaginare un intervento che potesse dare una voce forte e non convenzionale a quel nuovo spazio. Per l’occasione realizzò un’installazione site-specific composta da oltre 150 sedute per la cena inaugurale. Un gesto molto potente, che ha segnato l’identità del Depot fin dal primo giorno”.
Nilufar Editions, la galleria diventa editore
Il progetto più recente di Nina Yashar si chiama Nilufar Editions: una propria linea di arredi pensata soprattutto per il contract (cioè la fornitura di arredi completi e personalizzati per un committente), una piattaforma produttiva e curatoriale che mette a sistema le progettualità già presenti “in casa”. “Dopo anni dedicati a pezzi unici ed edizioni limitate, ho sentito l’esigenza di creare una collezione che fosse più strutturata, senza compromessi sul piano della ricerca, dei materiali e della manifattura”, racconta la gallerista. “I designer coinvolti provengono da esperienze molto diverse, ad esempio c’è chi lavora sulla materia, chi sulla memoria, chi su forme più concettuali, come Andrea Mancuso, Filippo Carandini, Lucia Ippolito e David/Nicolas. Il filo conduttore tra tutti è la curatela che consente di costruire una collezione coerente pur nella diversità delle pratiche”.
Giulia Marani
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