EDIT 2025. Un direttore di museo, un architetto e una designer ci raccontano com’è andata la rassegna sul design di Napoli
All’indomani della conclusione di EDIT Napoli 2025 alcuni dei protagonisti ci hanno raccontato dai loro diversi punti di vista com’è andata la fiera che quest’anno ha intrecciato profondamente le proprie trame con la città. Parola a Luigi Gallo, Diego Borrell e Chiara Lionello

Dal 9 al 12 ottobre 2025, Napoli ha accolto una nuova edizione di EDIT, la fiera dedicata al design d’autore. Quest’anno, la manifestazione ha intrecciato le proprie trame con quelle della città, animando luoghi simbolici come Castel Sant’Elmo, la Certosa di San Martino e Villa Floridiana — sedi dei Musei del Vomero — insieme alla Santissima, cuore dell’evento. Tra passato e contemporaneità, EDIT ha attivato un dialogo vivo tra architettura, arte e sperimentazione, trasformando il patrimonio in un campo aperto di confronto. Abbiamo raccolto alcune delle voci di chi, da prospettive diverse, ha dato forma a questa edizione: il direttore dei Musei del Vomero Luigi Gallo, uno dei rappresentanti degli EDIT Cult, l’architetto Diego Borrell in collaborazione con l’azienda campana Ranieri, e la designer Chiara Lionello, giovane espositrice in fiera, nonché vincitrice del premio della giuria.
Intervista a Luigi Gallo, Direttore dei Musei del Vomero e tra gli ideatori di EDIT 2025
Quale significato assume la scelta verso un’apertura ai nuovi linguaggi per i musei del Vomero accogliendo EDIT?
I musei sono spazi vivi: non possono limitarsi a custodire, ma devono dialogare con la società e con ciò che accade attorno. EDIT è un’occasione per far respirare questi luoghi attraverso nuove narrazioni, aprendoli a forme di contaminazione tra passato e contemporaneo. Anche simbolicamente, è un modo per “riaccendere la luce” su spazi che hanno bisogno di essere vissuti e reinterpretati, di tornare a risplendere sia in senso figurato che concreto.
Come si può evitare il rischio che diventino mere scenografie?
Con il buon gusto e l’ascolto. Il contemporaneo, se affrontato con rispetto, non invade ma rinnova. L’arte è sempre stata contemporanea: cambia il linguaggio, non l’intensità. EDIT non trasforma questi luoghi in sfondi, ma li riattiva, offrendo al pubblico nuove chiavi per riscoprirli.
Qual è, secondo lei, la responsabilità di un museo pubblico nel mantenere un equilibrio tra sperimentazione contemporanea e rigore istituzionale?
La responsabilità è etica e morale: custodire e al tempo stesso trasmettere. Ogni direttore è un gestore temporaneo di un bene comune, che va rispettato, reinterpretato e proiettato nel futuro. La sperimentazione, se ben mediata, è parte di questa missione.









Intervista a Diego Borrell x Ranieri, rappresentante degli EDIT Cult
Parlaci del tuo lavoro
Sono un architetto, ma per me l’architettura non serve solo a costruire edifici: è uno strumento per costruire idee, per dare forma a parole e spazi immaginari. Mi interessa ciò che non può essere edificato, ma solo pensato. Il mio lavoro oscilla sempre tra arte e ricerca: mi piace pensare che ogni casa nasca da un paesaggio, così come comprendere la nostra relazione con il mondo. Non faccio architettura per pura funzionalità: credo che sia una forma d’arte che debba sempre spingersi verso il limite.
Cosa ti ha ispirato a Napoli per il progetto presentato a EDIT?
Napoli, come Città del Messico, è una città di strati: vulcani, mare, storia, suoni, balconi, tessuti, odori. È un linguaggio fatto di segni, una poesia in trasformazione. Camminando qui ho sentito la presenza di tempi diversi, come se ogni elemento – un arco, una colonna, una maschera – fosse una parola di un poema. Da questa complessità sono nate le torri e i tavoli esposte a Castel Sant’Elmo: non mobili, ma osservatori, architetture immaginarie che raccolgono frammenti di Napoli e li trasformano in paesaggi metafisici. Non ho voluto raccontare la città, non era possibile nei tre giorni di sopralluogo, ma evocarla, come parole lasciate sospese nell’aria.
Qual è la parte più funzionale di questo progetto?
Immagino che, dopo la fiera, queste torri e tavoli possano abitare un giardino, diventare luoghi di contemplazione, superfici dove fermarsi e osservare. È un invito a uscire, a vivere lo spazio. Non mi considero un artista isolato: sono un architetto che si dedica a trasformare i sogni degli altri in forme. Credo che l’architettura, come il design, possa ancora offrire la possibilità di costruire non solo luoghi, ma modi nuovi di abitare il mondo.
Intervista a Chiara Lionello, espositrice per EDIT Fair e vincitrice del premio della giuria
Hai portato a EDIT i tuoi Inserti, vasi che invitano a giocare con la forma e a immaginare sempre nuove possibilità di bellezza negli spazi domestici: quanto conta per te che chi possiede una tua opera non si limiti a guardarla, ma la viva, la esplori e la faccia propria?
L’interazione è un aspetto molto importante del mio lavoro e della mia ricerca. Quando progetto uno spazio o un oggetto cerco sempre di immaginarlo come qualcosa che apra delle possibilità, siano esse immaginative o funzionali. I vasi della collezione Inserti lavorano proprio su questo principio, perché ti invitano a creare una piccola composizione floreale interagendo con gli elementi del progetto. È così che secondo me si può costruire un rapporto nel tempo con le cose di cui ci circondiamo.
Spesso nel design si parla di sostenibilità in termini materiali, ma tu sembri lavorare anche su una forma di “sostenibilità emotiva”. Ti riconosci in questa lettura?
Molto. La parola sostenibilità per me ha spesso a che fare con la durabilità delle cose. Oggetti che non invecchiano subito, ma che diventano presenze durature nella nostra vita, proprio perché ci invitano a guardarle e a usarle in modi sempre nuovi e personali.
Che significato ha per te essere una giovane espositrice ad EDIT?
Credo che EDIT sia una manifestazione molto speciale nel mondo del design contemporaneo e la sento vicina alla mia sensibilità di progettista. Ho scelto di partecipare proprio perché mi interessava l’idea di esporre in un contesto complesso e stratificato come la città di Napoli, dove tutto ci interroga su quale possa essere il ruolo del design oggi. Questa idea di complessità attraversa anche la mia ricerca, dove materie e linguaggi apparentemente lontani cercano di convivere in equilibrio e la forma non è mai qualcosa di gratuito, ma un invito a dare valore ai nostri gesti quotidiani.
Diana Cava
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