La rinascita delle “forme perdute”. A Beirut un progetto di design sugli scarti di marmo
Lastre spezzate, campioni dimenticati, sfridi di lavorazione: è questa l’origine dei frammenti (in latino “Fragmenta”) di pietra naturale che sono stati reinterpretati e caricati di nuovi significati da designer locali e internazionali nella capitale del Libano, sotto la curatela di Gregory Gaserelia

Reinventare a partire dalle testimonianze del passato è qualcosa che in Medio Oriente si fa da sempre: non è raro, infatti, che nella culla di alcune tra le più importanti civiltà umane i resti di edifici antichissimi vengano incorporati in costruzioni più recenti o frammenti di manufatti storici siano utilizzati per creare opere d’arte contemporanea. La poetica del frammento come opportunità e punto di partenza per costruire qualcosa di nuovo è al centro di una iniziativa appena partita a Beirut, dove la stilista Nour Najem e l’architetto e designer Guilaine Elias hanno chiesto a 51 artisti e progettisti libanesi e non di lavorare su frammenti di marmo scartati durante la lavorazione o residuo di progetti ormai dimenticati e di trasformarli in nuovi oggetti con un valore artistico o funzionale. La loro piattaforma si intitola Fragmenta: The Revival of Lost Form (“Fragmenta: Il ritorno delle forme perdute”) e affonda le sue radici nell’artigianato, importantissimo in Libano, con una lunga tradizione e tecniche raffinate da salvaguardare, ma nello stesso tempo riflette una preoccupazione decisamente attuale per il riuso dei materiali e per la circolarità.

Parola a Gregory Gatserelia, interior designer libanese e curatore di “Fragmenta”
“Siamo partiti da una considerazione molto semplice: esistono blocchi di marmo abbandonati e considerati inutilizzabili che però hanno ancora una grande potenza espressiva”, spiega il curatore Gregory Gatserelia, designer d’interni che da Beirut porta avanti progetti di case private e hotel in tutto il mondo mescolando finiture opulente e pezzi di design da collezione. “Il frammento è venuto naturalmente come filo conduttore. Non è solo ciò che resta dopo una rottura, ma anche qualcosa che apre a nuove possibilità. Un frammento racconta sempre una storia interrotta. Lavorandoci sopra, prolunghiamo questo racconto, gli diamo una seconda possibilità. A risvegliare il mio interesse è stata soprattutto questa tensione tra memoria e invenzione: vedere come, a partire da un pezzo incompleto, ognuno potesse immaginare un nuovo tutto”.









Le proposte dei designer per “Fragmenta: The Revival of Lost Form” a Beirut
Le regole per i progettisti partecipanti erano molto chiare: il marmo sarebbe dovuto rimanere il materiale principale e costituire almeno il 70% di ciascun pezzo finito, mentre il carattere della pietra avrebbe dovuto essere rispettato. Tutte le opere sarebbero poi state realizzate in collaborazione con le maestranze di Najem Group, una delle più importanti industrie del marmo locali, che ha anche fornito la materia prima per questa operazione. “Le interpretazioni sono state molto diverse tra loro, ed è proprio questa varietà che fa la ricchezza di Fragmenta”, racconta ancora Gatserelia. “Alcuni designer hanno scelto di preservare l’impronta grezza del marmo quasi come se fosse una reliquia da contemplare. Altri, al contrario, hanno lavorato in maniera più sperimentale, tagliando e riassemblando. Nonostante queste differenze, c’è stata un’idea ricorrente: quella della continuità. La maggior parte dei progettisti hanno cercato di dare un seguito a ciò che sembrava essersi interrotto, a trasformare la frattura in punto di partenza. Il frammento è diventato così uno spazio di dialogo tra passato e futuro, tra la frattura visibile e lo slancio creativo che ne deriva”.

Fragmenta: tra memoria e impermanenza
Richard Yasmine (un designer che abbiamo visto spesso anche a Milano durante il Fuorisalone) si è concentrato su tre elementi che possiamo immaginare a loro agio tra le rovine di una dimora antica: la vasca di una fontana, la statuetta di un Cupido o di un putto e due frammenti di mosaico. Nelle sue mani, sono diventati dei pezzi con una funzione – un tavolino basso, delle mensole e una lampada – e una forte carica poetica con rimandi al rococò e al romanticismo francese. Georges Mohasseb di Studio Manda ha ideato una collezione, Menir, che abbraccia la forma naturale della lastra di marmo e le aggiunge un supporto in ottone che crea un contrasto tra peso, sia reale che apparente, e leggerezza. Il romano Andrea Mancuso ha usato la cera un po’ come l’oro nell’arte del kintsugi, cioè per colmare le fratture e le sezioni mancanti tra un frammento di pietra e l’altro, dando vita a oggetti ibridi in parte statua (solida come il marmo di cui è fatta) e in parte candela (effimera per definizione). Tutte le opere sono state presentate al pubblico nella sede di Najem Group e verranno esposte nelle strade di Beirut nell’ambito di una mostra itinerante che durerà fino alla fine di ottobre.
Giulia Marani
thisisfragmenta.com
I designer partecipanti sono: Ahmad Bazazo, Andrea Mancuso, Burau, Carlo e Mary Lynn Massoud, Editions Levantine, Ghaith & Jad, Georges Mohasseb dello Studio Manda, Hannibal Srouji, Joy Herro, Karen Cherkedjian, Raed Abillama, Richard Yasmine, Roula Salamoun, Samer Bou Rjeily, Tara Jane Tabet e Tessa Sakhi.
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