Mariano Fortuny e Chachan Minassian: un dialogo a distanza tra due creativi innamorati di Venezia

La location è di sicuro fascino: una villa con un giardino segreto sull’isola della Giudecca, di fianco alla fabbrica dove si producono i celebrati tessuti Fortuny, e resterà aperta su appuntamento fino alla fine della Biennale Architettura. Al suo interno, le creazioni del designer franco-libanese abitano gli spazi insieme a arredi da collezione e opere d’arte

Separati da poco meno di un secolo, Mariano Fortuny y Madrazo (Granada, Spagna, 1871 – Venezia, 1949) e Chachan Minassian (Beirut, Libano, 1961) hanno diverse cose in comune. L’essere cresciuti in un ambiente cosmopolita, innanzi tutto, aperto a influenze diverse ma con un penchante per le atmosfere orientali. E poi la passione per il collezionismo (di ceramiche, armature, stoffe e tappeti per il poliedrico artista di origine spagnola, di mobili Mid-Century e opere d’arte per il designer e gallerista franco-libanese) e il gusto per la ricerca sulle forme, intensa al punto da diventare quasi ossessiva. L’amore per Venezia, infine, dove Fortuny si trasferisce diciottenne, alla morte del padre pittore, e dove stabilisce il suo quartier generale a Palazzo Pesaro degli Orfei prima di creare, insieme alla moglie Henriette Negrin, lo stabilimento tessile affacciato sul Canale della Giudecca che ancora oggi produce tessuti pregiati attraverso un procedimento unico e segreto, e dove Minassian si reca almeno tre volte l’anno e trascorre molto tempo studiando le architetture e i riflessi della luce sull’acqua. 

L’allestimento curato da Minassian nella Palazzina Fortuny

L’incontro tra queste due personalità, simili anche se vissute in epoche lontane, è al centro di un’esposizione organizzata in concomitanza con la Biennale Architettura 2025 all’interno della storica Palazzina Fortuny, l’ex residenza della contessa Gozzi che si trova proprio accanto alla fabbrica dei celebri tessuti stampati, sull’isola della Giudecca. Circondata da un giardino rigoglioso, la villa di tre piani è stata la dimora dell’arredatrice americana Elsie McNeill Lee, poi diventata contessa Gozzi per matrimonio, che Mariano Fortuny aveva indicato come sua unica rappresentante negli Stati Uniti e che prese le redini dell’azienda alla sua morte. Oggi funziona come uno showroom, pronto ad accogliere i visitatori su prenotazione durante tutta la durata della Biennale, ma conserva l’impianto e l’atmosfera di una casa con camere da letto, cucina e salotti. Ambienti nei quali Chachan Minassian ha creato un universo che è al tempo stesso il suo e quello di Fortuny mescolando sapientemente i tessuti del marchio – inclusi quelli della collezione Armonia disegnata da lui in collaborazione con l’attuale direttore creativo Mickey Riad – con arredi, pezzi unici da collezione, vetri e opere d’arte (tra cui anche le rare pareti scultoree dell’artista francese Pierre Sabatier) come fa abitualmente nella sua galleria parigina. Anche qui, d’altra parte, tutto è in vendita.

BB Studio, Biennale Architettura 2025 Preview Materials, Fortuny + Chahan 2025 ©Veronese
BB Studio, Biennale Architettura 2025 Preview Materials, Fortuny + Chahan 2025 ©Veronese

La vita di Mariano Fortuny, dalle invenzioni alla fabbrica di tessuti

Il vicino stabilimento, con le finestre schermate da pesanti tendaggi per proteggere i segreti di lavorazione dei tessuti, è in funzione dal 1919, l’anno in cui Mariano Fortuny lo acquistò da Gian Carlo Stucky e cominciò a utilizzarlo per produrre dei cotoni per l’arredamento stampati con motivi preziosi e ricercati. Mettere insieme un materiale povero e un approccio colto e raffinato alla decorazione, con motivi presi in prestito da fonti diverse, dalla pittura spagnola alle mappe geografiche fino alla tradizione persiana dalla quale deriva per esempio il simbolo del melograno, fu una strategia vincente e i tessuti Fortuny divennero ricercatissimi, apprezzati tanto dagli attori di Hollywood quanto da narratori come Marcel Proust, che nella Recherche fece indossare un abito decorato con disegni ispirati alle architetture veneziane alla sua Albertine. Prima di cominciare questa avventura imprenditoriale, Fortuny aveva già messo alla prova la sua creatività in vari modi brevettando oltre venti invenzioni diverse, dai pigmenti alle macchine teatrali e alle scenografie. E si era dedicato alla moda ideando il famosissimo abito Delphos, una tunica in tessuto plissettato impreziosita da murrine veneziane che poteva essere facilmente ripiegata e custodita in una scatola e che venne indossata da star dell’epoca come Isadora Duncan ed Eleonora Duse

Il lavoro del designer franco-linabese Chachan Minassian sull’archivio Fortuny

Sono sempre stato un fan dei tessuti della collezione Fortuny, sia vintage che contemporanei, e ho avuto l’opportunità di usarli per la prima volta in uno dei miei progetti proprio qui a Venezia, quando ho lavorato su Palazzo Brandolini per Diane von Furstenberg. Questa relazione è diventata più profonda nel momento in cui ho cominciato a mettere mano ai motivi tradizionali,  cambiandone la direzione da verticale a orizzontale e modificando lo schema dei colori perché si integrassero meglio nel mio progetto fatto su misura”, spiega Chachan Minassian mentre racconta il suo lavoro sull’eredità artistica e progettuale di Fortuny. “L’estate scorsa Mickey Riad, che oggi guida l’azienda insieme al fratello Maury, mi ha proposto di disegnare una collezione sui generis. Per me era un imperativo proseguire lungo la strada tracciata da Mariano Fortuny, ma lo era anche in un certo senso svincolarmi dall’aspetto temporale. Armonia è al tempo stesso un mio progetto e una rielaborazione dei disegni di Fortuny dai quali ho preso di volta in volta diversi elementi grafici – un piccolo punto, una successione di linee o un tratto sinuoso – per poi ingrandirli e portarli a una scala architettonica. Anche la palette è molto mia e molto minerale, con tonalità cremose come il bianco e il panna, i rosa e i grigi pallidi, fino al bronzo e al marrone più deciso”. 

Venezia e le sue architetture come “scrapbook” per artisti e creativi

Tra le fonti di ispirazione dichiarate c’è senz’altro Venezia, con le sue architetture e la sua luce che la scrittrice britannica Antonia S. Byatt nel suo libro Pavone e rampicante dedicato alle figure di Mariano Fortuny e William Morris descriveva come “acquamarina, eterea”, impegnata in un gioco “con le scure superfici mobili dei canali”. “Avevo una gran voglia di vivere questa città nel quotidiano e lo faccio da sette anni. Passeggiando si è esposti ai dettagli architettonici e a come la patina del tempo si posa sugli edifici, e si notano continuamente forme, colori, pattern che potrebbero essere reinterpretati senza sforzo. Non è un manuale da studiare, ma piuttosto un libro aperto dal quale una persona creativa può assorbire informazioni che poi verranno rielaborate, ma in maniera molto istintiva e naturale”. 

Giulia Marani

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Giulia Marani

Giulia Marani

Giornalista pubblicista, vive a Milano. Scrive per riviste italiane e straniere e si occupa della promozione di progetti editoriali e culturali. Dopo la laurea in Comunicazione alla Statale di Milano si specializza in editoria a Paris X-Nanterre. La passione per…

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