“Vado d’accordo con le contraddizioni”. Intervista al designer napoletano dietro Tellurico

Tempo, performance, metodo, ricerca, ambiente, futuro: sono solo alcuni tra i temi della nostra conversazione con Francesco Pace, fondatore dello studio che da anni ha trovato casa nei Paesi Bassi

Dopo aver conseguito il Master in Contextual Design presso la Design Academy di Eindhoven e aver collaborato con i FormaFantasma, nel 2017 Francesco Pace fonda Tellurico, studio di design multidisciplinare specializzato nella progettazione di oggetti, spazi e installazioni che pone al centro del suo campo di indagine il folklore e il rapporto tra artigianato e ambiente. Esposto in prestigiosissime sedi internazionali – dalla Biennale di Architettura di Venezia al Van AbbeMuseum di Eindhoven, dal M.A.D.RE. di Napoli alla Triennale di Milano passando per il Museo Brøhån di Berlino, la Beirut Design Fair e il Padiglione Italia di Barcellona – ha ricevuto negli anni riconoscimenti importanti: nominato da Platform Magazine tra i migliori designer italiani Under 40 nel 2020, nel 2021 ha vinto l’Officine Saffi Awards con il suo progetto Telluride, nel 2022 è stato inserito tra i Next Pure Talent da Elle Decor e nel 2023 è diventato parte della AD20 List of the New Italian Rising Talent di AD Italia.

Untitled 1B, il designer al lavoro. Photo courtesy of Amir Farzad, 2021
Untitled 1B, il designer al lavoro. Photo courtesy of Amir Farzad, 2021

Intervista a Francesco Pace, founder di Tellurico

Partiamo dai fondamentali: perché il nome Tellurico?
È l’aggettivo che descrive l’idea di tettonica, di movimenti terresti dal basso, ipogei che avevo in mente. Di apertura alle collaborazioni tra parti. Quando sono uscito, non senza conflitti, dalla Design Academy di Eindhoven non volevo più fare il designer: ho dovuto capirlo di nuovo, riflettendo bene su cosa volevo essere davvero. E ho capito che sì, mi piace moltissimo lavorare, ma soprattutto mi piace dividere la vita privata di Francesco dalla vita professionale di Tellurico. Questa doppia identità mi consente di continuare a guardarmi da fuori, mantenere un distacco e un’oggettività “bipolare”. Essere Tellurico mi ha consentito di mettere ordine alla mia storia. 

Descrivi il tuo lavoro in 3 parole, se ci riesci.
Mi rifiuto di raccontarmi in tre parole. Il mio lavoro è abbracciare la complessità (sorride, n.d.r.).

Lo studio di Tellurico a Eindhoven. Dall’archivio di Tellurico, photo courtesy del designer
Lo studio di Tellurico a Eindhoven. Dall’archivio di Tellurico, photo courtesy del designer

Dopo tanti anni a Eindhoven stai pensando di rientrare in Italia?
Vivo in un certo senso “in between”: di fatto il mio studio è ancora ad Eindhoven, centro tra i più produttivi per quel che riguarda il design sperimentale, che però resta una piccola realtà e a lungo andare può risultare stretta. Sto pensando di tornare stabilmente a Milano perché mi pare il giusto equilibrio tra Italia e mondo, tra stile di vita e opportunità professionali. E poi da poco ho iniziato ad insegnare alla NABA in due corsi di product design.

Bello! E come ti trovi nel ruolo di docente?
Non è una cosa che ho cercato personalmente, è semplicemente arrivata. Ma è un ruolo che trovo stimolante, soprattutto nel dialogo con studenti di tutto il mondo, che per età anagrafica, formazione, cultura vedono le cose in maniera molto diversa da come le vedrei io. Da queste conversazioni spesso emergono punti di vista interessantissimi, per quanto acerbi. E per uno come me, che ha scelto la ricerca come processo di lettura della contemporaneità, questo è terreno fertile. 

Iceberg in the Desert, dettaglio del progetto realizzato per The Good Plastic Company alla Dubai
Iceberg in the Desert, dettaglio del progetto realizzato per The Good Plastic Company alla Dubai

A proposito: cosa vuol dire fare ricerca nel sistema design oggi?
Negli ultimi anni è venuta sempre più fuori una generazione di designer che non hanno trovato negli studi e nelle aziende le giuste risposte, e quindi hanno portato avanti una poetica sperimentale e indipendente che meglio esprimesse il proprio campo di indagine, spesso complesso. Mescolando tecnologia e tradizione, territorio e ricerche contestuali, si sono specializzati per fare qualcosa di nuovo. Io mi inserisco in questo solco. 

A chi o a che cosa guardi con interesse, quindi, per trovare risposte o ispirazioni?
Cerco di non guardare al design per fare design. Ma piuttosto a movimenti e situazioni che col design non c’entrano nulla. Questo per provare, trovando nuovi chiavi interpretative, a ridurre la complessità e riportare il design ad essere un prodotto per chi lo utilizza e non solo per gli addetti al settore. A volte, infatti, si rischia di renderlo un cluster chiuso, più che una galassia da esplorare.

Iceberg in the Desert, progetto realizzato per The Good Plastic Company alla Dubai Design Week (in trasferta con il distretto milanese Isola). Photo Anwyn Howarth, 2023
Iceberg in the Desert, progetto realizzato per The Good Plastic Company alla Dubai Design Week (in trasferta con il distretto milanese Isola). Photo Anwyn Howarth, 2023

Approfondiamo due aspetti della tua pratica: il rapporto che intercorre tra design e tempo, e tra design e aspetto performativo. Spiegaci meglio.
Per me si tratta di strumenti essenziali per esternare il lavoro che c’è dietro la produzione di un oggetto. Questo perché non approccio mai il progetto in maniera aprioristica, parto sempre dall’analisi di un contesto spazio temporale. Io trovo che non ci sia nulla di più personale del tempo, dal punto di vista percettivo. Non esiste, eppure è ciclico, con l’alternanza del giorno e della notte, delle settimane, dei mesi, delle stagioni. Me ne sono accorto soprattutto in pandemia, alcuni momenti scorrevano lentissimi, altri sembravano volare. In quanto creativo, io vendo il mio tempo ancor prima che le mie idee: e mostrare fisicamente il processo di quello che faccio (cioè l’aspetto performativo, come avvenuto per esempio al Salone 2021 con Untitled 1B, ideale seguito di Untitled 1A, entrambe commissionate da 5Vie, ndr) aumenta il valore e la forza dell’output che voglio esprimere. 

Parliamo della tua collaborazione con The Good Plastic Company e del ruolo che oggi la filiera del design può avere sul tema dell’ecologia.
The Good Plastic Company è un produttore internazionale di materiali per superfici che aiuta i brand ad assumere un impegno visibile per la sostenibilità, concentrandosi sull’impatto ambientale di larga scala e colmando il divario tra recycling e business. Una trasformazione inevitabile che rappresenta una sfida sostanziale per tutti, ma anche un’opportunità per le aziende nella catena del valore ecologico. Con loro, all’ultima edizione di Isola alla Dubai Design Week (7-12 novembre 2023) ho curato l’istallazione Iceberg in the desert, esposta nello spazio pubblico antistante l’ingresso della mostra Nothing Happens if Nothing Happens, collettiva con prodotti circolari e pezzi di design da collezione che vuole lanciare un appello a tutti i designer e studi affinché attuino un cambiamento concreto nel loro modus operandi, avvicinandoli al concetto di rigenerazione. Ma anche il progetto Polygood® Design Bar realizzato con la plastica riciclata fornita da The Good Plastic Company.

Untitled 1B, collezione completa. Photo courtesy of Amir Farzad, 2021
Untitled 1B, collezione completa. Photo courtesy of Amir Farzad, 2021

Quali sono invece i tuoi progetti futuri? 
Di progetti futuri ce ne sono diversi in cantiere ma posso dire molto poco al momento, si trovano tutti in una fase cruciale di sviluppo. Posso dire però che sicuramente nel 2024 non farò nulla al Salone. E che sto portando avanti progetti già in essere, come la consulenza creativa per la terza edizione del Worth Partnership Project, progetto quadriennale finanziato da COSME, programma dell’Unione europea per la competitività delle piccole e medie imprese (PMI) che favorisce la nascita di collaborazioni transnazionali tra designer, creativi, imprese manifatturiere e tech firm al fine di sviluppare prodotti innovativi nei campi della moda e del tessile, delle calzature, dei mobili e del settore arredamento/architettura/interior, dei gioielli e degli accessori.  
O ancora parlare della nuova fase di “Telluride”, progetto in divenire iniziato nel 2018, che prosegue con la creazione di una gamma completa di oggetti di design di diverse dimensioni e funzioni, risultati di una specifica ricerca materica che indaga le possibilità di utilizzare rocce vulcaniche come elemento combinato con argilla porcellanata e smaltatura ad alta cottura. 

Giulia Mura

www.tellurico.com/

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Giulia Mura

Giulia Mura

Architetto specializzato in museografia ed allestimenti, classe 1983, da anni collabora con il critico Luigi Prestinenza Puglisi presso il laboratorio creativo PresS/Tfactory_AIAC (Associazione Italiana di Architettura e Critica) e la galleria romana Interno14. Assistente universitaria, curatrice e consulente museografica, con…

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