Dall’oggetto al sistema. Cesare Leonardi in mostra a Modena

Galleria Civica di Palazzo Santa Margherita e Palazzina Vigarani, Modena ‒ fino al 4 febbraio 2018. Curata da Andrea Cavani e Giulio Orsini, la prima grande retrospettiva sul lavoro dell'architetto, designer e fotografo propone un viaggio in un archivio ricco di documenti, materiali e opere. Una buona occasione per riflettere su temi e problemi della cultura progettuale del secondo Novecento. L’analisi di Francesco Samassa.

Ettore Sottsass ha riassunto in poche brillanti (e spietate) righe la parabola del design italiano del secondo Novecento. A proposito del “barbarico” avvento della cultura industriale nel secondo dopoguerra, scrive: “Per alcuni architetti e designer italiani, l’idea del disegno per l’industria rappresentava in realtà l’idea di una visione politica: dare forma a una speranza che riguardava la società intera, cioè usare la forza della nuova barbarie, governarla per migliorare la vita della gente con un più responsabile disegno dell’ambiente artificiale e degli oggetti e strumenti che lo invadono. Questo era il problema, questa l’utopia e la speranza. Quella speranza è stata la spinta fantastica grazie alla quale il design italiano ha lasciato in tutto il mondo un segno indelebile. Finita la speranza, finita l’utopia, l’industrial design, così si è poi chiamato, è diventato il tema base di una professione ‘business oriented’. È diventato il tema per la noiosa professione del ‘made in Italy’”.
Mi è capitato di leggere questo brano di recente, mentre veniva allestita la mostra monografica che la città di Modena, per il tramite della Galleria Civica di Palazzo Santa Margherita, dedica a Cesare Leonardi (Modena, 1935), una personalità di tutto rilievo che ha svolto l’intera parabola creativa di architetto, designer, fotografo e artista senza mai lasciare la terra natia. Ho letto e mi sono soffermato su quelle righe perché Cesare Leonardi era lì, in quel momento felice del design italiano, a dire la sua e a lasciare anche lui alcune “impronte indelebili” della stagione del vetroresina (da citare tra i suoi brevetti almeno il Dondolo, la Poltrona Nastro e la Poltrona Eco), oggi presenti anche nelle collezioni del MoMA, del Vitra Design Museum e del Victoria and Albert Museum. Ho pensato che per Cesare Leonardi la fine di quella speranza e di quella utopia di cui parla Sottsass ha una data precisa, il 1973: la crisi petrolifera internazionale fa schizzare in alto i prezzi delle materie prime sintetiche e, nel giro di pochissimo tempo, tutti i suoi oggetti in vetroresina ‒ che avevano riscosso tanto apprezzamento dando a lui e a Franca Stagi (in quegli anni socia di studio) una notorietà internazionale ‒ escono di produzione. Cesare Leonardi scopre la fragilità del sistema.

Cesare Leonardi con Franca Stagi, Concorso per il Parc de la Villette di Parigi, 1982, veduta del modello. Collezione privata. Photo Cesare Leonardi, AACL

Cesare Leonardi con Franca Stagi, Concorso per il Parc de la Villette di Parigi, 1982, veduta del modello. Collezione privata. Photo Cesare Leonardi, AACL

UNA REAZIONE ECCENTRICA, CONTROCORRENTE

Ma la sua reazione non è quella della chiusura del brano di Sottsass. Ci mette dieci anni per metabolizzare la delusione e per ritrovare un “interesse attivo” per il design e quando ricomincia, alla metà degli Anni Ottanta, non ne fa affatto una professione “business oriented”, anzi. La sua scelta, del tutto evidentemente controtendenza, è di allontanare il suo design dal mondo della produzione industriale e di riportarlo su una dimensione di ricerca più vicina, semmai, alle pratiche artigianali: la ricerca dell’oggetto perfetto da (ri)produrre in serie viene sostituita dalla ricerca di una prassi realizzativa “a-seriale”, capace di generare una infinità di risultati diversi l’uno dall’altro, tenuti assieme dalla stessa logica procedurale con cui sono prodotti. Nel primato del metodo, del “sistema”, nascono così i Solidi.
I Solidi vivono di un interessante equilibrio senza essere né prodotti di serie, tutti uguali, né prodotti artigianali, tutti diversi. Per i Solidi potremmo scomodare quel concetto di “somiglianza di famiglia” che Wittgenstein metteva a fuoco nelle Ricerche filosofiche rispondendo alla questione sull’essenza del linguaggio: “Io dico che questi fenomeni non hanno affatto in comune qualcosa, in base al quale impieghiamo per tutti la stessa parola, ma che sono imparentati l’uno con l’altro in molti modi differenti. […] vediamo una rete complicata di somiglianze che si sovrappongono e si incrociano a vicenda. Somiglianze in grande e in piccolo. Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con l’espressione «somiglianze di famiglia».”. Rompendo con la produzione industriale dell’oggetto feticcio, la “somiglianza di famiglia” dei Solidi a-seriali è la risposta che Cesare Leonardi propone una volta sfumata la speranza del design italiano Anni Sessanta di cui diceva Sottsass. E naturalmente, quasi a esorcizzare l’episodio del 1973, Cesare Leonardi sceglie di produrli con un materiale povero, il più povero con cui ha quotidianamente a che fare come architetto: le tavole per la realizzazione delle casseforme per le gettate del calcestruzzo nei cantieri edilizi. Azzerato il valore del materiale, l’oggetto vale per quello che sa esprimere formalmente.

Cesare Leonardi, Sophora japonica var. pendula, 1965. Photo Cesare Leonardi, AACL

Cesare Leonardi, Sophora japonica var. pendula, 1965. Photo Cesare Leonardi, AACL

LA MOSTRA DI MODENA

Questa parabola “dall’oggetto al sistema”, per ridurla a slogan, è la chiave di lettura proposta ‒tra le possibili ‒ dalla mostra curata da Andrea Cavani e Giulio Orsini sulla figura di Cesare Leonardi. La racconta attraverso il design, ma la ritrova dentro l’evoluzione nella progettazione dei parchi: dalla progettazione di Parco Amendola a Modena, punto per punto, alla definizione della SRA (Struttura Reticolare Acentrata) quale strumento metodologico per la progettazione del rapporto tra lo spazio naturale e lo spazio antropico; e in fondo la ritrova anche dentro l’evoluzione del Cesare Leonardi fotografo, che passa dagli scatti giovanili, che inseguono l’ideale dell’immagine perfetta, allo sviluppo successivo di un approccio sequenziale con la realizzazione di immagini composite accostando singole fotografie tutte diverse ma simili o, per dirla con Wittgenstein, imparentate.
La mostra è costruita quasi esclusivamente con la documentazione, i materiali e le opere conservate nella casa-studio di Viale Po, un viaggio dentro il mondo variegato e ricco di sorprese dell’archivio di Cesare Leonardi, dal 2011 messo sotto tutela ministeriale quale bene culturale di interesse particolare e affidato alle cure dell’associazione Archivio Architetto Cesare Leonardi (AACL). All’Associazione si deve la produzione scientifica della mostra che si dà quale tappa importante di un appassionato impegno in itinere, a un tempo punto di arrivo e punto di partenza di un percorso culturale che l’Associazione mira a mettere al servizio della città. Ma intanto la mostra, dopo l’assaggio offerto dall’ideale anteprima genovese della scorsa primavera con “Cesare Leonardi: Strutture”, a cura di J. Grima e A. Bagnato, rende ragione e pone nella giusta luce la figura di Cesare Leonardi.

Francesco Samassa

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Francesco Samassa

Francesco Samassa

Francesco Samassa (Pordenone, 1963), laureato e PhD in Architettura negli Anni Novanta, dopo aver svolto attività didattica e di ricerca allo IUAV con Bernardo Secchi, si dedica come libero professionista all’ordinamento, inventariazione e valorizzazione degli archivi storici, inizialmente nel campo…

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