Storia di Valentina Tosoni, la professoressa dei podcast che portò la cultura nella radio

La giornalista bresciana ha lavorato in piccole radio locali mentre insegnava al liceo fino ad arrivare a Radio Deejay, poi è passata a Repubblica e da qualche anno è un punto di riferimento nel mondo dei podcast culturali. Qui una lunga intervista nella quale risponde alle domande di un gruppo di studentesse e studenti

Giornalista, docente, podcaster. Valentina Tosoni racconta in questa intervista 30 anni di carriera nel mondo dei giornali, delle emittenti radiofoniche e dell’insegnamento. Dalla Radio Deejay di Linus ai podcast culturali di Repubblica.it (premiati da Artribune come i migliori del 2024) attraverso un percorso che ha navigato tra le evoluzioni del giornalismo negli ultimi decenni. Tosoni risponde qui alle domande delle studentesse e degli studenti del Laboratorio di Editoria per l’Arte dello IULM di Milano.  

Intervista a Valentina Tosoni

Ci può raccontare da dove è iniziato il suo percorso? 
Io sono originaria della provincia bresciana. Ho frequentato le scuole superiori a Brescia in un liceo scientifico sperimentale che offriva molte materie relative al mondo del disegno e dell’architettura tant’è che alcuni dei miei compagni di scuola sono poi andati a fare Ingegneria o materie simili.  

Lei invece che indirizzo ha scelto? 
Grazie ad una mia bravissima professoressa di storia dell’arte venivamo spesso accompagnati a Milano a vedere delle mostre. Una volta l’uscita prevedeva una visita all’Accademia di Brera dove rimango affascinata dall’atmosfera che si respirava e dalla vivacità degli atelier. Mi rendo conto da una parte di non avere particolare talento d’artista e dall’altra di poter comunque in Accademia intraprendere dei percorsi alternativi rispetto a quello classico. 

Insomma non voleva frequentare l’Accademia per fare la pittrice… 
No, non era quello l’obiettivo, ma comunque ho beneficiato – e anche molto – dell’eccellente qualità dei professori che all’epoca insegnava a Brera. C’erano Tommaso Trini, Francesco Poli, Elena Pontiggia e altri insegnanti pazzeschi. Il mio interesse era di costruirmi una solida conoscenza in storia dell’arte e credo di esserci riuscita in quegli anni. 

Dopo l’accademia cosa è successo? 
All’epoca c’erano questi mega concorsi per diventare insegnante nelle scuole medie e superiori. Si poteva partecipare per le cattedre di disegno o di storia dell’arte. Per fortuna erano di più quelle di storia dell’arte. Partecipo ad uno di questi concorsi – mi ricordo che eravamo in migliaia in una scuola di Varese – e lo vinco. Era il 1994. 

Valentina Tosoni a Milano con gli studenti nel campus IULM
Valentina Tosoni a Milano con gli studenti nel campus IULM

Gli anni di Valentina Tosoni come insegnante di liceo 

Quindi diventa insegnante da giovanissima? 
Attorno ai 25 anni non solo svolgo già il ruolo di docente di storia dell’arte alle scuole superiori, ma ho anche la possibilità di scegliere in quale scuola prendere servizio e decido di insegnare proprio nel liceo di Brescia che io stessa avevo frequentato. Mi ritrovo insomma ad avere come colleghi gli stessi docenti che fino a pochi anni prima erano i miei professori, tra cui anche la mia ex insegnante che accompagnandoci in gita a Brera mi fece appassionare all’arte. 

Come è stata l’esperienza dell’insegnamento in quegli anni?  
Insegnare mi è sempre piaciuto e continua a piacermi, all’epoca mi veniva anche molto semplice visto che ero fresca di studi e avevo un’età molto simile ai miei studenti. È stata un’esperienza divertente per me e credo anche per loro: li portavo a vedere mostre, viaggiavamo molto, allo stesso tempo seguivamo i libri di testo e mi stavano a sentire nonostante la poca differenza di età. Comunque c’era qualcosa che mi mancava… 

In che senso? 
Il lavoro mi piaceva molto, ma bisogna ammettere che quando si è giovani può sfuggire il valore della dimensione educativa dell’insegnamento. Nel senso che avevo bisogno di qualcosa di più concreto. Sentivo la necessità di realizzare un “prodotto”, di vedere qualcosa di pubblicato. E allora in parallelo ho iniziato la mia attività giornalistica: ad esempio scrivevo su Brescia Oggi, il giornale della mia città, e poi trasmettevo da Radio Brescia Popolare.  

Quindi le cose vanno avanti con l’insegnamento da una parte e gli altri lavori giornalistici dall’altra? 
Per un po’ di tempo sì, ma dopo poco c’è un significativo cambiamento. Succede che mi sposo, mio marito stava a Roma, decido di allungare grazie ad una aspettativa il periodo di congedo matrimoniale e mi trasferisco nella Capitale per alcuni mesi. 

L’impegno al liceo era stato sospeso con l’aspettativa, ma le collaborazioni giornalistiche? 
Nei mesi in cui ero a Roma continuavo comunque a fare le mie collaborazioni a distanza sia per il giornale che per la radio. Ad un certo punto però mi annoiavo: a Roma non avevo l’insegnamento, i musei e le mostre li avevo visitati tutti e decido di trovare altri progetti da fare. Approfitto del fatto che Radio Brescia Popolare era parte di un circuito nazionale di radio la cui emittente romana era Radio Città Futura. 

Il trasferimento a Roma e le collaborazioni con le radio romane 

Inizia a collaborare anche per loro?  
Sì, grazie a loro mi butto nel mondo delle radio romane. La prima esperienza è una intervista per Radio Città Futura a Francesco Rutelli che era sindaco di Roma. La cosa andò così bene che non ci credevano neppure loro. Una buona partenza che mi ha permesso in pochissimo tempo di mettermi in luce e di iniziare una collaborazione con Italia Radio. Un’emittente che oggi non c’è più, ma che in quegli anni era una signora radio. Lì ho capito davvero cosa fosse il giornalismo anche grazie ad un team incredibile di colleghi come Daniele Bianchessi, Mino Fuccillo o Matteo Lauria. 

Fino a questo momento non si era ancora occupata di contenuti culturali? 
Per Brescia Oggi coprivo anche le notizie culturali nella pagina degli spettacoli, per Radio Brescia Popolare invece seguivo i notiziari locali, mentre a Roma i primi tempi sono stati tutti focalizzati sull’attualità e la politica: dopo qualche giorno a Italia Radio ero già sui banchi della stampa in Parlamento. 

Come ha fatto quando è terminato il periodo di aspettativa?  
Ho chiesto di prolungarlo un po’ per continuare l’esperienza romana. E il caso ha voluto che in quel preciso periodo la proprietà di Italia Radio passasse dalla cooperativa Arca al gruppo editoriale L’Espresso che aveva già altre radio come Radio Capital e Radio Deejay, il settimanale L’Espresso, il quotidiano la Repubblica e tanti quotidiani locali. Proprio in quel momento era arrivato però il tempo per me di tornare al nord. A Italia Radio intanto però avevano capito che ci sapevo fare e la collaborazione è comunque continuata anche a distanza: mi chiedevano corrispondenze da Milano dove ero ormai diventata la loro inviata. Come conseguenza decido di continuare ad insegnare, ma part time. 

Valentina Tosoni durante l'intervista alla IULM
Valentina Tosoni durante l’intervista alla IULM

L’esperienza a Radio Deejay 

Lei ha lavorato molti anni a Radio Deejay, quando inizia questo periodo? 
Dopo un po’ di tempo, il gruppo L’Espresso che aveva acquisito Italia Radio decide di chiuderla. Per quanto mi riguarda la cosa ha significato un passaggio fluido verso Radio Deejay che era sempre del gruppo ma aveva sede proprio a Milano. Mi ritrovo così a Radio Deejay qualche tempo dopo il passaggio tra la direzione di Claudio Cecchetto a quella di Linus. Linus aveva una lungimiranza tale da fargli capire che in quel momento il suo programma, che era, come è oggi, il programma di punta della radio italiana, ovvero Deejay Chiama Italia, doveva evolversi rispetto ad essere un semplice programma di musica e canzoni.  

In che modo avete fatto evolvere un programma leggendario come Deejay Chiama Italia? 
Linus spinse per volermi nella squadra degli autori del programma e insieme abbiamo capito che bisognava rinnovare il linguaggio. Abbiamo cercato di dare maggiore profondità e spessore ai contenuti pur mantenendo la leggerezza e l’ironia. Facendo un programma di musica, i presentatori erano bravissimi nel racconto e nell’improvvisazione, ma poco abituati a confrontarsi con l’attualità. Sono stata io ad instillare in radio la necessità che tutti fossero informati e che sapessero cosa succedeva. Li ho anche costretti a leggere i giornali ogni mattina, visto che non lo facevano! 

Era solo autrice o andava anche in onda? 
All’epoca eravamo quattro gatti. Facevo l’autrice sia per Linus e Nicola Savino, ma anche per Fabio Volo. E ogni tanto andavo in onda anche quando c’era bisogno di un parere. L’identità di Radio Deejay è rimasta quella di puntare sui personaggi (in quegli anni c’erano ad esempio la Pina o Platinette), ma abbiamo aggiunto una ulteriore identità: abbiamo iniziato ad avere una visione allargata e un prodotto editoriale più sostanzioso realizzato da una vera piccola redazione.  

Come faceva a fare tutte queste cose continuando ad insegnare sebbene part time? 
E infatti ad un certo punto decido di licenziarmi. Era il 2007 e ancora mi ricordo l’incredulità degli addetti del Provveditorato impegnati a spiegarmi che ero troppo giovane per la pensione. Non potevano concepire che stavo lasciando un posto fisso come insegnante.  

Valentina Tosoni giornalista a Repubblica 

Quali sono state poi le altre tappe della sua carriera? 
Un’altra tappa importante è stata nel 2012 quando passo dall’avere delle collaborazioni di tipo radiotelevisivo ad un contratto giornalistico a tempo indeterminato, quelli che si chiamano “Art. 1”. Succede quando Repubblica punta ancora di più sull’online e allarga la redazione internet a Milano. Del resto a Radio Deejay più di quello che avevo fatto non potevo fare e allora passo armi e bagagli a Repubblica. Dalla sede milanese del giornale faccio molte cose tra cui l’inserto culturale Tuttomilano con il quale coprivamo il tempo libero e la cultura e mi fa capire ancora di più quanto fossi interessata al mondo delle mostre, dei musei, dei concerti. Un altra tappa? Quella che dopo alcuni anni mi riporta a Roma.  

In che periodo siamo? 
Sono gli anni 2017/2019 e c’è bisogno di risorse per Repubblica TV per cui mi tocca fare la pendolare tra la sede principale dell’azienda, nella Capitale, e Milano dove ho tutta la famiglia.  

E il lavoro sui podcast quando arriva? 
Proprio in quegli anni romani. Partono le prime sperimentazioni con i podcast all’interno della redazione di Repubblica TV all’inizio grazie al direttore Mario Calabresi e poi ancor di più con il direttore Carlo Verdelli che struttura maggiormente il progetto. E infine con il direttore Maurizio Molinari nasce proprio la sezione podcast della testata che è quella dove io lavoro adesso. Qui all’inizio ho fatto “desk” e quindi ho organizzato il lavoro delle nostre firme e dopo un po’ mi sono fatta avanti conducendo dei podcast in prima persona. 

Valentina Tosoni spiega il mondo dei podcast agli studenti IULM
Valentina Tosoni spiega il mondo dei podcast agli studenti IULM

Il podcast Storie dell’Arte di Valentina Tosoni 

Arriva finalmente il suo podcast di arte? 
Sì, ma ho dovuto persuadere la redazione e i miei colleghi. E non è stato facile. 

In che senso? 
In redazione erano certi che occuparsi di arte in un podcast sarebbe stato troppo sfidante perché l’arte è qualcosa che va vista e non si può raccontare a voce. A quel punto però ho fatto notare che la stessa cosa valeva pure per il cinema, ma noi un podcast sul cinema ce l’avevamo! 

A maggio 2024 alla fine esce “Storie dell’Arte“… 
Li avevo convinti. Partiamo con le prime puntate educative, semplici, pop. Sui grandi maestri e con dei tagli particolari, ma comunque con degli interventi di esperti, personaggi noti e di storici dell’arte per avere sempre un po’ di spessore. Talvolta ho avuto anche alcuni artisti contemporanei come ospiti. Era importante fare subito dei buoni ascolti e per questo la prima puntata è stata su Picasso, poi la seconda su Frida Khalo e la terza su Edward Hopper e così via con delle biografie molto popolari che sono uscite nel primissimo periodo al ritmo di una a settimana. 

Si tratta di una produzione particolarmente laboriosa? 
Ci sono tanti aspetti all’interno di una singola puntata: bisogna scegliere gli ospiti, contattarli e organizzarsi in base alla loro agenda. Poi ci sono da selezionare i contributi sonori d’archivio, le musiche, c’è da seguire il montaggio, l’ottimizzazione del suono e c’è una regia che arricchisce tutto il prodotto. Oltre ovviamente alla ricerca specifica sui temi. Insomma una puntata che si ascolta in mezz’ora può aver bisogno anche di un mese di lavoro.  

Ci sono tante differenze tra la scrittura per il giornale e quella per il podcast? 
Io continuo a scrivere anche molto per il giornale e le differenze sono abissali. Rimane simile solo il concetto di “intro”: sia il podcast che l’articolo devono avere un attacco efficace. Ma il resto è particolarmente diverso visto che una tipologia di scrittura è pensata per informare, con i contenuti più importanti che vanno necessariamente messi all’inizio, e l’altra deve considerare anche la piacevolezza dell’ascolto.  

Tra tutte quelle mandate in onda fino ad oggi c’è una puntata preferita? 
Mi viene in mente la puntata su Georgia O’Keeffe che è un’artista che mi piace molto, oppure la puntata su Frida Kahlo con un intervento di Brunori Sas che ho apprezzato particolarmente. 

Il mondo dei podcast: mercato, numeri, sfide 

I podcast sono andati bene come ascolti? 
Per quanto riguarda il mondo dei podcast quello che conta in questo momento è la classifica di Spotify e lì ci sono stati subito dei risultati lusinghieri: poco tempo dopo il lancio Storie dell’Arte era già al ventesimo posto.  

Va bene anche a livello economico? 
Il settore è ancora nuovo e tutte le realtà che operano nel comparto dei podcast stanno ancora investendo. I ricavi però iniziano a vedersi grazie a molti prodotti di successo che fanno grandi numeri, grazie ai branded podcast e all’ultima novità dei video podcast che permettono di essere presenti su YouTube, in questo momento l’ambiente più importante per lo streaming di contenuti. 

Per quanto riguarda il suo podcast quali sono le novità? 
Per questo 2025 la novità è stata Storie dell’Arte in Mostra, un progetto che faccio uscireogni ultimo sabato del mese. Chiamo due ospiti in studio (artisti, collezionisti o curatori) che raccontano la loro mostra e ne suggeriscono altre da andare a vedere. 

L’esperienza dell’insegnamento è stata importante per lo sviluppo di questa carriera? 
E’ stata importante ed è tornata! Effettivamente mi mancava una dimensione pedagogica dopo i tanti anni da prof al liceo e così sono tornata ad insegnare allo IED in particolare in un corso dedicato alle donne nell’arte tra metà Ottocento e primi del Novecento. C’è un aspetto che accomuna insegnare, fare radio e fare podcast: in tutti e tre gli ambiti non è sufficiente dire le cose una volta sola.

A cura di Matteo Arrigoni, Lisbeth Carpio, Elisa Colombo, Manuela Distefano, Francesca Minniti, Noemi Ruggeri 

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