C’è un nuovo festival sull’arte a Vicenza. Intervista a Marina Wallace e Vittorio Bo

Per conoscere “ARTis – Festival dell’Arte” abbiamo parlato con la direttrice e l’ideatore. Ospiti italiani e internazionali dialogheranno per abbracciare tanti campi del sapere. Con un occhio già rivolto alle prossime edizioni

Il debutto del nuovo festival è fissato per il 10-16 novembre 2025, quando i luoghi simbolo della cultura a Vicenza – il Teatro Olimpico, Palazzo Chiericati, la Basilica Palladiana e molti altri – accoglieranno incontri, lectio e performance. Cosa rende Vicenza il luogo ideale per accogliere “ARTis – Festival dell’Arte”? Quali sono le iniziative che lo caratterizzano? Per rispondere a queste e altre domande abbiamo intervistato la direttrice artistica e l’ideatore del festival, Marina Wallace e Vittorio Bo. Storica dell’arte e curatrice, Wallace ha lavorato per anni in Inghilterra indagando attraverso mostre ed eventi il rapporto tra arte e scienza; Bo, partendo dalla sua esperienza come editore, si è dedicato alla divulgazione scientifica, dirigendo il Festival della Scienza di Genova dal 2003 al 2015.

Intervista a Marina Wallace e Vittorio Bo

Il titolo di questa prima edizione è “Non vi è arte senza artista”. Come avete tradotto questa idea nel programma?
MW: Sembra che la professione dell’artista sia in qualche modo misteriosa. Non è mai chiaro cosa facciano gli artisti, come guadagnino, come passino il tempo. Sappiamo cosa fa il medico o l’avvocato, ma non sappiamo cosa fa l’artista. Uno dei nuclei di “ARTis” è la residenza artistica presso Palazzo Valmarana Braga che ospiterà Matilde Sambo per sviluppare un progetto site-specific, trasformando lo studio in un luogo vivo di creazione e di incontro, in dialogo con l’architettura. La residenza è parte della professione dell’artista fin dal medioevo, quando gli artisti venivano invitati presso le corti – lontani dalla propria città, dalla propria cultura, dal proprio studio – per poter rinfrescare la propria arte, venendo pagati per farlo.

La volontà dichiarata alla base di “ARTis” è colmare la distanza tra l’artista e il pubblico. In cosa risiede questo allontanamento e come lo si può risolvere?
VB: Da anni, con Marina e insieme a Codici Edizioni, stiamo sviluppando progetti di divulgazione, cominciando con la scienza. L’intento era quello di rendere la scienza vicina a tutti, perché per il pubblico risultava difficile e fredda, e negli anni questa disciplina ha effettivamente guadagnato un livello di partecipazione e di consapevolezza maggiore. Secondo la stessa logica, “ARTis” vuole avvicinare l’arte a tutti, dai bambini fino agli specialisti. Ovviamente con modalità diverse, ma senza che ci sia una semplificazione: solo una traduzione.

Marina Wallace
Marina Wallace

“ARTis” nasce rifiutando il mercato dell’arte e la vendita delle opere: cosa rappresenta questa scelta?
VB: “ARTis” non è né una fiera, né un’esposizione. Oltre a Matilde Sambo in residenza, alcuni artisti faranno delle performance, ma non ci sono mostre né progetti espositivi stabili. L’intento è quello di animare una comunità, perché in fondo il vero scopo di un festival, quando riesce bene, è soprattutto di carattere sociale e sta in un coinvolgimento il più ampio possibile di chi è la parte viva di un sistema.

Ci sono delle fonti di ispirazione tra altri eventi e festival, come ad esempio il Festival dell’Arte Contemporanea di Faenza?
MW: Direi di no. Dobbiamo restare fermi sul nostro scopo e non fare niente di quello che è stato fatto fino ad ora.

Cosa rende Vicenza il luogo ideale per un festival?
VB: Vicenza l’abbiamo scelta studiando quelle che erano le sue potenzialità in termini di popolazione, di frequenza scolastica, di ricchezza artistica. È fondamentale studiare i luoghi e incontrare le persone. Un festival per me, se devo ridurlo a un termine, è una grande piazza, un luogo dove un tempo – e ancora oggi – si scambiavano le merci, ma anche idee, esperienze, suggestioni.
MW: Vicenza è una città con una grande storia e molta arte, il che attira le persone. L’altro vantaggio, per noi, è che è piccola. Questo festival si sviluppa in tante location e la distanza è di pochi minuti a piedi tra una e l’altra, quindi, rendiamo facile il movimento. Per fare network, una città piccola funziona meglio di una grande.

Questa idea di network riguarda non solo i luoghi di Vicenza, ma anche l’internazionalità degli ospiti.
MW: Confrontarsi con l’ambito internazionale è sempre importante. Il nome stesso del festival è internazionale: “ARTis”, ossia Arte è, ma anche “artist” senza la T finale. Quindi, si tratta di completare. Un’opera d’arte è valida soprattutto quando l’osservatore la può finire con i propri occhi, mentre un’opera dove non c’è niente da completare non è arte di alto livello, ma una decorazione.

Il festival abbraccia un’idea di arte ampia, che tocca neuroscienze, ecologia, spiritualità, letteratura, femminismo. Come avete costruito un dialogo tra queste discipline?
MW: Sia io che Vittorio siamo dei pensatori laterali, il che a volte ci complica la vita, però osservare le cose solo da un punto di vista ci sembra veramente riduttivo. L’arte come arte è un’invenzione relativamente recente: l’artista prima guardava la natura come la guardava lo scienziato. La specializzazione ci fa dimenticare l’uomo universale, come se non fosse mai esistito. Peraltro, certamente non è esistita la donna universale: la cosa straordinaria è che quest’anno abbiamo tra gli ospiti Bill Sherman, il direttore del Warburg Institute di Londra, che parlerà dei 75 anni de “La storia dell’arte” di Gombrich, dove non compare neanche una donna.

Vittorio Bo
Vittorio Bo

Il programma didattico di ARTis coinvolge scuole, famiglie e grandi istituzioni museali. Come si è sviluppato?
VB: Abbiamo pensato ai laboratori didattici come dei luoghi di creazione originale, chiedendo ai musei vicentini, che hanno già delle attività educative molto buone, di portare all’attenzione degli studenti e dei docenti il tema del festival di quest’anno, l’artista. Inoltre, abbiamo invitato cinque istituzioni nazionali – il MAXXI di Roma, il Mart di Rovereto, il Castello di Rivoli, Artesella e il Museo Tattile Omero di Ancona – a sviluppare dei progetti sul tema dell’artista. Questo invito sta alimentando nei nostri interlocutori anche un interesse reciproco nello scambiarsi esperienze.

Credete, quindi, nella centralità di un’educazione artistica anche per colmare quella distanza tra arte e pubblico citata all’inizio?
MW: Non c’è arte senza artista, ma l’arte è troppo importante per essere lasciata agli artisti, quindi, partiamo dagli artisti per poi rivolgerci a chi riceve l’arte. In questo senso l’educazione artistica è importantissima e se la si fa male non dobbiamo sorprenderci se il pubblico dice di non capire e di non voler avere nulla a che fare con l’arte. Se insegniamo male le cose, in modo noioso, dalla cattedra in giù, chiaramente avremo una risposta che non include e che stufa anche noi.

State già pensando alle prossime edizioni?
MW: Il titolo del festival è uno strumento e per le prossime edizioni abbiamo pensato a cosa possiamo fare con questa affermazione, ossia usarla per fare domande. Ci può essere l’arte senza il critico d’arte? Ci può essere l’arte senza la galleria? Certe cose che caratterizzano il nostro approccio – come il rifiuto del mercato – verranno ulteriormente indagate con quelle domande.

Vittoria Caprotti

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