La Fabbrica del Vedere: un enorme archivio dedicato al cinema nel cuore di Venezia

A Venezia c’è un tesoro da scoprire: è la Fabbrica del Vedere, l’incredibile archivio di Carlo Montanaro – ex direttore della Accademia di Belle Arti veneziana – dedicato alla fotografia, al cinema e al mondo dell’immagine in genere.

L’Archivio Carlo Montanaro raccoglie i materiali più diversi dedicati alla visione, dal pre-cinema al digitale, dalle incisioni alle emulsioni foto-cinematografiche, privilegiando la riproduzione dell’immagine di Venezia nei secoli”.
Fra le tante definizioni che abbiamo trovato dell’Archivio Montanaro ‒ La Fabbrica del Vedere, questa ci è parsa essere tra le più sintetiche e pertinenti. Del resto, come fare a riassumere in una semplice, breve descrizione una collezione così eterogenea, comprendente 700 macchine di visione, fra camere ottiche, stereoscopi, lanterne magiche e reperti vari; oltre 30mila fotografie, molte delle quali introvabili “incunaboli”; 15mila titoli di film, in particolare quelli delle origini, dell’animazione e dell’avanguardia che si relaziona con le altre forme di creatività, sui supporti più svariati, 7000 volumi e una grande varietà di incisioni (a partire dal Prato della Valle di Canaletto). Congiuntamente a un’attività in costante crescita, che va dalla gestione del Fondo Francesco Pasinetti all’organizzazione di mostre, workshop, seminari fino alla pubblicazione della rivista All’Archimede.

CHI È CARLO MONTANARO

Carlo Montanaro è uno dei più importanti e stimati studiosi del cinema italiano e non solo. È stato docente di Teoria e Metodo dei Mass Media all’Accademia di Belle Arti di Venezia, di cui è stato anche direttore; docente di Teoria e Tecnica del Linguaggio Cinematografico a Ca’ Foscari. Assistente alla regia di registi quali Comencini, Quilici, Brass e autore di programmi Rai; ha scritto numerosi articoli e saggi critici; ha collaborato alla stesura di opere fondamentali quali: Storia del cinema mondiale e relativi Dizionari (Einaudi), l’Enciclopedia del Cinema Treccani e la Storia del Cinema Italiano; è organizzatore di eventi e rassegne culturali, fra le tante ricordiamo Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone.
Questo è, in estrema sintesi, il percorso professionale di Carlo Montanaro, un percorso, del resto, in continuo divenire, poiché una delle caratteristiche di questo infaticabile icononauta (e iconolatra) verte sulla perenne, curiosa, sapiente ricerca di sempre nuovi “lidi” a cui approdare. Ed è proprio il desiderio di indagare questa inesauribile curiosità il motivo del nostro incontro, visitare con lui questa singolare collezione per parlare dei progetti che la animano e l’alimentano incessantemente.
Lo scopo di questa intervista non consiste pertanto nel “mostrare” la collezione della Fabbrica del Vedere, illustrandone i contenuti ed enumerandone le mirabilia ‒ a tal uopo il sito dell’Archivio, a cui rinviamo, è davvero molto bene attrezzato ‒, piuttosto ci interessa “curiosare” attorno ai progetti, ai sogni e ai desideri che Carlo Montanaro ‒ persona schietta e cordiale, dotata di autoironia, e tanto semplice quanto grande e complessa è la sua cultura ‒nutre per futuro dell’Archivio.

Carlo Montanaro e l’acquisizione di Ars magna lucis et umbrae (1671) di Athanasius Kircher, 2018

Carlo Montanaro e l’acquisizione di Ars magna lucis et umbrae (1671) di Athanasius Kircher, 2018

INTERVISTA A CARLO MONTANARO

Come fai a tenere assieme un interesse tanto vasto temporalmente e tematicamente così diversificato, spaziando dal Seicento con l’Ars Magna Lucis et Umbrae di Kircher, del quale possiedi un originale e una ristampa anastatica da consultazione, ai giorni nostri, con Dall’argento al pixel, per citare una tua recente, fortunata pubblicazione. In cosa consiste questa tua dimensione olistica della “visione”?
È la dimensione, se vuoi, felicemente descritta dall’amico Gian Piero Brunetta nel suo prezioso il viaggio dell’icononauta, un libro-saggio dedicato alle immagini “da quando è possibile riprodurle”. Quando uscì nel 1997 io mi accorsi che era quello che provavo a insegnare e che avevo anche cominciato a cercare e raccogliere per capire meglio e testimoniare il percorso. La frequentazione con originali mi derivava dall’amicizia con Laura Minici Zotti (Museo del Precinema, Padova) che risale all’esperienza del Festival del Film sull’Arte fondato ad Asolo da Flavia Paulon, della quale per anni sono stato l’unico collaboratore; ho appreso i mestieri più diversi, rimanendo comunque refrattario a qualsivoglia pratica diplomatica. Fin da bambino ho sempre cercato di visitare il “dietro le quinte” degli eventi, di capire come funzionano le macchine, ma anche di frequentare, imparando, le persone che materialmente le gestiscono o le manovrano. Cominciando dal teatro delle marionette, e arrivando velocemente, oserei quasi dire “naturalmente”, al cinematografo. Ovvero a un modo di raccontare molto più verosimile di quanto si poteva fare sui palcoscenici o ‒ ma non ho mai pensato di fuggire in un carrozzone-abitazione! ‒ sotto i tendoni dei circhi.

Quando è nata questa passione?
Nell’aneddotica che mi appartiene, tutto è iniziato con uno shock tremendo, nell’assistere, da bambino, alla trasformazione della Regina cattiva in strega, nel film di Biancaneve, e costringendo quindi mia madre a lasciare precipitosamente una sala conquistata con fatica, data la popolarità dell’evento, nella prima riedizione del dopoguerra. Inutile dire che di Biancaneve negli anni ho collezionato cinque o sei versioni/edizioni tra pellicola, cassette e digitale…
Quello che, alla fine, mi ha sempre affascinato e conquistato è il talento della creatività e l’intuizione di quegli uomini che hanno piegato verso la comunicazione e l’arte l’aridità delle formule o delle scoperte tecnologiche, permettendo allo spettatore di uscire dalla banalità del quotidiano e di viaggiare nell’inusitato, nell’inconscio, nel bello.

Carlo Montanaro in Fabbrica con un proiettore Balilla degli anni '30

Carlo Montanaro in Fabbrica con un proiettore Balilla degli anni ’30

LE ATTIVITÀ DELLA FABBRICA DEL VEDERE

Organizzi seminari, workshop, mostre e pubblichi libri per un pubblico molto diversificato; fra le varie categorie di fruitori, ce n’è forse qualcuna, in particolare, che vorresti conquistare o che ti è più cara? Come pensi, eventualmente, di organizzare in tal senso le attività future della Fabbrica del Vedere?
L’icononauta di cui si parlava non apparteneva e continua a non appartenere esclusivamente a una élite agiata e numericamente minoritaria che ha potuto senza sforzo, ma anche spesso in modo superficiale, partecipare e godere della spettacolarizzazione delle immagini. La curiosità, la voglia, da un lato di apprendere e dall’altro di partecipare, è più tipica della gente comune oltre che della categoria degli artisti, per non dire, ma positivamente, degli artistoidi, un po’ geniali e un po’ cialtroni. Questo mi è apparso sempre più chiaro approfondendo la storia del cinema. Fosse dipeso dall’élite di cui sopra, una volta verificata la messa a punto di un ennesimo espediente tecnologico, l’avventura sarebbe finita lì. Soprattutto perché inizialmente gli eventi si celebravano in teatri e in luoghi di intrattenimento tra i più popolari, magari potenzialmente volgari e perfino pericolosi. E invece la disponibilità e la curiosità della gente comune superò ogni ostacolo appassionandosi al nuovo linguaggio di comunicazione-spettacolo; quanto è accaduto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento rappresenta questa continuità con il passato.

Spiegati meglio.
Dopo la Rivoluzione francese, a Parigi, un creativo curioso di origine belga, Étienne-Gaspard Robertson, affermava di riuscire a comunicare con i defunti evocandone le fattezze. E quando qualcuno propose con le medesime modalità esperienze simili, lo portò in tribunale, svelando che il sistema per ottenere quelle presunte materializzazioni era stato regolarmente brevettato, basandosi sostanzialmente su un utilizzo perfezionato delle proiezioni ottenibili con la lanterna magica. La stampa d’epoca diede grande risalto all’“affaire”. Ma non allontanò la gente dall’emozione che quella finzione provocava. E le fantasmagorie (questo il nome depositato a norma di legge) prefigurano in qualche modo quanto continua a intrigare ancor oggi quando si paga andando al cinema per assistere a un qualcosa che magari ci si augurerebbe di non provare mai direttamente nella vita. La Fabbrica del Vedere dovrebbe servire proprio a questo: a svelare, ripercorrendone contestualmente la storia, il percorso della spettacolarizzazione delle immagini in modo fattivo e contestuale. Circostanziandone gli ambiti (meccanica, fisica, chimica, ottica) e rivelandone le tecniche, ma cercando di mantenerne, se non di potenziarne, l’indotto emozionale. Utilizzando come campione una delle città più ambite e amate, quella Venezia che già nel Settecento era la città più costruita, abitata e ricercata, e che ancora oggi continua a suscitare il medesimo fascino, tanto da imporre di confermarne la memoria con i sistemi via via inventati e collaudati sulla sua evidenza esteriore ‒ dalla pittura alla grafica, dalla fotografia al cinema al digitale.

Carlo Montanaro in Fabbrica davanti alle Lanterne Magiche

Carlo Montanaro in Fabbrica davanti alle Lanterne Magiche

LA FABBRICA DEL VEDERE E IL FUTURO

Come definiresti la tua raccolta?
La mia raccolta è legata ai presunti minori, quegli artigiani la cui attività sconfina con l’arte, ma che rimangono in retroguardia, sorpassati dai sommi, dei quali è fin troppo facile parlare, mentre dietro di loro c’è tutto un mondo da scoprire. Un mondo di civiltà e di lavoro che l’ufficialità culturale preferisce trascurare, un mondo che permetterebbe la nascita di un Museo della città fatto anche delle piccole cose utili alla quotidianità. Nel passato, infatti, gli stessi grandi pittori altri non erano che artigiani con tanto di bottega e con apprendisti e committenti in competizione tra di loro. Di questa complessità non rimane più traccia nemmeno nella loro espressione più alta, ovvero in quelle Scuole che dell’architetto che le ha erette o del pittore che le ha decorate oggi portano solo il nome. Oggi ricercate e studiate in ricordo dell’architetto che ha le ha erette o del pittore che le ha ‒ udite udite ‒ “decorate”, più che dei mestieri che rappresentavano.
Mi auguro che questo mio impegno ‒ che al momento pare interessare a pochi, poiché quell’ufficialità preferisce confermare i massimi sistemi ‒ possa rimanere vitale e accessibile anche quando verrà a cessare il mio apporto culturale ed economico.

Quale futuro immagini per la Fabbrica del Vedere e in particolare come, guardando al mondo digitale ‒ divenuto oggi così pervasivo nelle nostre vite ma che, come vai ribadendo, è il risultato naturale di quel progresso tecnologico i cui prodromi sono visibili anche nella tua collezione ‒, ritieni che esso possa, in chiave produttiva e conservativa, ma anche divulgativa e occupazionale, entrare nella Fabbrica del Vedere?
In realtà il digitale non può non essere già presente in Fabbrica. Non lo possiamo escludere, nel bene e nel male, dalla nostra quotidianità, figuriamoci da un luogo che prova a trovare, conservare ed esibire immagini. Fa sorridere solo pensare che per gestire un filmato in un formato “home movie” e quindi non professionale, nel corso di cinquant’anni, io possa averlo posseduto in 8 mm (2×8 o super8), 16 mm, in un video su bobina nastro libero, poi su almeno tre formati/sistemi di videocassetta, in laserdisc, in Digital Versatile Disc (DVD) e ora, dopo un iniziale passaggio in USB pen drive (memoria di massa o chiavetta), io sia costretto a cercarlo totalmente smaterializzato richiamandolo, tramite il PC, dalla mia personale “nuvola”.
Al di là della foggia e della concezione inizialmente meccanica e poi informatica delle apparecchiature, il filmato in oggetto può divertire, interessare, essere alla base di un insegnamento o di un approfondimento sempre e comunque “proiettato” su una superficie bianca. Quello che non è cambiato, alla fine, è l’utilizzo e il modo di viverlo in un evento che speriamo continui. Con lo spegnimento della luce ambiente, il godimento collettivo, nell’oscurità, dei segni trasmessi verso lo schermo, avvolti nell’accompagnamento di musica e parole. Quello che mi preoccupa di più non è tanto la tecnologia che cambia ‒ con una velocità che tende velocissimamente a cancellare anche le tappe intermedie comunque effettuate ‒, quanto la sempre maggiore facilità di gestione che ne legittima l’utilizzo. Ormai tutti sono registi, tutti fanno i filmmaker, tutti gestiscono le immagini come se fosse la cosa più semplice e naturale del mondo. Quando invece, in realtà, se son cambiate le tecnologie, non lo sono le regole. Quindi, per riciclare il titolo di un vecchio film, “la guerra continua”, cerchiamo di ridimensionare le facilonerie e di rivedere l’oggi in funzione di una storia complessa e varia, piena di opere straordinarie di autori importanti. I materiali sono consultabili in analogico e/o in digitale nella Fabbrica del Vedere: vedere per credere!

Adriana Scalise

www.archiviocarlomontanaro.it

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Adriana Scalise

Adriana Scalise

Adriana Scalise lavora presso l'Archivio della Biennale di Venezia, laureata in Lingue Orientali (Arabo) e in Conservazione dei Beni Culturali (Storia dell'Arte) da oltre dieci anni nutre interesse nei confronti della Fotografia nelle sue varie declinazioni (storia, estetica e pratica…

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