Vent’anni d’arte alla Farnesina. Intervista a Umberto Vattani

Parola all’Ambasciatore Umberto Vattani, cui si deve lo sviluppo della Collezione Farnesina, che festeggia il suo ventennale e che oggi conta circa cinquecento opere concesse in comodato gratuito ed esposte nella sede del Ministero degli Esteri.

La Collezione Farnesina celebra in questi giorni i vent’anni dalla propria fondazione, con nuovi prestiti che si aggiungono alle quasi cinquecento opere ospitate nel Ministero degli Esteri, accessibili anche attraverso Google Art and Culture. Ne abbiamo parlato con l’Ambasciatore Umberto Vattani, sostenitore del progetto fin dall’inizio.

L’idea di sviluppare la Collezione Farnesina nasce nel 1999 su sua iniziativa, quando era Segretario Generale del Ministero degli Esteri. Da quali riflessione si sviluppa l’idea di impiegare delle opere d’arte del Novecento negli spazi del Ministero e per promuovere la cultura del nostro Paese?
Guardando indietro non si poteva fare a meno di constatare quanto si fosse straordinariamente arricchito il panorama artistico italiano. Artisti come Marino Marini, Afro, Dorazio e Mirko Basaldella si erano confrontati con le più avanzate ricerche internazionali e avevano attirato, a partire dal dopoguerra, l’attenzione di galleristi e collezionisti degli Stati Uniti, Paese emerso come egemone dopo la Seconda Guerra Mondiale. I nostri artisti hanno poi influenzato – si pensi ad esempio a Burri – personalità di primo piano come Rauschenberg e Twombly, ma ciononostante per molti l’Italia restava sempre la terra di Giotto, Michelangelo e Caravaggio. Sin dal primo momento riuscii a far capire che lo spazio grandioso di cui disponeva la Farnesina era atto a ricevere opere contemporanee, anche di grandi dimensioni, e poterle offrire a diplomatici, visitatori o delegazioni straniere. Potendo contare su una importante rete di ambasciate, Consolati e Istituti di Cultura, il Ministero degli Esteri avrebbe così potuto far meglio conoscere le profonde trasformazioni avvenute nel dopoguerra. Le grandi istituzioni come MAXXI, Mart, Madre e Museo del Novecento a Milano non erano ancora apparse all’orizzonte.

MAECI - Ministero degli Affari Esteri. Facciata. Photo Giorgio Benni

MAECI – Ministero degli Affari Esteri. Facciata. Photo Giorgio Benni

Suppongo non sia stata immediata l’attenzione ricevuta dal Ministero. Quali sono state le reazioni di dipendenti, dirigenti e diplomatici?
Non tutti prestano una particolare attenzione all’ambiente in cui lavorano. L’arrivo delle opere creò, sin dal loro apparire negli atri del Ministero, una prossimità, una presenza nuova e inaspettata che costrinse molti diplomatici a rendersi conto che avrebbero, da allora in poi, dovuto condividere lo spazio con degli sconosciuti. Per dirla con Heidegger, le grandi sculture di Marini, Martini, dei fratelli Pomodoro e di Paladino, “aprono al prodigioso e rovesciano l’ordinario”. Quando fui destinato a Bruxelles per preparare la Presidenza dell’UE del 2003, un Ministro poco sensibile all’arte pensò bene di smantellare la Collezione e di restituire fino all’ultima le oltre centocinquanta opere che avevamo raccolto. L’intervento provvidenziale di mio fratello Alessandro, allora Ispettore generale dell’Amministrazione e delle sedi all’estero, ne impedì la dissoluzione.

Il progetto è basato sul comodato gratuito. Il prestatore lascia a disposizione l’opera, che viene allestita nelle sale di rappresentanza e negli uffici in cui operano i diplomatici. La logica iniziale era finalizzata a delineare le principali tendenze del Moderno, mentre poi sono arrivate opere contemporanee. Ci può spiegare come si è sviluppata la collezione con questo criterio di carattere museale?
La collezione condivide l’impostazione di base secondo la quale le opere non sono una decorazione, bensì parte integrante dell’ambiente e raccontano il Paese attraverso i protagonisti della ricerca artistica. Per sottolineare questo aspetto, furono inizialmente collocate nei luoghi aperti, negli atri, nello Scalone d’Onore, nei corridoi. Con l’aumento del loro numero fu giocoforza sistemarle anche nelle sale di rappresentanza e di riunione. Ma il concetto di un percorso, di un itinerario è sempre lì ed è stato opportunamente evidenziato con la creazione di un Floor Plan. Le opere hanno ora raggiunto il rilevante insieme di quasi cinquecento unità: sono prestate degli artisti, dai loro familiari o dalle Fondazioni.

Era stata scartata l’idea di acquisirle?
Il Ministero non avrebbe mai potuto farlo. Avere invece adottato la formula del comodato consente alla Collezione Farnesina di essere, rispetto a un museo, una creazione in continuo divenire: le opere rimangono in esposizione per un certo periodo, ma poi tornano al legittimo proprietario. Il Ministero ha infatti sempre rifiutato di acquisirne la proprietà, anche nei non pochi casi in cui gli artisti hanno proposto di donarle. Si crea infatti un rapporto particolare tra comodante e comodatario, proprio perché la generosità del primo è tale da non attendersi alcuna contropartita. Sono molto grato a Pietro Consagra che fu il primo a concedere in prestito una sua grande scultura, dando poi l’esempio a tanti suoi colleghi.

MAECI - Ministero degli Affari Esteri. Sala Forma. Photo Giorgio Benni

MAECI – Ministero degli Affari Esteri. Sala Forma. Photo Giorgio Benni

Ora la collezione celebra il ventennale con l’ingresso di un cospicuo numero di opere di autori come Burri, Pascali, Zorio, Calzolari, ma anche di artisti quarantenni come Luca Pozzi o Emanuela Becheri e opere realizzate recentemente. È una nuova direzione ed è, forse, una scelta anche politica…
Ho sempre pensato che gli antichi fossero nel giusto nel ritenere che il passato fosse davanti e non dietro di noi. Dietro di noi è il futuro, che è invisibile ed è ancora nel processo di divenire a noi precluso. Davanti a noi ci sono ovviamente i grandi artisti del passato, ma anche coloro che hanno lasciato opere più recenti, fino agli artisti più giovani. Proprio perché sono davanti a noi, non possiamo ignorarli.

Si è discusso molto, anche recentemente in occasione della Biennale di Venezia, della scarsa presenza degli artisti italiani nelle mostre e nei contesti espositivi più significativi. Paghiamo forse lo scotto di non avere una politica culturale degna di un Paese fra le prime sette potenze, e la nostra classe dirigente pare non aver ancora capito come i sistemi culturali siano in competizione esattamente come accade con le economie. Quali proposte potrebbero essere a suo giudizio significative in questa situazione?
È curioso che la Biennale di Venezia, la madre di tutte le Biennali, negli ultimi anni non abbia dedicato all’arte italiana uno spazio adeguato. Forse è indicativo della disattenzione delle nostre politiche culturali. Fu un atto di straordinaria generosità cedere il Padiglione centrale e conservare per noi solo un piccolo padiglione, per di più periferico, alla fine dell’Arsenale. Occorrerebbe rovesciare quest’atteggiamento rinunciatario e poco attento al ribollire dell’arte contemporanea nazionale. Mi appello al ministro Bonisoli, che ho visto molto attento a queste problematiche, affinché questa condizione defilata venga finalmente mutata per restituire al ventaglio delle proposte artistiche dell’arte contemporanea il giusto palcoscenico. Da parte sua la Farnesina – che ha realizzato uno dei pochi esperimenti di successo in una istituzione pubblica nel nostro Paese – potrebbe inoltre fare anche di più: ad esempio esporre, in concomitanza con la Biennale, le opere di alcuni artisti presenti nella Collezione. Si tratterebbe di un padiglione sui generis votato a promuovere, sulla falsariga di quanto accade a Roma e nelle sue sedi all’estero, artisti emergenti di talento.

Daniele Capra

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Daniele Capra

Daniele Capra

Daniele Capra (1976) è curatore indipendente e militante, e giornalista. Ha curato oltre cento mostre in Italia, Francia, Repubblica Ceca, Belgio, Austria, Croazia, Albania, Germania e Israele. Ha collaborato con istituzioni quali Villa Manin a Codroipo, Reggia di Caserta, CAMeC…

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