Di imperi e francobolli. Intervista con Flavio Favelli

Questa è una storia che inizia con un nonno che colleziona francobolli, passa dai Savoia ai repubblichini, finisce su un muro in provincia di Bologna e poi in Realtà Virtuale. Una storia che ci siamo fatti raccontare da Flavio Favelli.

Partiamo da un dato biografico: a Valsamoggia, in provincia di Bologna, vivi da vent’anni. Perché hai scelto un luogo così appartato?
È stato un caso. Stavo frequentando un artista con un vissuto particolare, Bruno Pinto (nato nel 1935) che abitava a Monteveglio, vicino a Bazzano, nel primo Appennino bolognese, dove Giuseppe Dossetti aveva fondato una comunità. Mi disse che poco distante, a Savigno, c’era un fienile in vendita. Da qualche anno c’è un comune unico che li comprende e si chiama Valsamoggia. Sono andato a Savigno per avere un grande studio, per lavorare meglio che in centro città.

Serie Imperiale ha avuto una gestazione molto lunga e stratificata. Partiamo dalla prima fase, con la realizzazione dei due wall painting. Che luoghi hai scelto e perché?
Sono due luoghi di Bazzano desueti ed evocativi, distanti e vicini allo stesso tempo; sono posti alla fine anche un po’ tristi – la saletta della Casa del Popolo è uno stanzone squallido con neon che un po’ sfarfallano e la ex Coop è un supermercato abbandonato che a breve sarà demolito ‒, ma che mi piacciono molto. Stare in quei luoghi è come fermare il tempo, fanno parte della mia immaginazione, sono posti elettivi. Amo i luoghi lontani dal tempo, precari, di semi abbandono, lasciati a se stessi, ma anche dimenticati e sbragati e scassati. E poi, dopo la questione formale, viene quella concettuale.

Concettuale?
Sì, questi luoghi sono centrali (uno è stato centrale, l’altro è sempre in evoluzione), sono il luogo della politica partecipata e di colore rosso e il luogo del mercato (al coperto): sono la nostra storia e la storia dell’Emilia, per molti aspetti una terra faro per il Paese. Preciso però che è forse stato il destino – e il momento storico – a offrirmeli: parlando col direttore della Fondazione Rocca dei Bentivoglio, ex sindaco di Bazzano, erano i due spazi con meno vincoli e più semplici da occupare. Oggi sono i luoghi scarichi ad accogliere l’arte. Ho saputo poi che la Casa del Popolo è in vendita.

Fasi dello strappo del wall painting Serie Imperiale (Zara) di Flavio Favelli, Casa del Popolo, Bazzano (Bologna), 2018. Foto di Dario Lasagni

Fasi dello strappo del wall painting Serie Imperiale (Zara) di Flavio Favelli, Casa del Popolo, Bazzano (Bologna), 2018. Foto di Dario Lasagni

Le opere sono poi state “strappate”, come si dice per affreschi e murales. Perché questa rimozione? Sappiamo bene – la vicenda di Blu a Bologna lo insegna – che si tratta di un’operazione sempre controversa. Ci spieghi le motivazioni che ti hanno portato a questa scelta?
Già nel 2014 avevo fatto strappare un mio murale da una casa in via Belle Arti a Bologna. Ho conosciuto anni fa il restauratore Camillo Tarozzi e ho pensato di coinvolgerlo. Questa pratica l’associo più a Rotella che a Blu, cioè l’asportare e prendere cose dalla strada, anche se in questo caso ci vuole una tecnica complicata. Nelle mie opere ho sempre usato materiali e oggetti “originali” per il loro significato e così questi muri con una storia e un valore così complicato dovevano essere salvati; solo loro possono essere i supporti giusti di questo progetto. Sono materiali in qualche modo nobili.

Sugli stessi muri hai poi operato una “Otturazione”. In cosa è consistita?
Quello che rimane dal “ratto” di solito è un segno che si lascia o si “chiude” oppure rimane solo come traccia dell’asportazione. Questi segni tecnici a volte hanno forme e figure per me molto interessanti e con una loro bellezza; sono come delle pezze, dei collage appunto di forme su superfici e allora me ne sono occupato. Quello alla Casa del Popolo è stato tamponato e otturato con della tempera bianca, quello alla ex Coop, più che un oggetto trovato, è un segno voluto e riconsiderato e riassunto come opera. È il risultato di un processo articolato che ha prodotto una specie di fantasma fra ombre e colori stinti.

La penultima fase coinvolge la VR. È la prima volta per te, giusto? Qual è la sua funzione nel progetto Serie Imperiale?
È stata un’idea di Elisa Del Prete, è un dispositivo che conserverà tutta l’operazione, perché prima o poi, e in maniera differente, le due stanze non ci saranno più.

Flavio Favelli, Zara, 2018. Photo Dario Lasagni

Flavio Favelli, Zara, 2018. Photo Dario Lasagni

L’ultima fase è la mostra, appena inaugurata alla Rocca dei Bentivoglio. Cosa è esposto? Come hai selezionato i materiali di un’opera che vive del suo stesso processo di esecuzione?
Oltre alle due “otturazioni” sui muri, rimane un dittico, due quadri, le “pitture strappate” che sono due tele che per soggetto hanno due francobolli ingranditi che raffigurano Vittorio Emanuele III con dei timbri della Repubblica Sociale Italiana e Zara in faccia. Sono francobolli desueti (il primo raro) che ho cercato e trovato in questi anni e che rappresentano immagini complesse e stratificate. Cosa fa l’artista se non cercare di riproporre, di riappropriarsi e di rifare delle immagini? È quello che ho fatto come maneggiare delle scatole cinesi, dove compaiono sempre differenti situazioni e significati.

Chiudiamo con quella che potrebbe essere la prima domanda: cosa “rappresenta” la Serie Imperiale e perché la scelta è ricaduta su queste immagini?
Per il bando dell’Italian Council – lo Stato chiede di sottoporre un progetto – ho voluto cercare di costruire, ricostruire e sviluppare, quindi modificare e alterare, una faccenda sostanzialmente privata, ma che pone questioni ancora pesanti per il Paese e non ancora risolte (già il nome che presuppone un impero). Tutto nasce dall’uso della mia famiglia tradizionale borghese di fare la collezione dei francobolli (cultura e investimento insieme). Mio nonno, da buon filatelico, era convinto di “formare” il nipote con un immaginario sobrio, “alto”, virtuoso e nobile, confidando che le immagini di potere e di una bellezza condivisa avrebbero costituito una persona saggia e avveduta.
Questi due bollini viola fanno parte di quelle tante “cose” che hanno accompagnato la mia vita nel passato; sono due immaginette del re (per puro caso, poco dopo che avevo mandato il progetto, si è aperta una grande polemica sul ritorno della salma in Italia del sovrano di casa Savoia) “storpiate” da timbri (che in filatelia si chiamano soprastampe) di enti occupanti. In particolare una, quella col timbro RSI (Repubblica Sociale Italiana) è una varietà – una specie di errore: il timbro di solito era uno, in questo caso sono tre. Quindi ho ingrandito e dipinto su muro, su quei muri, i due francobolli imperiali offesi da eserciti e amministrazioni di occupazioni violente, cambiando il loro stato di immagini filateliche e liberandole dalla cornice dentata che li ingabbia. Dilatandoli su muro, abbandonano la loro collocazione precisa e diventano altre cose, capaci di generare nuovi teatri.

Marco Enrico Giacomelli

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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