Dopo il Leoncavallo a rischio sfratto anche i centri sociali veneziani
È di venerdì 22 agosto l’intervento del Senatore Raffaele Speranzon (Fratelli d’Italia), che promette lo sgombero degli spazi indipendenti veneziani Sale Docks, Morion e Rivolta sulla scia di quanto fatto al Leoncavallo di Milano. Qui un’intervista con Marco Baravalle di Sale Docks

Lo spazio collettivo indipendente Sale Docks nasce nel 2007 in seguito all’occupazione di uno dei Magazzini del Sale a Dorsoduro. Nonostante l’occupazione, che viene rivendicata come strumento per restituire la città ai cittadini, Sale Docks paga regolarmente un canone annuo al comune dal 2012. Da quasi 20 anni, è un punto di riferimento per la scena indipendente veneziana, anche e soprattutto per il forte impegno nell’attivismo politico. Le minacce di sfratto del Senatore di Fratelli d’Italia Raffaele Speranzon, che si rivolgono anche ai centri veneziani Morion e Rivolta, sono l’ennesimo attacco ad un modo di fare cultura lontano dalle logiche di profitto e di turistificazione della città. Un attacco che – visto quanto accaduto al Leoncavallo di Milano – assume i toni di una dichiarazione d’intenti come al solito becera e superficiale. Abbiamo intervistato il ricercatore, curatore, docente e attivista Marco Baravalle – membro di Sale Docks – per farci raccontare l’impegno portato avanti in questi 18 anni di produzione culturale, la cui interruzione costituirebbe una grave perdita non solo per chi ha vissuto Sale Docks, ma per tutti coloro che sognano una Venezia indipendente dalla capitalizzazione sfrenata e strafottente dei suoi spazi. Condividiamo di seguito anche il post instagram di Sale Docks in cui si denuncia l’accaduto.

Intervista a Marco Baravalle di Sale Docks
Da quale esigenza nasce Sale Docks?
Nasce da una duplice esigenza: dare vita ad un centro di produzione artistica non neoliberale e costruire un luogo per l’organizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori della cultura, a Venezia.
Cos’è oggi Sale Docks e come è cambiato rispetto al momento in cui è nato (se è cambiato)?
Nel 2027 compiremo 20 anni. Molto è cambiato, ma in coerenza rispetto alle intenzioni iniziali. Oggi, ad esempio, Sale Docks è diventata la casa di Biennalocene (un progetto nato dalla complicità tra noi, l’Institute of Radical Imagination, Mi Riconosci? e all’ADL Cobas), un’assemblea di lavoratori dell’arte che sta, in queste settimane, lavorando per costruire in città lo sciopero generale della cultura, in programma il prossimo autunno. Continuiamo ad organizzare e ospitare mostre e molti altri progetti. Abbiamo appena concluso un workshop con due artisti tedeschi, Andreas Siekmann e Alice Creischer, laboratorio che ha incluso una lecture su alcuni dipinti veneziani del Quattrocento (rivisti in chiave ecologico-contemporanea), la visita a due archivi cittadini delle lotte operaie contro la nocività di fabbrica e la produzione di collage. Ad ottobre apriremo una mostra sul tema dell’acqua, si intitola Contested Waters, curata dalla taiwanese I-Yi Hsieh. Ovviamente, continuiamo le nostre collaborazioni con soggetti locali. Abbiamo ospitato una tre giorni a cura dell’Assemblea permanente IUAV (un’assemblea studentesca di una delle università cittadine) che ha fatto un lungo lavoro sulla Palestina, soprattutto dal punto di vista di chi studia architettura e urbanistica. Altro esempio, stiamo lavorando con XR Venezia che ci ha proposto alcune giornate di laboratorio sul tema “performance e lotta”. Ovviamente, per chi conosce le grammatiche di XR, il nesso tra lotta e performance non è solo tematico, caratterizza la prassi del gruppo.
Cosa significa esistere in quanto realtà indipendente a Venezia?
Indipendenza oggi è, ad esempio, poter liberamente parlare di Palestina senza temere di essere licenziati o tacciati di antisemitismo, senza ritorsioni o autocensure (a proposito di safe space). Noi, ad esempio, abbiamo recentemente ospitato tre curatori palestinesi, arrivati in rappresentanza di OWNEH: un progetto che consorzia circa trenta gruppi e istituzioni culturali palestinesi allo scopo di liberarli dalla dipendenza nei confronti dei finanziamenti stranieri. Finanziamenti oggi legati all’accettazione di una narrazione coloniale di ciò che avviene in Palestina. Stiamo iniziando a parlare di filantropia tossica, un problema che, sia chiaro, riguarda anche l’Occidente e che declina il lavoro di decolonizzazione oltre le politiche dell’identità (ormai sussunte dal mercato).
È possibile una coesistenza mutualmente proficua tra scena istituzionale e indipendente?
Se la prima è politicamente alleata della seconda, sì; se la seconda è ancella della prima, no. Oppure si può giocare “di rapina”, ma se vuoi prendere il bottino e fuggire, devi avere “un’isola pirata” in cui investirlo, il suddetto bottino. Cioè, il rapporto tra scena istituzionale ed indipendente deve essere funzionale a costruire più autonomia, non a creare più dipendenza.
Sale Docks si caratterizza anche per un forte impegno politico: pensi che la partecipazione e l’attivismo siano inscindibili da una programmazione culturale indipendente?
No, non sono inscindibili. Dico però una cosa, non ho mai capito come si fa a lavorare tanto con concetti teoricamente radicali e poi trattarli come “temi”. Noi cerchiamo di prendere sul serio il potenziale trasformativo di questi immaginari radicali che troppo spesso popolano il mondo dell’arte semplicemente come trend, come buzzword, ridotti alla mansuetudine.
Ti riconosci nel termine “resistenza”?
Non è che mi alzi la mattina con l’ossessione di incarnare il termine resistenza. Forse, in qualche modo, resistiamo al trend che vorrebbe Venezia sempre meno popolata di progetti indipendenti e sempre più occupata da spazi artistici legati a grandi capitali privati. Resistiamo alle sirene della filantropia tossica (di cui esistono chiare espressioni anche a Venezia, ma siccome c’è qualche soldino in ballo, spesso si fa finta di non vedere). Forse, resistiamo all’endemica precarizzazione del lavoro artistico.
Alberto Villa
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