9 stand da non perdere ad Art Basel Paris 2025. La più importante fiera al mondo
Ormai, per la compresenza di tanti fattori, quella di Parigi a ottobre è diventata la più importante fiera d’arte contemporanea del mondo. Ecco come è andata e quali sono alcuni stand da vedere

La novità più chiacchierata di quest’anno per quanto riguarda la fiera Art Basel Paris è il fatto che l’apertura è stata anticipata – per qualche migliaio di fortunati invitati – al martedì. Una preview della preview che già avevamo raccontato ai lettori della nostra newsletter sul mercato dell’arte Incanti (che nel frattempo ha superato i 30mila abbonati, incredibile). Come è andata l’avant premier? A seconda dei punti di vista: da una parte ha permesso una inaugurazione meno affollata spalmando i visitatori dell’opening su due giorni, dall’altra ha lasciato deluso qualcuno, visto che un pre-opening di sole 4 ore ha favorito solo le destinazioni più ambite e molto meno le altre gallerie: i collezionisti della primissima ora sapendo di avere a disposizione soltanto un pomeriggio si sono fermati nella billionaire row (l’area centrale del padiglione principale, dove stanno le mega galleries) e poi hanno avuto ben poco tempo per circolare altrove, ancor meno ai piani superiori dove tra l’altro stanno gallerie e stand con progetti molto interessanti.
Le fiere sono diventate noiose?
Ma un momento: Art Basel Paris è ormai la fiera d’arte contemporanea più importante del mondo. Possibile che l’argomento del giorno non parli di contenuti, ma parli di giorni di apertura? Una piccola anomalia che racconta lo scenario, un palcoscenico nel quale sottovoce mercanti, collezionisti, galleristi sussurrano una parolina che da tempo è ripetuta dagli artisti: noia. Le fiere d’arte sono più o meno tutte uguali (alle volte, e ad Art Basel Paris succede che siano uguali perfino gli stand, a distanza di pochi passi!), sono ravvicinate in maniera paradossale e malata e danno molta più fatica che gioia nella visita e nella frequentazione.

Se la noia fa fare business, pazienza
Tuttavia la noia non è il mal di schiena: cioè è una condizione che può essere spiacevole, ma può essere anche neutra. O perfino rassicurante. Specie se si associa a opportunità economiche da cogliere, a fatturato da registrare, a margini di guadagno da portare a casa. Finché ci sarà questo bacino, le fiere continueranno a prosperare sebbene i loro clienti – le gallerie – comincino a chiudere e a fallire, cadendo giorno per giorno come birilli al bowling. C’è un bollettino di guerra quotidiano e in larga parte le responsabili sono le fiere stesse. Un circolo vizioso che per alcuni è un circolo virtuoso. Starà tutto in piedi finché il numero dei beneficiati sarà superiore a quello dei penalizzati, dopodiché questo sistema oggettivamente noioso e un po’ fuori dal tempo deciderà di cambiare.
Tutta questa premessa per dire che quella di Parigi 2025 è una scadente edizione di Art Basel? Ma neppure per sogno. Certo, a Frieze London avevamo avuto qualche sussulto in più e per qualche istante ci siamo sentiti perfino vivi. Sotto le volte di vetro del Grand Palais si punta molto di più al sodo. Le grandi major che esattamente come nel mondo del cinema si spartiscono le produzioni più redditizie e famose ad esempio si sono presentate con il legittimo obiettivo di fare cassetto e lo hanno fatto. Alcuni (Marian Goodman) hanno azzardato alcuni allestimenti monumentali che ci hanno ricordato qualche gloriosa edizione Anni Dieci della FIAC; altri hanno fatto parlare di sé gettando sul tavolo pesi massimi, tipo il Rubens (con tanto di inevitabile guardianìa dedicata) nello stand di Gagosian. Ma nessuna delle megas è entrata questa volta nella nostra classifica dove cerchiamo di inserire gli stand dotati di qualche peculiarità, di qualche unicità, di qualche rischio o di qualche afflato curatoriale. Questo non vuol dire che se andrete a fare un giro negli stand di Zwirner, Hauser&Wirth, Pace, Gladstone o White Cube rimarrete delusi. Anzi. Però, la nostra selezione è questa qua sotto.
FOKSAL

I nuovi dipinti di Paulina Olowska, le ceramiche di Pawel Althamer, i collage tessili di Malgorzata Mirga-Tas che già aveva dato del suo meglio a Frieze e che è presentissima anche in altri stand qui. E in fondo due quadri piccoli datati 2025 di Wilhelm Sasnal, che non sarà il Sasnal degli anni d’oro ma è sempre Sasnal. Notevolissimi anche gli oli su marmo di Karol Palczak. Al centro cinque nuove sculture di Monika Sosnowska in cemento e alluminio.
ANTON KERN

Quello del gallerista newyorkese potrebbe sembrare a una prima osservazione un normalissimo stand con tutti i migliori nomi della scuderia ben rappresentati ed esposti. Una mostra collettiva per cercare di massimizzare i risultati commerciali. Non ci sarebbe nulla di male, ma in realtà si tratta di un progetto espositivo con delle interessanti articolazioni. C’è una parete che sembra una quadreria con le opere sempre ironiche su carta di David Shrigley, all’interno della quadreria c’è un buco dal quale si può guardare una saletta espositiva all’interno. Poi c’è una specie di area focus con una colorazione diversa delle pareti, dove si trovano le sculture di Francis Upritchard, lampade incluse. Nel resto dello spazio tutti i bei nomi di questa galleria e infine sedie e scrivania firmate da Martino Gamper, in vendita naturalmente.
MATTHEW MARKS

Solitamente non sbaglia un colpo e non lo sbaglia neanche questa volta. La galleria scommette, come da abitudine, sull’eleganza tagliente e sui grandissimi nomi della sua scuderia, il display è aiutato dal posizionamento esattamente di fronte all’ingresso principale della fiera e in asse con il tetto trasparente del Grand Palais. A terra c’è una scultura di Trisha Donnelly, alle pareti Jasper Johns, Pablo Picasso, Robert Gober, Ellsworth Kelly. Il lavoro grande in fondo è una nuovissima tecnica mista su lino di Laura Owens.
PETER FREEMAN

In una parte decisamente molto variopinta della fiera (forse anche troppo) ci si imbatte finalmente nello stand minimal, duro, tagliente di Peter Freeman. A terra nove sculture in metallo di Walter de Maria sulle quali si specchia un neon di Dan Flavin tra i primi ad essere realizzato in due colori; poi ci sono Franz Erhard Walther, inconfondibile con un riadattamento di un lavoro di 40 anni fa, Silvia Bachli, Richard Tuttle e Fernanda Gomes. Una grande parete è dedicata alle opere nei box di cartone di Robert Filliou.
CARDI

Una galleria italiana che in una grande fiera internazionale si fa carico di presentare esclusivamente arte italiana? Raro. Rarissimo. Ma non impossibile. Questa volta ci pensa Cardi che allestisce uno stand candido all’interno del quale inserisce opere importanti di Mimmo Palladino, Domenico Bianchi, Gianni Kounellis, Giulio Paolini, Dadamaino (da vedere assolutamente anche nello stand di Frittelli), Mimmo Rotella e Carla Accardi. A fare da perno verso i corridoi, una scultura in materiale sintetico di Vincenzo de Cotiis.
KARSTEN GREVE

Non è la prima volta che ci capita di premiare il gallerista Karsten Greve, scusateci ma dobbiamo ripeterci. Una serie di sculture degli Anni ’90 di John Chamberlain e dietro un ingresso piccolo che però prelude a un ambiente ampio e chiaro. Una serie di lavori monocromi alle pareti dell’artista cinese Qiu Shihua scomparso quest’anno. Al centro dello stand un sorprendente bronzo di Cy Twombly, in un angolo tre sculture di Louise Bourgeois e in un altro angolo opere di Joseph Beuys. Vendutissimi i piccoli oli su tela di Gideon Rubin. Plus: tutto lo stand è disseminato di libri e cataloghi dedicati agli artisti e editati negli anni dalla galleria stessa.
EVA PRESENHUBER

Anche quest’anno la mitologica gallerista austriaco-svizzera si prende di diritto un posto nella nostra classifica con lo stand più estremo di tutta la fiera. Uno spazio nel quale le persone hanno addirittura timore a entrare. Sembra un altro pianeta, una soglia da non superare, un mondo ostile nonostante i colori pop. C’è tantissimo spazio ma le persone restano tuttte fuori. Pareti e pavimento grigi e dentro semplicemente tre imponenti sculture di Ugo Rondinone. La gallerista, orgogliosa, girava con uno smartphone mostrando in videocall lo stand.
KURIMANZUTTO

La galleria messicana con sede anche a New York si prende la briga di allestire uno stand di caratura museale, costruito come un’autentica retrospettiva dell’artista Marta Minujín. Ci sono opere più recenti, opere realizzate quest’anno, opere a parete, installazioni immersive e interattive e alcuni lavori storici risalenti ai primissimi anni di carriera (gli Anni Sessanta) di questa importante artista concettuale e performer argentina.
JAN KAPS

Davvero spettacolare e al contempo profondo lo stand della galleria di Colonia. Tre quadri dell’artista etiope Selome Muleta dedicati al tema del corpo femminile. Poi le batterie di piccole sculture antropomorfe in legno della sudafricana Helena Uambembe, che parla di politica e di colonialismo ed espone anche lei due quadri. Tutte e due le artiste trentenni espongono su pareti ricoperte di una particolare ‘carta da parati’ fatta di una leggerissima rete metallica rosacea.
Massimiliano Tonelli
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