Trademark bomber: qualche riflessione sul marchio di Banksy

Giovanni Maria Riccio, professore di Diritto comparato d’autore all’Università di Salerno e avvocato presso lo studio legale E-Lex, approfondisce la querelle legata al marchio di Banksy.

Lo scorso 14 settembre, l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) ha dichiarato la nullità del marchio “Flower Thrower”, costituito dall’opera omonima dell’artista Banksy. Il marchio in questione era stato depositato dalla Pest Control Office Limited, la società che difende i diritti dello street artist di Bristol. L’EUIPO ha decretato la nullità del marchio per malafede del depositante, sulla base dell’art. 59 del Regolamento UE n. 1001/2017 sul marchio dell’Unione Europa.

BANKSY E LA QUESTIONE DEL MARCHIO

Giova ricordare brevemente i fatti da cui ha tratto origine la decisione. Il deposito del marchio in questione segue una controversia tra il Pest Control Office e la Full Color Black Ltd., società che commercializza cartoline e altri gadget con opere dell’artista, relativa alla legittimità di un marchio costituito da altra opera dell’artista (Flower Bomber). Difatti la Full Color si era opposta a tale registrazione affermando che il marchio non avesse capacità distintiva e fosse stato depositato in malafede. In risposta, l’artista, sempre per mezzo del Pest Control Office, aveva creato un negozio a Londra, denominato “Gross Domestic Product”. In realtà, più che di un punto vendita si trattava di un’installazione, realizzata – stando a quanto dichiarato dall’artista – esclusivamente per aggirare le regole della proprietà intellettuale, senza un reale intento commerciale. Tali dichiarazioni sembrano essere alla base della pronuncia dell’EUIPO che ha infatti affermato che non vi sarebbe la reale intenzione di utilizzare il marchio depositato.
Le conclusioni cui giunge l’Ufficio, al di là dell’eco mediatica suscitata a livello internazionale, meritano alcune osservazioni.

Banksy™ Thrower

Banksy™ Thrower

BANKSY E LA MALA FEDE

Innanzi tutto, pare discutibile che la nozione di mala fede sia associata alla presunta volontà di non utilizzare realmente il marchio: difatti, se valesse tale principio, occorrerebbe effettuare un’indagine sulle dichiarazioni di tutti i soggetti che effettuano un deposito, dichiarazioni che potrebbero essere rese, come nel caso di specie, anche con mere finalità provocatorie. È appena il caso di osservare, difatti, che l’intenzione di utilizzare un marchio è requisito che vale nel diritto inglese, ma che non trova cittadinanza nella disciplina comunitaria.
Non ci si deve dimenticare, peraltro, che la mala fede è un criterio non definito dalla normativa UE (cfr. le conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli, Goldhase, C‑ 529/07, EU:C:2009:148, par. 35, 36 e 57), che però è generalmente associato al perseguimento di un vantaggio indebito per mezzo di comportamenti abusivi (cfr. le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret AŞ c. EUIPO, C‑ 104/18, EU:C:2019:287, par. 31 e 32).
In secondo luogo, si sarebbe potuta attendere la decadenza, frutto del non uso effettivo del marchio nei cinque anni dalla registrazione, ancorando il venir meno dei diritti a una valutazione ex post e non anticipatoria, fondata, appunto, su parametri oggettivi e non sulla volontà del depositante.

BANKSY E IL DIRITTO DI AUTORE

Discutibile è anche l’affermazione formulata, seppur in via incidentale, dall’EUIPO secondo cui l’opera non potrebbe essere tutelata dal diritto d’autore, perché realizzata illecitamente. La commissione di un atto illecito non comporta, nella maggior parte degli Stati che appartengono all’Unione europea, che lo stesso atto non possa essere tutelato dal diritto d’autore (se dipingo la parete di un muro senza autorizzazione compio un illecito, ciò nonostante si crea un diritto d’autore sull’opera realizzata). In Inghilterra, dove tale aspetto era dibattuto, le corti in passato avevano sostenuto la teoria dell’unclean hand, che vieta di riconoscere diritti ai soggetti che hanno commesso un illecito per realizzare un’opera. Tuttavia, tale indirizzo sembra in via di superamento e, sebbene sia stata evocata in alcuni casi di street art, non pare una soluzione adeguata. Al contrario, in casi più recenti sono stati condannati i soggetti che tentavano di approfittare di tali opere senza corrispondere alcun compenso agli artisti, come pubblicitari che ambientavano le proprie campagne in luoghi dove erano presenti le opere.

Giovanni Maria Riccio

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Giovanni Maria Riccio

Giovanni Maria Riccio

Professore di Diritto comparato, insegna Legislazione dei beni culturali e dello spettacolo e Diritto d’autore presso l’Università di Salerno. È stato visiting professor presso le Università “Joseph Fourier” di Grenoble (Francia) e il Politecnico di Beja (Portogallo), visiting fellow presso…

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