Continuano gli incontri sul futuro della cultura: a Open Doors il museo è un educatore civico

Le talk internazionali organizzate da Fondazione Brescia Musei mostrano nel nuovo appuntamento di mercoledì 22 giugno come il museo possa essere al centro di una serie di pratiche positive che coinvolgono le istituzioni e aiutano la cittadinanza a gestire una vita sempre più complessa

Che al museo si vada per imparare è cosa assodata. Che si vada per imparare a vivere meglio in società, già meno. Il quarto incontro delle talk Open Doors – organizzate da Fondazione Brescia Musei insieme a Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali e al Network of European Museum Organizations – si concentra su questa proposta: trasformare l’agency educativa dei musei in un fattore di comprensione della complessità della vita, di gestione emotiva e di coesione sociale. L’appuntamento La partecipazione che educa, che si terrà gratuitamente mercoledì 22 giugno alle 16.30 sia online a questo link sia all’auditorium di Santa Giulia a Brescia, andrà a mettere sul tavolo una serie di best practice che mettano a sistema le spinte di ciascuna area e diano una risposta unitaria alla collettività. Come questo sia realizzabile, l’abbiamo chiesto ad Arūnas Gelūnas, direttore del Lithuanian National Museum of Art dal 2019, già ministro della Cultura della Lituania, rappresentante del Paese presso l’Unesco e docente di Arte grafica, Pittura a inchiostro e Filosofia dell’Arte all’Università di Vilnius.

Arūnas Gelūnas

Arūnas Gelūnas

INTERVISTA AD ARŪNAS GELŪNAS, DIRETTORE DEL LITHUANIAN NATIONAL MUSEUM OF ART

I musei hanno sempre avuto un ruolo di educatori tradizionali: l’educazione in senso sociale è un traguardo più recente?

Ricordando che i musei hanno avuto diverse traiettorie in Europa – sono molto diverse le strade e le storie dei musei francesi italiani da una parte e dei Paesi dell’Est dall’altra, per esempio –, il museo è da sempre un autore di crescita per la popolazione. Nel tempo, è sempre più diventato il luogo d’elezione per l’educazione: per alcuni, questo avviene grazie alle tecnologie, ma se un museo è un vero “motivatore” non gli servono particolari tecnologie per attirare bambini e ragazzi, anziani e persone disabili con attività varie e numerose. Il nucleo di musei che gestisco, undici istituzioni sotto un unico cappello, ha qualcosa come 1000 progetti aperti per coinvolgere la cittadinanza! E abbiamo ancora tanto da imparare: ho vissuto alcuni anni a Parigi, e lì gli anziani vanno nei musei anche per discutere e socializzare.

Queste attività richiedono tempo ed energia: come si portano gli adulti nei musei?

Senz’altro è l’età più difficile. Coinvolgere gli adulti, che ci immaginiamo sempre stanchi e senza tempo, è un punto chiave della programmazione delle istituzioni culturali. Servono metodologie innovative ed empatiche per convincerli che non il museo è spazio accademico o serio ma un luogo dove prendere un caffè e rilassarsi con gli amici, stare in un ambiente piacevole con la famiglia, vedere cose divertenti. Questo è difficile in particolare se la famiglia di origine non li ha abituati a pensare al museo come a un luogo di svago: servirà uno sforzo ulteriore dalle istituzioni, con pubblicità e nuove proposte, certo, ma anche con le piccole cose: una caffetteria fa una differenza enorme.

Il museo può essere quel tanto agognato mediatore sociale in tempi di fake news e conflitti?

È cruciale che lo sia: deve compensare la mancanza di equilibrio della vita moderna, in cui siamo costantemente aggrediti da informazioni contrastanti e incontrollate, e il vero si confonde con il falso. L’abbiamo visto con le vaccinazioni durante il Covid! Il museo ha il privilegio di mostrare cose originali, non è un media e non è uno schermo: lo capisci quando vedi un’opera d’arte di Annibale Carracci o Anne Imhof. Io sono artista dall’età di nove anni, e credo moltissimo nel ruolo dell’arte, compensa il bisogno di capire e discutere: il museo è luogo di fiducia. Il museo non ti spinge a comprare o votare, e le interpretazioni sulle opere sono aperte alla decostruzione, cosa che crea coinvolgimento. Anche se non ti piace, un’opera è un prodotto fisco e reale. Certo poi servono gli strumenti per apprezzarla: come disse Picasso a chi non capiva la sua arte: “Capisci il cinese? No, se non l’hai imparato. Hai bisogno di imparare a vedere”.

Lithuanian National Museum of Art

Lithuanian National Museum of Art

Come si inserisce l’uso della tecnologia e del digitale in questa connotazione “fisica e reale” del museo?

Qualche anno fa pensavo che internet fosse pericoloso, perché subisci una serie di informazioni e di azioni passivamente dallo schermo e puoi esserne schiacciato. Poi mi hanno spiegato che è come un coltello: ci tagli il pane, ci fai una scultura e ci puoi anche uccidere una persona. Così internet. Integrare media elettronici può andare a compensare e aggiungere ricchezza all’esperienza museale ma non deve essere solo “per mettere tecnologia” senza uno scopo, perché allontana nuovamente. Noi vediamo molti esempi di interazione positiva, ma io sono molto realista al riguardo, né pessimista né ottimista: dipende tutto dall’uso, ci deve essere un equilibrio e si deve usare l’intuito. Poi, il fisico non passerà mai di moda: come ha detto l’intellettuale Terry Eagleton, continueremo a essere interessati al mondo tridimensionale finché i nostri corpi saranno tridimensionali e reali. L’abbiamo visto in pandemia: anche con l’attrazione enorme degli schermi, ci sono mancati i parchi, gli amici e il mondo esterno.

Un modello in cui politica e cultura comunicano strettamente: è possibile realizzare questo processo tanto in Lituania quanto in Italia?

La ricchezza culturale dell’Italia è immensa, quando ero all’Unesco ho scoperto quanti vostri beni sono protetti, dalla cucina all’architettura all’arte. Se l’Italia non ha bisogno di trovare una propria identità – e credo che per un politico italiano ignorare l’aspetto culturale del vostro Paese sia un vero e proprio suicidio – la Lituania è emersa solo 32 anni fa dall’occupazione sovietica si è presentata come nuova al mondo: la cultura è stata fondamentale in questo processo. I politici lo capiscono, sono pur sempre persone, hanno dei sensi e un apprezzamento della vita! Ho incontrato in passato difficoltà nel convincere i politici che la cultura sia fondamentale per il benessere generale, e ho visto come cambiavano le loro considerazioni quando capivano: ospitando dei rappresentanti Nato, hanno mostrato loro il nostro patrimonio, dimostrando che andava protetto e difeso per il bene del mondo intero. Siamo animali politici, nel senso più ampio, e ogni cosa che facciamo ha a che fare con l’inclusività, lo stare insieme, il non essere indifferenti a ciò che accade. Io in primis, come direttore museale, non devo essere indifferente ai bisogni della società ed essere parte politica.

– Giulia Giaume

https://fad.fondazionescuolapatrimonio.it/

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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