Vestire la Danza
Una preziosa mostra, che percorre 200 anni di trasformazione del costume di scena, con i costumi provenienti dalla Fondazione Teatro alla Scala di Milano.
Comunicato stampa
VESTIRE LA DANZA è una preziosa mostra, che percorre 200 anni di trasformazione del costume di scena, con i costumi provenienti dalla Fondazione Teatro alla Scala di Milano. La cura dell’esposizione è di Silvia Poletti, esperta di arte coreutica e autrice delle illuminanti schede che accompagnano ciascun pezzo in mostra. Il luogo dell’esposizione è la notevole chiesa di San Domenico, dall’aspetto tardo-barocco, che ospita nell’altare maggiore una pala autografata di Lorenzo Lotto, “Madonna del Rosario e Santi”. A Cingoli, nell’ambito del Cingoli Dance Festival, dal 6 luglio (ore 18.30) al 28 luglio. In tale straordinario spazio, trovano posto le fogge, i tulle e i tessuti leggeri che in due secoli di storia del balletto hanno avvolto e disegnato la silhouette delle étoile della danza. A cominciare dal costume indossato da Alessandra Ferri per “Europa Riconosciuta” opera del 1778 di Antonio Salieri. Si tratta di un’evidente evocazione settecentesca (a cura di Pier Luigi Pizzi), là dove la riforma drammatica teorizzò il ballet d'action, mettendo in evidenza l'elemento espressivo ed emozionale nella creazione coreografica, ma soprattutto scelse di far danzare la ballerina sulle punte anziché con le tipiche calzature dai piccoli tacchi e con un abito accorciato alla caviglia per mostrare al pubblico il virtuosismo raggiunto dalla tecnica. Con “La Sylphide” di Filippo Taglioni, siamo in pieno Romanticismo e i costumi del pittore acquarellista Eugène Lami nel 1832 disegnano una ballerina ormai simbolo di un assoluto irraggiungibile, a cui comunque anelare: il bustino enfatizza un minuscolo girovita (segno di impalpabilità), mentre la gonna 'a corolla' formata da veli di mussola bianca che poggiano su un telo di tarlatana aiuta ad 'allungare' il movimento nello spazio, per restituire eterea leggerezza e virginale idea di candore. Procedendo dalla sartoria d’antan, il viaggio continua con i costumi di Barbara Karinska per la coreografia di “Serenade” del maestro George Balanchine nel 1938; con la “Carmen” di Roland Peti per i Ballets de Paris e i costumi piccanti e grintosi di Antoni Clavé; con “Herman Schmerman” di William Forsyte e i costumi di Gianni Versace indossati da Marta Romagna e Roberto Bolle, quando ormai i danzatori (senza più distinzione fra femminile e maschile) sono sommi artigiani che sperimentano e osano padroneggiando ogni segreto della tecnica coreutica.