Unum #6

Informazioni Evento

Luogo
BIBLIOTHE' - CONTEMPORARY ART GALLERY
Via Celsa 4/5, Roma, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

dal lunedì al sabato: 11.00/23.00

Vernissage
24/09/2014

ore 19

Artisti
Salvatore Pupillo
Curatori
Francesco Gallo Mazzeo
Generi
arte contemporanea, personale

Sesto appuntamento della rassegna.

Comunicato stampa

Mercoledì 24 Settembre nel Centro Culturale Bibliothè – Biblioteca Indologica e Contemporary Art Gallery, in via Celsa, 4/5 (Piazza del Gesù),
Sesto appuntamento della rassegna Unum a cura di Francesco Gallo Mazzeo dal titolo Tagli di luce
un'opera unica di Salvatore Pupillo accompagnata dal testo di Maurizio Cohen.

“Tutto si conduce ad unità – afferma Gallo Mazzeo - [...] nei modi più imprevisti ed imprevedibili è diventare scoperta di sé,
del sé nascosto che in tanto errare e peregrinare non si è mai allontanato da sé stesso, dal proprio sogno,
perimetro e area di una grande avventura, in cui ogni nome pronuncia un nome, ogni volto cerca un volto e tutti insieme recitano Unum.”

Trastevere, il cuore di Roma.
Arrivando davanti allo studio di Salvatore penso a quello che dovrò scrivere. Ci siamo incontrati qualche giorno prima e dopo pochi minuti, per quei meccanismi che sono ignoti e sempre lo rimarranno, dopo aver parlato del più e del meno, mi chiede di scrivere qualche riga che accompagni questa sua esibizione ad “Unicum”. Ci provo. Una sfida stimolante ed il primo pensiero è proprio questo: l’artista deve essere coraggioso, deve seguire il proprio istinto. Deve essere folle verso se stesso prima che verso gli altri. Salvatore mi ha dimostrato di essere tutto ciò: come fidarsi di chi, come me, dichiara di essere un profano di fronte ad un tema complesso, serio e affascinante come la pittura e per di più astratta? Poi ho capito: quello che Salvatore stava cercando non era una delle tante critiche positive e lusinghiere ricevute o valutazioni tecniche professionali, ma il semplice ed istintivo desiderio di valutare pensiero e reazione di qualcuno che, al di fuori dei critici tradizionali e di mercanti più o meno competenti, poteva avere trovandosi davanti alle sue opere.
E questo è avvenuto. Entro nello studio, scorro velocemente alcune tele sul cavalletto, accatastate alle pareti e appese al muro.
Mi accorgo che Salvatore guarda me. Getto le mie emozioni e le mie reazioni sui quadri. Subito dopo perlustro furtivamente ogni angolo dello studio. Disegni appena abbozzati, colori, matite, fogli in ordine sparso, libri, cataloghi, giornali sono singoli elementi che formano il disordine più ordinato che abbia mai visto.
Salvatore è alle mie spalle, mi segue passo dopo passo. Non mi fermo, compio il percorso intorno alle sue opere più di una volta e da queste sono investito.
Semplicità, la prima cosa che penso. Ogni opera è ridotta a tratti essenziali, che scaturiscono dal nulla e prendono vita diventando protagonisti. Essenziale è il tratto, essenziale è il colore. Essenziale ancora di più è la luce. Vedere oltre l’essenziale, metterlo a fuoco è cosa ben più complessa dello spiegare e manifestare il tutto.
L’essenziale, l’uno, contengono il tutto e questo è il denominatore comune che lega una all’altra le opere di Salvatore. La maggior parte delle tele, almeno le più recenti, questo essenziale lo mostrano con vigore attraverso onde di luce chiara che sembrano nascere nel vuoto e nel vuoto morire. Ma l’onda di luce attraverso il tempo e lo spazio genera vita, armonia, e ordine. Punte aguzze di iceberg che riflettono virgole sulle cose del mondo e che allo stesso tempo ne sono attratte. Punte di iceberg sotto le quali vivono e maturano i colori che non si vedono, le parole che non si dicono e le musiche che non si sentono.
Ma ci sono. Tagli di luce che lasciano una traccia e favoriscono la vita lasciando in profondità l’idea. L’idea che ha generato l’idea e che non serve più: la sua missione è compiuta e non ha più voglia di vivere.
Chiaro su sfondi chiari, chiaro su tele chiare, chiaro su fogli chiari: la negazione dell’assoluto, del dogma pittorico e delle regole più inutili. Un chiaro tra i chiari (l'avorio) diventa allo stesso tempo complemento e contrario di se stesso. Diventa talvolta scuro, diverso e si appropria di un’essenza nuova e inesplorata. Me lo dimostrano le tele meno recenti, gelosamente conservate da Salvatore nell’anima e nel passato ormai diventato futuro. I colori sono più intensi, più scuri, affaticati dalla e nella ricerca. La luce nasce dal buio e nel buio scompare. Così Salvatore come il vecchio saggio che percorre la strada attraverso la conoscenza e la rinuncia del superfluo, ha alleggerito col passar del tempo le sue creature, le ha rese più mature e in grado di raccontarsi da sole, sollevate da un pulviscolo leggero che non si vede ma del quale si intuisce la presenza e che si trasforma in respiro.
E’ qui il fascino di queste opere: una sorta di Big Ben del colore che esplode in segni di vita ancestrali, profondi, liberi da ombre o condizionamenti e si “e ci” arricchisce. Capisco il disordine e la confusione di questo ambiente: la stessa delle tele. Una confusione che ha un suo ordine schematico e che raccoglie tutto, la stessa del Big Ben. Raccontare l’anima delle cose è la cosa più difficile e pochi lo hanno saputo fare: ancora una volta ho la conferma di un concetto a me caro: tutto è in uno e l’uno è in tutto. Allo stesso modo questi tratti raccontano le forme della vita in gestazione, l’armonia nel disordine, qualcosa che pur rimanendo inspiegabile ubbidisce alle anarchiche leggi della creatività o ancora meglio della creazione. Tratti che fecondano improvvisi, maschili e femminili allo stesso tempo, perché la luce non ha sesso.
Con la luce riesci a vedere, con la luce riesci a capire. La luce vibra e le vibrazioni riempiono il vuoto e cementano il tutto. Come a teatro: si apre il sipario e un oggetto qualsiasi ,una sedia o un pianoforte, un uomo o una tela, illuminati, raccontano una storia e partoriscono emozioni. Ecco, Salvatore ci ha aperto il sipario e ci fa vedere e pensare oltre la nostra e la sua storia…
E l’opera della creazione si compie attraverso la materia. Ecco allora che come per magia si distaccano dalle altre le opere quelle stratiformi, con materiali sovrapposti che aggiungono il tempo, il passare del tempo, come variabile oltre alla luce e allo spazio. Strati irregolari, uno diverso dall’altro, che come i cerchi di un albero segnano l’età e formano la memoria delle cose. Così come sotto di noi, nel cuore di Roma, i segni dell’uomo e della Storia sono testimonianza di vita che non c’è e che continua ad esserci.
E’ proprio questo che intuisco ed apprezzo nelle opere e nell’artista. Salvatore non mi spiega nulla, né io gli chiedo nulla. Sono soddisfatto, penso di aver superato l’esame con me stesso godendo di sensazioni nuove. Non posso sapere se soddisfatto lo sarà il mio amico Salvatore e penso a tutto ciò che la sua anima, il suo sguardo e le sue mani hanno inciso su queste tele e che non sono stato in grado di capire.
Ma trovo subito il mio alibi. Se il suo intento à quello di dar vita alla vita che è fuori e dentro di sè, ha colpito nel segno: nei suoi quadri colgo anche ciò che non sono in grado di percepire e che rimane sospeso come segno di libertà e di infinito irraggiungibile.

Maurizio Cohen