Tra geometria e leggerezza

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA D'ARTE ROCCATRE
Via Della Rocca 3b , Torino, Italia
Date
Dal al

martedì-sabato 10.30-12.45 15.30-19.30

Vernissage
06/05/2021

10.30-12.45 15.30-19.30

Generi
collettiva, arte moderna
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In occasione della manifestazione “Gallerie di primavera” che coinvolge un nutrito numero di gallerie torinesi, la galleria Roccatre presenta una collettiva con opere di artisti italiani del ‘900, accomunati dall’esaltazione della linea, del punto e dal loro rapporto con lo spazio e la superficie.

Comunicato stampa

In occasione della manifestazione “Gallerie di primavera” che coinvolge un nutrito numero di gallerie torinesi, la galleria Roccatre presenta una collettiva con opere di artisti italiani del ‘900, accomunati dall’esaltazione della linea, del punto e dal loro rapporto con lo spazio e la superficie.
Si potranno ammirare dunque in mostra le prime opere geometriche di Luigi Veronesi, alcune raffinate opere di Marco Gastini e Beppe Devalle fino alle leggere strutture di Leonardo Mosso e di Laura Castagno.

Geometria e leggerezza sono i punti focali su cui verte la nuova proposta espositiva della nota galleria torinese Roccatre.
Solo in apparenza antitetiche, geometria e leggerezza si rifanno a costrutti mentali che richiamano all’ordine delle cose e alla semplicità delle emozioni più sincere e genuine, confluendo in una “visione” dell’esistenza che possa andare oltre la tangibilità del percepito.
In tal senso le opere pittoriche e le sculture in mostra, figlie del genio di alcuni tra i più interessanti e storicizzati artisti italiani del XX secolo, tra cui Veronesi, Salvo, Gastini, De Maria, Melotti, Mosso, Surbone, Diulgheroff, solo per citarne alcuni, si rifanno principalmente a modelli astratti o informali da cui sono derivate esperienze anche “figurative” in senso più ampio o comunque aderenti a canoni più definiti come la Transavanguardia.
Se la leggerezza può ben essere rappresentata dalle sculture “aeree” di Leonardo Mosso o dalle opere di Laura Castagno, è indubbio che la geometria sia alla base del fare pittorico di un Veronesi, di un Diulgheroff, di un Surbone, di un Devalle, di un Gastini o di un Melotti, senza dimenticare la leggerezza “geometrica” di certe opere di Mainolfi.
Il traguardo della ricerca è la forma, in ogni sua specie, sia naturale che artificiale.
Ne “Lo spirituale nell’arte” (1910) Kandinskij sottolineava lo stretto legame tra opera d’arte e dimensione spirituale, in cui il colore è in grado di produrre sullo spettatore sia un effetto fisico, più superficiale ed associato a sensazioni estemporanee, che psichico, legato alla forza spirituale e psichica dell’Uomo. Da questa filosofia esistenziale scaturisce l’energia di gran parte dell’arte astratta successiva, e sempre Kandinskij in “Punto linea superficie” (1926) arriva a proporre una sorta di metafisica della forma, di lirismo compositivo. In effetti egli ebbe a dire che “l’arte astratta è la più difficile di tutte le arti. Richiede la capacità di disegnare bene, un elevato senso della composizione e del colore, nonché l’animo di un vero poeta. Quest’ultimo è essenziale”.
In effetti la lezione di Kandinskij è stata raccolta da grandi artisti in tutto il mondo. Tra i maestri italiani, Veronesi si è per un rigore concettuale sempre coerente: l’opera su carta del 1937 in mostra alla Roccatre è un gioiello di raffinatezza, un raro capolavoro compositivo che non sfigura al confronto con le costruzioni astratte in bianco nero del maestro russo, vedi per esempio “Trente” conservato al Centre Pompidou di Parigi.
La citazione del famoso museo parigino ci riporta alle opere di Leonardo Mosso, sculture astratto-concettuali dove le linee e i punti sono sostituiti da bacchette in legno e nodi fatti di elastici, geometrie aeree di una leggerezza spirituale assolutamente uniche.
Doveroso segnalare i ricercati disegni anni ‘70 di Fausto Melotti; il bellissimo dipinto di Salvo in cui il colore descrive un’ambientazione urbana quasi metafisica ancorchè geometrica, accesa dalla luce dei lampioni nella notte; il raro cartone inciso bicolore del 1969 di Mario Surbone, il sofisticato plexiglass del 1970 di Marco Gastini; l’imponente olio su tela anni ‘60, un astratto carico di tensione, del mai dimenticato Beppe Devalle.
La tematica scelta per questa esposizione si propone il compito di portare il visitatore ad “ascoltare” le forme in visione, a coglierne l’essenza vitale, al di là di una pura questione estetica, nel non facile tentativo di approdare ad un nuovo modo di contemplare l’opera d’arte, ovvero poter avere, come scriveva Kandinskij, “la possibilità di entrare nell'opera, diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i sensi. Testo critico a cura di Fabrizio Colonna