Tommaso Andreocci – Riflessi

Informazioni Evento

Luogo
TEATRO COMUNALE G. D'ANNUNZIO
viale Umberto I 41/43 , Latina, Italia
Date
Il

dalle 20,00 alle 23,00

Vernissage
17/05/2013

ore 20

Curatori
Fabio D’Achille
Generi
arte contemporanea, personale
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La mostra è composta da opere sul tema dell’archeologia industriale stampate su alluminio allestite nel foyer, e dall’installazione che farà da scenografia all’orchestra di Ottorino Respighi del Conservatorio di Latina.

Comunicato stampa

Tommaso Andreocci – “Riflessi”
Un’orchestra a teatro

Venerdì 17 maggio nuovo appuntamento al Teatro D'annunzio con la rassegna "Un' orchestra a teatro", frutto della collaborazione tra MAD Museo d’Arte Diffusa a cura di Fabio D’Achille, il Conservatorio di Latina e il Campus internazionale di musica. Potremo visitare la mostra estemporanea "Riflessi" di Tommaso Andreocci, composta da opere sul tema dell'archeologia industriale stampate su alluminio allestite nel foyer, e dall’installazione che farà da scenografia all'orchestra di Ottorino Respighi del Conservatorio di Latina. La band è composta dai vincitori delle selezioni riservate ai migliori studenti del Conservatorio di Latina che eseguiranno un repertorio delle musiche di Beethoven.

Un percorso di Tommaso Andreocci nel “Territorio” dell’archeologia industriale

"Apri o Lavoro, le officine immense, / Onde fluisca l'abbondanza, slancia / Sugl'indocili fiumi, all'alpe in cima, / Entro al cor della Terra, al mare in dorso / I mostri tuoi c'hanno di ferro il corpo / E l'anima d'elettro; ... / Ne' templi tuoi d'acciaro e di cristallo / (Oh torri, oh guglie fiammeggianti al sole, / Alcun dio mai non ebbe are sì belle!) / Vedo l'umana fratellanza ..."
Versi profetici quelli del "Dopo la Vittoria" di Shelley che già nel "Prometeo liberato" aveva esaltato le aspirazioni di intere generazioni travolte dai miti macchinisti della prima industrializzazione.
Ma ormai quelle sognate cattedrali di acciaio e di cristallo offrono da decenni lo scenario desolato di una precoce ruderizzazione.
E’ su questo scenario affascinante che si sviluppa l’itinerario lugico di questa mostra di “disegni” di Tommaso Andreocci che con acribia figurativa affatto straordinaria rilegge oggetti e paesaggi della più recente memoria industriale del nostro paese.
Le sue grafie fotografiche, i suoi particolarissimi disegni, costituiscono pertanto un’occasione importante di riflessione e insieme uno strumento critico importante per approfondire i significati più profondi sottesi a questa importante realtà.
In questi ultimi decenni si è sviluppata infatti, a diversi livelli di indagine, di intervento e di riflessione un’attenzione non epidermica alle vicende economiche e materiali del nostro passato industriale, anche, relativamente recente.
Sulla spinta di un sistematico interessamento scientifico ai fenomeni relativi alla dinamica delle trasformazioni ambientali, la critica contemporanea ha infatti progressivamente operato una serie di scelte e di notevoli passi avanti metodologici indirizzandoli nel senso di una più generale riappropriazione di eventi, di situazioni, di fenomeni, di manufatti, di oggetti e di prodotti fin qui relegati nel limbo di una, pressoché assoluta, disattenzione. Non si è trattato soltanto dell'ampliamento e dell'estensione di alcuni particolari ambiti di studio e di ricerca al di fuori e al di là dei più consueti limiti cronologici e disciplinari, quanto e soprattutto di un vero e proprio salto di qualità ove le determinanti ambientali venivano a costituire le coordinate di un nuovo "paesaggio", anche figurativo, di un nuovo immaginario creativo. Si è venuta così a definire, con sempre maggiore chiarezza e quello che più conta allargandosi ad ambiti culturalmente già divaricati (dalla storia dell'economia a quella dell'industrializzazione, dall'archeologia all'architettura, dall'antropologia alla semiotica, dalla linguistica alla sociologia, dalla letteratura al cinema, dalla pittura al disegno, come nel nostro caso), un interesse nei confronti di modelli di conoscenza che affondano le loro radici nella riconsiderazione degli aspetti materiali e strutturali dei diversi fenomeni facenti capo ai reperti, ormai “archeologici”, dell’epoca industriale appena trascorsa.
La modificazione progressiva dell'ambiente fisico, del territorio antropizzato, da parte di generazioni successive di operatori, maestranze, imprenditori, progettisti, utenti, è divenuta così oggetto di analisi sempre più sistematiche e approfondite che, attraverso lo studio delle tecniche e delle forme insediative attraverso le quali si è, di volta in volta, articolata la produzione industriale, sono approdate ad una lettura integrata delle grandi mutazioni strutturali che hanno, fin qui, caratterizzato i diversi modi attraverso i quali si è andato esprimendo il rapporto tra uomo e natura, tra il mondo naturale e quello artificiale, tra artificio e paesaggio naturale.
La natura fisica del territorio al suo stato originario, ma, soprattutto, l'ambiente artificiale trasformato e condizionato come oggi ci appare, dove praticamente nulla è escluso e potenzialmente estraneo alle trasformazioni tecnologiche dell'ambiente, sono così diventati l'oggetto di studio e di riflessione ma anche di una vera e propria rilettura in chiave figurativa degli spazi, degli oggetti e dei luoghi.
Spazi, oggetti e luoghi ove per decenni si è operata una trasformazione di tipo produttivo che ha viste impegnate risorse energetiche e umane immense, ove le tracce del passato remoto e prossimo si inseguono e si sovrappongono, identificandosi, cancellandosi a vicenda, sovrapponendosi, sviluppando sinergie e contiguità che hanno formato, nel loro complesso, lo scenario necessario della vita quotidiana di intere generazioni e che ci impegnano ancora in un progetto integrato per la nostra sopravvivenza di domani.
Modificazioni lente o improvvise di interi territori, nascita e morte di piccole ed i grandi concentrazioni urbane, di piccoli come di estesi agglomerati produttivi, di fabbriche, di industrie innumerevoli e disseminate sono quindi l’oggetto di questa nuova disciplina, di questo nuovo territorio problematico di cui il lavoro di Andreocci ci offre uno spaccato inedito e affascinante.
In tale prospettiva il campo che, fin qui, è stato toccato da quanto in questi ultimi quarant'anni è andato sotto il nome di "archeologia industriale" costituisce, oggi che le condizioni del produrre vanno così vorticosamente trasformando le loro più tradizionali connotazioni, lo scenario di vasto respiro rispetto al quale possono individuarsi interessanti prospettive critiche, operative e, come nel nostro caso creative.
Un’enorme quantità di fabbricati industriali, di macchinari, di infrastrutture, di abitazioni operaie, città intere, interi territori una volta luogo e concentrazione di attività produttive, giace nel più completo abbandono oppure è abbondantemente sottoutilizzata mentre potrebbe, con opportune misure, essere recuperata ad una nuova dimensione economica e culturale ed in questa prospettiva il lavoro condotto dagli artisti contemporanei costituisce, spesso, la prima traccia di più estese forme di riappropriazione
Non si tratterebbe perciò di una rivalutazione estetizzante e fine a se stessa di materiali, manufatti, ambienti il cui fine e le cui destinazioni primarie sono evidentemente obsolete sotto molteplici punti di osservazione, quanto e soprattutto della necessaria ricontestualizzazione culturale di una massa enorme di oggetti, di architetture e di ambienti la cui fondamentale rilevanza culturale è stata, e continua ad essere ancora, troppo sottovalutata.
Non si tratterà di ricreare attorno all'oggetto fabbrica un'aura o una dignità artificiali, quanto invece di ripercorrere un itinerario logico e creativo capace di riproporne un uso culturalmente rinnovato all'interno di un vasto e affascinante progetto di ricostruzione della "memoria" della nostra industria. In tale prospettiva il lavoro di Tommaso Andreocci costituisce quindi un passo assai importante nella duplice prospettiva di essere documento capace di testimoniare importanti realtà ancora in atto e insieme di porsi come finestra critica e come scenario creativo, su uno degli aspetti più controversi e rilevanti della cultura contemporanea”.
(Giorgio Muratore)