Minus Log – No man’s land

Informazioni Evento

Luogo
INANGOLO
Largo San Giovanni Battista 7 Penne, Penne, Italia
Date
Dal al

venerdì e sabato dalle ore 18.00 alle 20.00

Vernissage
07/05/2022

ore 17.30

Artisti
Minus Log
Curatori
Antonio Zimarino
Generi
arte contemporanea, personale
Loading…

Mostra del collettivo Minus Log.

Comunicato stampa

NO MAN’S LAND, QUESTO LUOGO di Antonio Zimarino

Umanamente pensiamo che vedere qualcosa sia “conoscerla” e che questo vedere stabilisca in qualche modo la sua realtà. Il processo di “comprensione” invece, (cioè del cogliere, contenere con la mente il senso di qualcosa o delle relazioni tra qualcuno o qualcosa) è una operazione molto articolata della quale possiamo renderci conto anche solo soffermandoci su tre termini basilari che entrano in questo “processo”: vedere, visione e sguardo. Questi termini non sono affatto sinonimi, anzi, ciascuno di essi permette di capire, aiuta a comprendere in che modo noi gestiamo la conoscenza attraverso appunto, il vedere.
Vedere – (il primo passo del processo) è la facoltà oggettiva della vista, il percepire stimoli esterni attraverso la funzione visiva. - Visione - è la funzione, la capacità del vedere, dell’esaminare; è il modo di vedere, concetto o idea personale che si ha in merito a qualcosa; o ancora: è apparizione, immagine o scena del tutto straordinaria, che si vede o si crede di aver visto, in stato di estasi o di allucinazione o anche in sogno.
Il termine - sguardo - invece, implica scegliere come vedere, implica una comunicazione, un rapporto con ciò che si vede; implica una “ampiezza”, una capacità di cogliere e di interpretare.
Pensando alla complessità di cose che suggeriscono tali termini (ma dovremmo anche ragionare su cosa significhi poi, comprendere) bisogna accettare il fatto che, quando noi ci troviamo davanti a qualcosa che vediamo, è sempre la nostra mente con le sue conoscenze che riesce a completare e ad aggiungere significati a ciò che viene visto.
Secondo gli studi della psicologia della visione, sappiamo che la mente riesce a farci credere di aver visto anche dei segni che in un’immagine potrebbero non esserci: essa infatti tenta sempre di completare le parti che mancherebbero, dato che ha bisogno di collocare la “logica” della visione e dell’immagine in qualcosa di riconoscibile, secondo una sorta di imprinting visivo che non appartiene unicamente alla dimensione cosciente.
Dovremmo concludere che in fondo la conoscenza e l’esperienza delle cose non sia mai completamente in ciò che vediamo e in ciò che gli occhi o la presenza ci testimoniano, ma che ogni cosa è sempre a suo modo una visione che il nostro sguardo tenta di interpretare. Nessuna cosa è dunque esattamente come riteniamo di vederla ma piuttosto noi vediamo e comprendiamo secondo ciò che siamo, secondo ciò che sappiamo, sia a livello conscio che inconscio. Tenendo per buono ciò che abbiamo detto prima, la differenza di comprensione in arte (ma non solo) la compie esattamente la qualità dello sguardo che utilizziamo per vedere e formare la visione. Ma da dove nasce questa qualità?
Ovviamente molte sono le risposte possibili ma, limitandoci al campo dell’arte e al netto degli atteggiamenti, delle presunzioni, dell’autoreferenzialità, il nostro sguardo può essere considerato il nostro modo cercare cosa vada a completare il desiderio, l’idea inconscia che abbiamo di noi e del senso di ciò che siamo. Se volessimo fidarci anche solo della riflessione di James Hillman, nell’immagine (nell’arte) cerchiamo di trovare ciò che “potrebbe essere”, ciò che fa respirare o comprendere per un attimo “l’anima”¹.
Al di là delle mille carabattole che affollano la vita, noi nelle cose d’arte cerchiamo il completamento di un destino, di uno sguardo o di una illusione, e quel destino, quello sguardo è esattamente “nostro”, siamo esattamente “noi” che cerchiamo nell’immagine qualcosa che ci completi come “anima” sia quando la osserviamo che quando la creiamo; ma anche quando semplicemente la “allestiamo” in una mostra o la guardiamo nello spazio che la ospita.
Per una serie diversa di motivi, ho l’impressione che questa No man’s land corrisponda a qualcosa del genere. Ogni acquerello è una sorta di “sguardo da una piccola finestra” verso uno spazio che al di là dal muro; ogni piccola velatura è un “piano” della visione, ogni segno geometrico interagisce con il colore “organico” cercando di rafforzarlo o sostenerlo. E’ come se questi “segni” ci costringessero per via di minimalità e rarefazione ad “entrare” dentro quello spazio che giustamente, non è “territorio umano” nel senso “realistico” ma è uno spazio ulteriore, meditativo non meno reale, perché ci appartiene interiormente, perché è un sguardo “mentale”.
E’ la stessa struttura “debole” dell’immagine a renderla capace di costruire l’oltre, perché ci costringe ad osservarla, a completarla, a concentrarci su di essa, a ri-costruire ciò che c’è e a completare ciò che manca: se vogliamo farlo, è l’immagine che spinge ad organizzare la qualità dello sguardo di cui parlavo prima. E’ la capacità fatica² dell’immagine ad avere questo potere di far dialogare lo sguardo con l’immaginazione permettendoci così di superare le superfici di noi e delle pareti per entrare in qualcosa di intangibile eppure pienamente reale, cioè in noi stessi.
Ma anche lo spazio “al di qua” della superficie gioca un ruolo importantissimo in questa (relativamente) “piccola” mostra: è il punto, il luogo da cui noi guardiamo queste piccole “finestre” sullo spazio ulteriore. Grazie a come è stato pensato, possiamo dire che non c’è stata fin’ora una mostra qui che non sia riuscita a portare chi vi entra in un luogo “altro” rispetto al quotidiano: ciò significa che questa non è una mostra di acquerelli ma una vera è propria installazione site specific, “osservatorio sull’oltre”. Questo tipo di esperienza dello spazio “oltre” può avvenire in questa forma, solo qui.
I Minus Log hanno pensato/intuito questi lavori per questo spazio, che ha una sorta di capacità sacrale da sembrare un “anticamera” alla coscienza meditativa; hanno compreso che questo tipo di sguardo sull’oltre può aprirsi solo dopo un primo passo, quello di entrare dentro una dimensione diversa delle cose. Così hanno immaginato che qui, più che in altri luoghi, era possibile dare la possibilità di aprire lo spazio che è al di la delle pareti, e che qui era possibile farlo con la logica dell’intelligenza e della curiosità, non della forza.
Ecco perché dal mio punto di vista questa non è una “piccola” mostra: se è capace di aprire il campo dell’immaginare, se è in grado di farci intuire qualcosa che è oltre ma non è tangibile, se riesce a mettere in moto la capacità della mente di completare, di completarsi e di cercare di spingere sguardo e memorie verso dove non sappiamo, come può essere “piccola”? Come può essere piccola se lo spazio da percorrere e da abitare è enorme perché non ha più le coordinate e i limiti delle dimensioni spaziali e temporali? Le mostre davvero piccole sono invece quelle affollate di tanta roba che cerca affannosamente di gridare per farsi vedere. Le mostre piccole sono quelle che ti costringono ad esserci, a vedere migliaia di cose senza darti il tempo di capire, di cercare dentro o di attivare le tue capacità di entrare in esse e completare il “senso” con cui tu la vivi e lei (la mostra) ti vive.
Ci vuole “tempo” per riscoprirsi intelligentemente umani e per ritrovare una dimensione interiore ci vuole relativamente poco, ma deve essere qualcosa che attiri, accolga, porti per mano come questi minimi segni che interrogano l’immaginare. E’ per questo che penso che “No man’s land” l’opera che presentiamo sia questi acquerelli con queste caratteristiche dentro questo luogo. Qui ed ora, un piccolo e riservato luogo dove siamo spinti a cercare un immenso e infinito luogo che è la nostra esperienza dell’arte e, secondo Hillman, il nostro desiderio di riconoscere l’Anima.

1 «Attraverso la forza dell'immagine, che si esprime come sintomo […] l’uomo naturale, che si identifica con lo sviluppo armonico, l'uomo spirituale, che si identifica con la perfezione trascendente, e l'uomo normale, che si identifica con l'adattamento pratico e sociale, deformati, si trasformano nell'uomo psicologico, che si identifica con l'anima.» J. Hillman, La vana fuga dagli dei, Adelphi, Milano, 1991.

2 In linguistica (B. Malinowski): funzione fatica, quella del linguaggio quando la comunicazione ha il fine di assicurare e mantenere il contatto tra il locutore e il destinatario del messaggio

SPAZIO INANGOLO

Il progetto Inangolo prende vita alla fine del 2012, dalla passione di tre amici, Francesco Di Bernardo, Alessandro Rietti e Francesco Toppeta che hanno in comune l’amore per le arti applicate e la voglia di dar vita ad una realtà dinamica, vitale e ricca di idee. In un contemporaneo oramai del tutto virtuale, dove si è perso il valore del rapporto, dello scambio e del confronto, incontrarsi realmente sembra un’opportunità per pochi e l’operosità condivisa diventa virtù di nicchia. Riteniamo che l’arte, in particolar modo quella contemporanea, abbia la necessità di trovare nuovi luoghi, al di fuori dei circuiti tradizionali, Inangolo è un’idea di spazio aperto a tutti, punto di incontro per gli esperti del settore, per gli appassionati e per tutti coloro che avranno voglia di ritrovarsi in un luogo polivalente in cui la cultura, la creatività, l’espressione, le tendenze prenderanno vita e forma attraverso il fare arte. Spazio Inangolo vuole ricominciare da questo punto fondamentale per poter costruire nuove e significative attività, creando una piattaforma versatile fatta di incontri e scambi culturali. Nel 2020 Spazio Inangolo lascia la storica sede situata in Via Pultone per trasferirsi a Largo San Giovanni Battista nell’ex Monastero dell’Ordine Gerosolimitano, struttura del 1523 che oggi ospita il polo di spazi culturali la Casa delle Arti e dei Mestieri. Uno piccolo spazio singolare ed accogliente, un punto di incontro per gli artisti che vorranno presentare progetti monotematici attinenti alla loro ricerca creativa. L’aggregazione culturale suscitata dall’evento ospitato da Spazio Inangolo si svolgerà en plein air coinvolgendo l’intero complesso della Casa delle Arti e dei Mestieri.