Michael Beutler – Keep beating below 65°

Informazioni Evento

Luogo
PINKSUMMER - PALAZZO DUCALE
Piazza Giacomo Matteotti 28r, Genova, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

dal martedì al venerdì: 11 - 19.30 / from Tuesday to Friday: 11am - 7.30pm
sabato: 15 - 19.30 / Saturday: 3 - 7.30 pm

Vernissage
08/10/2020

ore 18

Artisti
Michael Beutler
Generi
arte contemporanea, personale

Mostra personale.

Comunicato stampa

Abbiamo deciso di lasciare sospese le domande stimolate dalla lettura della corrispondenza e-mail con Michael Beutler. Michael Beutler se lo vorrà ci risponderà a mostra aperta.

Michael Beutler: L’estate è molto calda. Sto fondendo lontano dal mio studio. Non ho deciso ancora niente circa il tema della mostra. Vorrei proprio fare una grande installazione. Così non sarà una mostra di frammenti come la scorsa volta, ma un’installazione che dialoghi con l’architettura in qualche modo. In questi giorni fantastico di grandi volumi e immagino di produrre una specie di polistirolo fatto di palle di carta. È un po’ collegato a un lavoro che avevo previsto di fare per una personale a Ludwigshafen al Wilhelm Hack Museum. Ludwigshafen è la città della BASF dove tra tanta plastica producono anche polistirolo.
Immagino un grande volume che assomigli un po’ a una roccia artificiale.
L’unico problema, ma è anche la parte bella del lavoro, è il suo volume gigante… Potrebbe essere problematico per il trasporto e per le vostre porte piccole e ovviamente anche per il magazzino. Sto anche valutando alternative, una soluzione dal volume meno ingombrante per l’installazione nella vostra galleria. Ma questa volta lì vorrei proprio un lavoro grande.
Costruirò un piccolo modello dello spazio e l’installazione e alcuni esempi di materiale così avremo tra le mani qualcosa di cui parlare.

(Pinksummer: Il tuo lavoro tende a incoraggiare nel visitatore la produzione di significati, piuttosto che il consumo di significati chiusi. Se non fossi l’autore che significato produrresti di fronte a una mostra “monolitica”, piuttosto che a una “frammentaria” del medesimo autore, vale a dire rispetto a un’unità di stille e alla coerenza tematica?).

M.B.: La base di molti dei miei lavori è l’idea di pensare alla galleria come fosse un contenitore che è stato costruito per ospitare un certo oggetto, piuttosto che considerare la galleria come pre-esistente e rispetto al lavoro. Il VASA Museum a Stoccolma è probabilmente un buon esempio per questo genere di architettura.
Detto ciò lo spazio sociale cambia a un grado altissimo. L’opera controlla il movimento delle persone. Queste si trovano in una situazione speciale, devono tenere in considerazione l’opera e comunicare tra di loro.
Un’altra parte di questa strategia è non dare la possibilità di vedere l’intero lavoro: il visitatore deve muoversi attorno per osservare, dovrà ricordare e dovrà assemblare assieme i pezzi dell’oggetto nella sua testa.
Mi è sempre piaciuto della vostra galleria il bel soffitto voltato. Vorrei proprio giocarci e penso che questa potrebbe essere l’occasione giusta.
Vediamo…
Immaginate la mostra a Portikus (Il castello di Portikus) dentro alla galleria, o una grande roccia di materiale in equilibrio sopra una parte più piccola che lasci pochissimo spazio per muoversi all’interno della galleria.
Ho pensato a ciò che devo fare per organizzare il trasporto ect…
L’intera mostra di Venezia è entrata in un solo camion. Magari funziona anche questa volta, incrociamo le dita.

(Ps: La domanda principale che le persone si pongono di fronte a una nave in bottiglia è come si è potuto inserire in uno spazio così piccolo una creazione così grande.
Sotto il profilo tecnico, a cui tu non sei mai estraneo, le navi in bottiglia possono essere costruite in due modi:

La tecnica antica prevedeva la costruzione del modellino fuori dalla bottiglia e la spiegatura della velatura avveniva una volta che lo scafo era stato inserito all’interno della bottiglia, attraverso fili.
La tecnica moderna prevede la costruzione della nave direttamente in bottiglia attraverso strumenti di precisione.

Comunque la più antica nave in bottiglia risale al 1780. Inizialmente venivano costruite da marinai, guardiani di fari, prigionieri. Erano merci di scambio nelle bettole e nei bordelli.
Gli oggetti più antichi in bottiglia erano soprattutto preghiere, croci, che la gente di mare portava in viaggio per ancorarsi a qualche certezza in forma di amuleto. La bottiglia era un semplice contenitore per proteggere il porta fortuna dalla salsedine e dall’umidità.
Le navi in bottiglia a volte assomigliano un po’ a ex voto: oggetti dati in dono a una divinità a seguito di un impegno che il richiedente assumeva affinché venisse esaudita una richiesta. L’ex voto è un ringraziamento come fosse una manifestazione tattile della preghiera.
Gli ex voto però come le navi in bottiglia sono piccoli oggetti da guardare da fuori, qui tu ci porti dentro alla bottiglia dove l’oggetto è inafferrabile e ci richiede, per essere percepito, memoria, logica e forse anche immaginazione. La tua roccia artificiale limitante è una metafora o una menzogna per citare il saggio di Harald Weinrich? E per citare Baudrillard quando la prigione non esiste più il sequestro e la reclusione possono avvenire in qualsivoglia spazio/tempo?).

M.B.: Ho strapazzato alcuni pensieri e preso alcuni appunti nel mio studio. Da questo processo ho distillato un titolo:
Keep beating below 65° (Continua a sbattere sotto i 65°)
È una lettura errata dell’etichetta di un latte d’avena in bottiglia di un bar, del cui contenuto schiumoso ho goduto stamane insieme al mio caffè. Erano istruzioni stampate sulla confezione che consigliano come rendere la schiuma del latte nel migliore dei modi.
I miei lavori si prestano ad avere dei manuali considerando che non sono l’unico a produrli. Tuttavia ho un rapporto ambiguo con i manuali. Non mi piacciono tanto le ricette.
Faccio piuttosto degli esperimenti e lavoro con ciò che c’è, apro i miei sensi al materiale che ho disponibile. Senza contare che uso anche internet per trovare informazioni su come le cose potrebbero essere fatte. Facendo ciò ho sempre la sensazione di avere sprecato il mio tempo.
Dal momento in cui ho iniziato la mia pratica circa 20 anni fa, gli strumenti per raccogliere conoscenza sono cambiati parecchio. All’inizio dovevo davvero capire da solo come piegare le maglie della rete metallica. Oggi potrei aprire una pagina web e sempre trovare qualcuno che l’abbia già fatto, e che ne ha anche fatto un filmato. Ma questo ci può aiutare? Sono ancora qui con i materiali tra le mani, semplicemente non voglio fare quello che ho visto in questi video, e non voglio ripetere un processo sapendo che perderei tutta la meraviglia della scoperta. Nessuno di questi manuali aiuta a fare arte, neanche Sol LeWitt.
Con il mio caffè tra le mani sono passato accanto a un mucchio di libri nel corridoio dove si trova la nostra libreria. Vedo un piccolo opuscolo che ho realizzato al laboratorio di ceramica Kahjiro Kaway a Kyoto durante la nostra residenza del Goethe Institut del 2018.
Sulla copertina dice “Nessuno lavora da solo”; così vero penso e immediatamente mi sembra di sapere perché sto faticando ad assemblare le mie cose. Ho fatto un’intera gamma di esperimenti e nessuno ha realmente funzionato. Ho fatto questi esperimenti per trasferire il mio lavoro ai miei aiutanti. Per razionalizzare una tecnologia fragile e riuscire a convertirla in un processo ripetibile. La riproduzione crea credibilità e stabilisce un sistema oltre all’apparenza di uno solo degli oggetti.
Sto facendo questi esperimenti pensando a come la produzione in galleria avrebbe potuto essere. Mi prefiguro sempre una situazione: i materiali sono tutti già disposti, tutti gli attrezzi sono sistemati e curati da persone indaffarate e curiose che si divertono con qualsiasi aggeggio passi loro tra le mani. Sì - “Nessuno lavora da solo” - io certamente no. Ma come fare di questi tempi. Mi piace fare questi esperimenti, devo davvero farli da solo per far lavorare i miei sensi. Ma quando effettivamente inizia la produzione allora avrò bisogno degli altri.
Il Covid 19 è ancora in circolazione e verrà affrontato solo quando lavoreremo tutti assieme.
Internet ha aiutato a diffondere l’informazione e a tenere la gente impegnata nelle loro case solitarie. Ma continua a spargere informazioni errate e molte teorie cospirazioniste. Internet mi ha dato modo di parlare con i miei studenti, ma incontrarci dopo qualche mese ci ha reso felici.
Così suppongo Keep beating below 65° perché non vogliamo che la bella schiuma collassi.
Sbattere energicamente ma con cautela, sbattere intendo.
Voglio davvero tanto incominciare il piccolo workshop in galleria che con solo 3 o 4 persone riuscirà a creare forme schiumose, che lentamente cresceranno per formare questa grande struttura che conquisterà lo spazio separandoci di nuovo l’uno dall’altro, ma che, si spera, mostrerà anche la gioia della realizzazione tutti insieme.

(Ps: Perché hai usato metafore culinarie per descrivere la progettazione della mostra? Strapazzi i pensieri come fossero uova, parli dei manuali come fossero ricettari. Non è un malinteso che tu intitoli la mostra reinterpretando le istruzioni sull’imballaggio di un latte d’avena atte a rendere la schiuma al meglio. Keep beating below 65° ci appare come una volontà:
A proposito della schiuma Roland Barthes scriveva in miti d’oggi: Quanto alla schiuma, è nota la sua significazione di lusso; prima di tutto ha un’apparenza di inutilità; in secondo luogo la sua proliferazione abbondante, facile, quasi infinita, lascia supporre nella sostanza da cui esce un germe vigoroso, un’essenza sana e potente, una grande ricchezza di elementi attivi in un piccolo volume originario; infine seconda nel consumatore un’immagine aerea della materia, un modo di contatto leggero e verticale insieme, perseguito come una felicità…. La schiuma può perfino essere segno di una certa spiritualità nella misura in cui lo spirito è ritenuto capace di ricavare tutto dal nulla, una grande superficie di effetti da un piccolo volume di cause…

Ps: A proposito di Roland Barthes e de La morte dell’autore e anche di Foucault e del testo incipit di Suzanne Prinz della tua ultima monografia Things in Slices in che rapporto sei con l’autorialità e con l’idea di avanguardia e di capolavoro? È più importante l’autore, l’opera, la sua riproducibilità o il visitatore?

Ps: Circa il riciclo come si può distinguere un lavoro sostenibile da uno insostenibile?).

Press release

We decided to keep suspended / unanswered the questions stimulated reading the emails by Michael Beutler. Michael will answer during the exhibition if he wants to.

Michael Beutler: the summer is very very hot. I am melting away in my studio.
I haven’t decided on the topic for the show yet, but I would very much like to make one big installation. So not a show of fragments like last time, but an installation that does deal in an architectural kind of way. I very much fancy big volumes these days and work on a way of making my own kind of Styrofoam, but made of paper balls. It is a bit related to a work that I am planning for a solo show in Ludwigshafen at the Wilhelm Hack museum. Ludwigshafen is the city of BASF. amongst many plastics the maker of Styrofoam.
I imagine one big volume that is a bit like an artificial rock that is then eventually cut into smaller sections, to build architectural shapes.
The only problem and of course also the nice part about them is their giant volume…. which might be problematic for transport, your small door and also storage. I will also search for alternative, less heavy volume solution for a big installation at your place. But I would very much like to do one big work in there.
I will build a little model of the space and the installation and some samples of the material, so we have more in hands to talk about.

(Pinksummer: Your work tends to encourage the production of meanings in the visitor, rather than the consumption of closed meanings. If you weren’t the author, what meaning would you produce in front of a “monolithic” exhibition, more than a “fragmented” one of the same authors, that is to say compared to a unity of style and thematic coherence?).

M.B.: it is one of the baselines in so many of my works, that is the idea to think of the gallery as a container that was built to suit a certain object, rather than thinking of the gallery being there first and the artwork later. The VASA Museum is probably a very good example for that kind of architecture.
By doing this the remaining social space changes to a high degree. The artwork is in control of the movement of people. these find themselves in a special situation, they need to deal with it together, communicate….
Another part of this strategy is to give no option to overview the entire work, the visitors have to move around to observe, need to remember and need to puzzle the object together in their head.
I always liked your gallery space for having this nice vaulted ceiling. I would very much like to play with it and I think this could be a good way to do so.
Let’s see…
Imagine the Portikus exhibition (Portikus castle) inside the gallery. Or a big rock of stuff standing on just a tiny bit leaving only little space to walk around the gallery.
I will have a look about what I can do about the fitting in transport etc… The entire Venice exhibition also fitted exactly into one truck only
So fingers crossed it works this time.

(Ps: The main question that people ask themselves in front of a ship in a bottle is how one could put such a big creation inside such a tiny little space. Under a technical profile, that you are always aware of, ships in bottles can be built in two ways:

The ancient technique requires the building of a model outside the bottle and the unfolding of the veiling happens once the hull is inserted into the bottle, through the use of wires.
The modern technique requires the building of the ship directly inside the bottle with precision tools.

However, the most ancient ship in a bottle dates back to 1780. At the beginning sailors, lighthouse keepers, prisoners used to build it. It was bargaining chip in dive bars and brothels. The most ancient objects kept in bottle were mostly prayers, crosses, that seafarers used to bring with them to anchor themselves to some kind of certainty in the form of an amulet. The bottle was a simple container to protect the lucky charm from the salt and the dampness. Ships in bottles sometimes resembled ex voto: objects donated to a deity following a commitment that the claimant took on so that a wish could be granted. The ex voto is a thanking as if it was a tactile manifestation of a prayer. But ex votos like ships in bottles are small objects to look at from the outside, here you take us inside the bottle where the object is ungraspable and it requires memory, logic and maybe imagination to be perceived. Is your bounding artificial rock a metaphor or a falsehood, to quote the Harald Weinrich’s essay? And to quote Baudrillard when the prison stops existing can kidnapping and reclusion happen in any space/time?).

M.B.: I scrambled some thoughts and notes together from within my studio. I distilled a title out of it which is the following:
Keep beating below 65°
It is a misread quote from an Oat milk barista bottle which foamed content I enjoyed together in my coffee this morning.
It is the manual on the package that tells you how to foam your milk the best. My works tend to have manuals, since I am not the only one producing them. Even though I have an ambiguous relationship with manuals. I do not like recipes much. I rather experiment myself and work with what is there, open my senses to the material around. Non the less I also tend to look at the internet to find some information about how things are done. Doing this I always have the feeling I am wasting my time. Since I started my practice about 20 years ago, the means of gathering knowledge have changed a lot. Back then I really would have to figure out how to bend a meshed fence myself. Today I could open a webpage and would always find someone who has done it already and made a movie of it. But what does it really help? I am still here with the materials in my hand I am just not wanting to make what I am seeing out there, and I don’t want to repeat a process knowing that I would miss all the wonders of discovery. None of these manuals would help making the art, not even Sol LeWitt.
With my coffee in my hand I passed by a little heap of books in the corridor containing our library. I see a little booklet that I achieved in Kanjiro Kawai's pottery workshop in Kyoto during our Goethe Institut residency in 2018. It says on the cover: “We do not work alone”, so true I think and suddenly seem to know why I am struggling to bring my stuff together. I made a whole range of experiments and not one of them really has worked out. I do these experiments to be able to pass on jobs to my helpers. To rationalize a flimsy technology, to be able to turn it into repeatable procedure. The reproduction would create believe and establish a system beyond the appearance of just one of the objects.
I am doing these experiments thinking of how the production in the gallery would probably look alike. I am always aiming for a situation, where all the materials are there, all the tools are set up and all of them are tend to by busy curious people, enjoying whatever flies off their hands and contraptions.
Yes – “We do not work alone”, I certainly don´t, but how is that in these times? I like doing these experiments and I actually do have to make them alone to really have my senses at work. But I will rely on others, when the production really starts.
Covid19 is still around and will only be delt with when all are working together. The internet has helped to spread information and to keep people busy in their lonely homes, but it also keeps spreading wrong information and a lot verschwörungstheorien. The internet provided a way to talk to my students, but meeting them after some month in person really made us very happy.
So I guess Keep beating below 65°, because we don't want the beautiful foam to collapse. Energetic but careful beating I would say.
I so very much want to set up this tiny workshop in the gallery, that with just three or four people will make some nice foamy shapes, that will slowly grow together, to shape some big structure, which conquers the space, separates us from each other again, but which hopefully also will display the joy of its togetherly making.

(Ps: Why did you use culinary metaphors to describe the project of the exhibition? You scramble your thoughts as they were eggs, you talk about manuals as if they were recipe books. It is not a that you title the exhibition reinterpreting the instructions to properly beat the milk on an oat milk’s packaging. Keep beating below 65° seems like a will:
Regarding foam Roland Barthes wrote in Mythologies: As for foam, it is well known that
it signifies luxury. To begin with, it appears to lack any usefulness; then, its abundant, easy, almost infinite proliferation allows one to suppose there is in the substance from which it issues a vigorous germ, a healthy and powerful essence, a great wealth of active
elements in a small original volume. Finally, it gratifies in the consumer a tendency to imagine matter as something airy, with which contact is effected in a mode both light and vertical, which is sought after like that of happiness […] Foam can even be the sign of a certain spirituality, inasmuch as the spirit has the reputation of being able to make something out of nothing, a large surface of effects out of a small volume of causes

Ps: On the subject of Roland Barthes and The Death of the Author and also of Foucault and Suzanne Prinz’s incipit in you latest monography Things in Slices, what is your relationship with authorship and with the ideas of avant-garde and of “masterpiece”? What’s more important: the author, the artwork, its reproduction or the visitor?

Ps: Talking about recycling, how can one distinguish between a sustainable or unsustainable artwork?).