Michael Alexander Campbell – Hansel Gretel and Barbie on a Bike

Informazioni Evento

Luogo
LUCE GALLERY
Largo Montebello 40, Torino, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Artisti
Michael Alexander Campbell
Generi
personale, arte contemporanea

uce Gallery è lieta di presentare ‘Hansel, Gretel and Barbie on a Bike’, la prima mostra personale di
Michael Alexander Campbell (n. 1999, Cambridge, Regno Unito; vive e lavora a New York) alla Galleria.

Comunicato stampa

Luce Gallery è lieta di presentare ‘Hansel, Gretel and Barbie on a Bike’, la prima mostra personale di
Michael Alexander Campbell (n. 1999, Cambridge, Regno Unito; vive e lavora a New York) alla Galleria.
Le opere presentano un insieme di personaggi che mescolano figure mitiche e icone della cultura
contemporanea, dove appaiono insieme il Pifferaio Magico e Barbie. Alcuni di questi miti vengono
attualizzati e invitano a nuove interpretazioni: la regina Nefertiti indossa occhiali da sole, e Lady Godiva è
vestita con abiti eleganti.
The Dusk of Downtown
di Hannah Wikforss-Green
Manhattan diventa una necropoli in agosto. Gran parte di ciò che si vede, si sente e si percepisce
all’esterno è il rumore gocciolante e dal calore acre che fuoriesce dai condizionatori d’aria penzolanti,
appesi alle finestre dei casolari popolari; le strade si svuotano, abbandonate da chi fugge in provincia e dai
residenti che si rifugiano nei propri appartamenti più freschi. Il sudore odora di carne fredda e sigarette e ti
accovacci davanti alla luce del frigorifero alle cinque del mattino, cercando sollievo con degli avanzi di lo
mein e tentando di contrastare la disidratazione da Martini con una tiepida Poland Springs da un dollaro.
Ma per me, il ricordo dell’aria densa e calda dell’estate 2023 è attraversato dal suono di Michael Alexander
Campbell che suona al pianoforte Ballad of a Thin Man di Bob Dylan, al secondo piano residenziale del
grande e rosa Palazzo Chupi, di Julian Schnabel, in West 11th Street.
Ho conosciuto Michael quell’estate, mentre lavorava a enormi dipinti dal sapore psichedelico nel garage
interrato del Palazzo Chupi. Grandi tele aperte sul pavimento e fenditure di colore ad olio creavano forme
astratte, che invitavano a entrare in un mondo familiare e straniante al tempo stesso.
In seguito Julian lo avrebbe assunto, e noi due saremmo diventati amici rapidamente, accomunati dalla
capacità di lanciare digressioni infinite e da una passione condivisa per le varie scene culturali della storia
di New York. Entrambi vivevamo a Downtown – Michael nell’East Village, io nel Lower East Side – a venti
minuti a piedi l’uno dall’altro.
Michael arrivò a New York in un momento particolare, dipingendo sullo sfondo di una cultura insolita. Per
me gli anni tra il 2022 e 2025 a New York sono il “periodo intercrisi”, la breve intermissione tra la pandemia
e Trump 2.0. New York, città nota come oasi progressista in un’America sempre più nazionalista, non è
rimasta immune dagli sviluppi politici. Downtown – in particolare intorno alla mia zona, che alcuni chiamano
Dimes Square – sembrava improvvisamente invasa da crypto-fanatici e groyper autoproclamatisi portavoce
di una nuova sottocultura letteraria e artistica post-woke, nata durante la pandemia.
Situata tra Chinatown e il Lower East Side, Dimes Square è diventata sia un luogo fisico, sia una
subcultura. Division Street si interrompe in Canal Street – un'eccezione diagonale al sistema a griglia
nord-sud ed est-ovest che caratterizza Manhattan – creando una piazza triangolare piena di tavolini
all'aperto appartenenti a vari bar e ristoranti. La zona è nota per i suoi deliziosi locali di ravioli da 4 $, cash
only, le bodegas (cantine di vini) con gratta e vinci e dildo tempestati di falsi diamanti, e per i suoi scrittori e
artisti volutamente affamati, insopportabilmente cool e nutriti d’ironia, con una propensione per gli slogan
provocatori.
Quando Michael arrivò a New York, lo trascinavo con me a letture, inaugurazioni e feste varie a Dimes
Square. Andavamo a The Shop, ai piedi del ponte di Williamsburg, un locale semi-clandestino che faceva
anche da sede per un’impresa di disinfestazione, come uscito da ‘Il Pasto nudo’ di William Burroughs. Le
notti si concludevano a Chinatown o Little Italy, in feste improvvisate con cattolici convertiti perennemente
in lotta contro quasi tutti i sette peccati capitali. Alla Sovereign House, poco distante dal mio vecchio
appartamento, ti bombardavano di informazioni sulla blockchain ricchi uomini del mondo crypto che
finanziavano letture poetiche su temi reazionari. Non ci piaceva la politica, ma ci piaceva che esistesse una
scena.
Michael trattava il suo appartamento come una stanza d’albergo, trascorrendo la maggior parte del tempo
tra le strade screpolate di Downtown o sulla terrazza nera del suo edificio in Avenue B, dove dipingeva
grandi tele e conservava colori e pennelli in un baule. Se cercavo compagnia, sapevo che non era lontano.
Andavamo nei diner la mattina presto, dividevamo un piatto di pancake e ci cullavamo nella solenne
convinzione di trovarci al centro di qualcosa che contava.
Michael raccoglieva continuamente immagini, che ancora oggi usa come materiale di riferimento –
rielaborandole e reinterpretandole nella pittura, rendendo astratta la forma, ma conservandone la struttura e
la composizione generale. Nel suo rullino convivono foto della città, oggetti curiosi scovati nei negozi
d’antiquariato, e screenshot presi da Instagram (...e a volte anche da Hinge...).
Il suo metodo di raccolta e archiviazione del materiale visivo è tipicamente contemporaneo, ma il modo in
cui lo rielabora rende omaggio ai grandi maestri del passato.
Il periodo 2022–2025 è sembrato l’ultima incarnazione di Downtown – il crepuscolo di una cultura che è
sempre esistita a Manhattan, tra la 14a strada e il Financial District – una cultura che Michael e io siamo
riusciti a cogliere proprio nel momento in cui stava scomparendo.
Con i drammatici cambiamenti culturali e politici negli Stati Uniti e il costo della vita tornato a salire dopo la
breve parentesi di affitti più bassi durante la pandemia, ho percepito in modo acuto la fragilità di quella
scena – e la precarietà stessa di Manhattan come spazio capace di ospitare scene culturali.
Solo il tempo dirà quale sarà l’eredità di Dimes Square, ma la sua natura di forza ludica (seppur talvolta
sinistra) – capace di sperimentare con l’alto e il basso, con i temi dei social media e dell’internet, e con
l’ironia – ha lasciato un segno indelebile su artisti come Michael, che hanno trascorso lì una parte formativa
della loro vita, muovendosi tra letture e inaugurazioni all’interno di quella geografia fisica e culturale.
Michael Alexander Campbell è cresciuto in Svizzera e ha studiato Belle Arti alla Lancaster University in
Inghilterra, prima di diventare assistente di Julian Schnabel a New York. I suoi grandi dipinti ad olio
deformano le fonti fotografiche fino a conservarne soltanto la composizione essenziale.Ciò che permane è
la narrazione, che evoca miti e fiabe in cui le storie sopravvivono anche quando i personaggi mutano o
svaniscono. Le sue mostre comprendono collettive e residenze tra Europa e Stati Uniti, oltre alla sua prima
personale alla Casa del Popolo di New York (2025). Il suo lavoro è luminoso e vibrante, unendo segni
gestuali ed espressivi a un tratto preciso e classico, per creare dipinti che appaiono al tempo stesso punk e
tradizionali.
“In definitiva, se sai già quale significato vuoi infondere nei tuoi dipinti prima di realizzarli, essi risulteranno o
didascalici o privi di originalità. Il significato sarà presente, che tu lo voglia o no.”