Maxim Kantor – Atlantis
La mostra presenta, nel contesto della Biennale, l’opera di questo straordinario artista (nato a Mosca nel 1957; vive tra l’Île de Ré inFrancia, Oxford, Berlino e Mosca) il quale, nel suo intenso lavoro ripropone la storia del XX secolo fino ai nostri giorni, con particolare attenzione agli eventi legati alla Rivoluzione Russa e alla Prima Guerra Mondiale.
Comunicato stampa
Dal 1° giugno al 15 settembre 2013 viene presentata al Collegio Armeno Moorat Raphael, Palazzo Zenobio, la mostra “Maxim Kantor. Atlantis” in collaborazione con il Museo di Stato Russo di San Pietroburgo. L’opera di Maxim Kantor è conosciuta in Italia, dove l’artista ha esposto precedentemente, nel 1988 presso Studio Marconi Milano, nel 1997 alla XLVII Biennale di Venezia, con la mostra “Criminal Chronicle”, a cui fu completamente dedicato il Padiglione Russo, nel 2005 alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia e, da ultimo, l’anno scorso alla Fondazione Stelline di Milano. La mostra presenta, nel contesto della Biennale, l’opera di questo straordinario artista (nato a Mosca nel 1957; vive tra l’Île de Ré inFrancia, Oxford, Berlino e Mosca) il quale, nel suo intenso lavoro ripropone la storia del XX secolo fino ai nostri giorni, con particolare attenzione agli eventi legati alla Rivoluzione Russa e alla Prima Guerra Mondiale. I soggetti delle sue incisioni sono i grandi protagonisti della storia, di cui ne fa un’implacabile e severa critica, oltre che oggetto di una sottile quanto sferzante ironia, mostrando invece compassione e forte partecipazione per le vittime e per i “vinti”.
L’immagine centrale delle sue opere è Atlantide che si inabissa nell’oceano, come racconta Platone. Il cuore, infatti, di questa esposizione, a cui fa da cornice un nucleo di opere rappresentave dell’intera attività pittorica di Kantor (1980-2012),
è il portfolio “Vulcanus. Atlas”, realizzato nel 2010, che offre – come ha scritto Vittorio Hösle – “addirittura una filosofia della storia del XX secolo”. In questo ciclo, motivi dell’antica iconografia russa sono combinati con elementi da cartellonistica di propaganda, registrando la morte di Lenin e di Stalin, l’assassinio di Trozky, la nascita dei nuovi assetti mondiali nel 1945 e nel 1991 con le conseguenti trasformazioni sociali. Offrendo, come aggiunge Hösle, “una visione dell’Europa come di un animale ferito che non vuole morire”, e lanciando così “una sfida amara all’ufficiale euroottimismo”.
Pittore, raffinato incisore e scrittore, Maxim è il figlio dell’intellettuale e filosofo Karl Kantor, con il quale ha sempre avuto un profondo rapporto di vicinanza e di confronto. L’elemento principale delle sue opere sono le persone. I loro volti, i loro corpi e, naturalmente, le loro anime; ha dipinto un numero strepitoso di ritratti, a cominciare da quelli dei genitori, e molti autoritratti, segnando così le tappe intrecciate della propria arte e della sua profonda riflessione storico-filosofica. Dopodiché incomincia a dipingere sia gruppi piccoli (come in alcune Mense) che gruppi molto affollati (una disciplinata colonna di prigionieri, i personaggi in un piccolo mercato recintato da assi di legno come fosse un luogo di detenzione); la caratteristica di questi “gruppi” è sottolineata dal titolo di una delle sue opere più note, Folla solitaria, del 1992, in cui, come fa notare Cristina Barbano, “le persone sono insieme, ma sono sole come in una foresta sono gli alberi a cui esse, alte e ossute, tanto assomigliano”.
Si suole dividere la sua intensa e appassionante produzione artistica in tre periodi principali: il “Periodo Rosso” (Periodo Sovietico, 1980 - fine anni Novanta), caratterizzato da dipinti che rappresentano case, prigioni, lager, ospedali, metropolitane, ma anche e soprattutto uomini che, pur oppressi da un regime disumanizzante, conservano “umanità” nel senso più ampio e più profondo del termine; lo stile di quegli anni, definito di “resistenza”, è spesso particolarmente crudo. Segue, nel successivo decennio, la fase denominata “Il Nuovo Impero”: la caduta del comunismo, alla fine degli anni Ottanta, rappresenta per Kantor la possibilità di viaggiare per il mondo, di abitare in altre città come Berlino, Londra, Parigi. Inizia qui un’epoca di grandi speranze, caratterizzata anche dalla perdita di orientamento. La Russia crolla, ma anche l’Europa attraversa una profonda crisi. L’opera riassuntiva di questi dieci anni è il portfolio di litografie “Metropolis”. Negli ultimi anni, dal 2008 ad oggi, la consapevolezza della fine di un certo “ciclo storico”, non solo in Russia, è diventata evidente: il mondo è entrato in una crisi profonda, non solo politica, ma anche intellettuale. Il compendio del lavoro di questo periodo (da lui chiamato “Atlandide”) si ritrova nell’ultimo portfolio grafico “Vulcanus”, dove Kantor si ritrae nella prima incisione con il titolo “Autoritratto tra Lenin e Putin” (2010). Kantor ha presentato la serie “Vulcanus. Atlas” lo scorso anno a Berlino alla Galerie Nierendorf; recentemente al Musée du Montparnasse di Parigi, all’Ashmolean Museum of Art and Archaeology di Oxford (in occasione della Conferenza Internazionale sul tema “Come rispondere alla crisi globale” da lui promossa con il sostegno della Cattedra di Politica Mondiale dell’Università di Oxford, e al Museo di Stato di San Pietroburgo.
“Un quadro – egli ha scritto - è tanto più pregiato quanto maggiori sono stati gli sforzi e la pazienza che gli ha dedicato il pittore. Quell’ultima, liberatoria pennellata è possibile soltanto se prima ce ne sono state tante altre inutili e imprecise. L’esperienza del pittore è fatta di sconfitte quotidiane. Bisogna togliere il superfluo e lasciare solo il necessario. Il metodo del pittore è parente stretto di quello scelto da Amleto, non appena l’obiettivo diventa chiaro. Lui dice di voler cancellare dalla memoria tutto ciò che impedisce di concentrarsi sulle cose più importanti. Per occuparsi delle cose più importanti, è necessario eliminare dalla memoria tutte le cose che importanti non sono”. Sono parole tratte da un suo romanzo, che suonano come una suggestiva e saggia lezione di metodo di lavoro, ma anche – si usa dire oggi – di “filosofia della vita”.