Maternità

Informazioni Evento

Luogo
MUSEO IMMAGINARIO
via Mellerio, 2 , Domodossola, Italia
Date
Dal al
Vernissage
08/12/2014
Generi
documentaria, fotografia
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Frammenti della fototeca di Raffaello Giolli.

Comunicato stampa

Maternità
Frammenti della fototeca di Raffaello Giolli

Testo di
Davide Brullo

dicembre - gennaio 2015

Riproduzioni fotografiche di
Fotografia Cascianelli, Fotografia Calzolari – Mantova, Fotografia d'arte M. Castagneri – Milano, Fotografia Umberto Sciamanna – Roma, Fotografia Dino Zani – Milano, Studio fotografico E. Sommariva - Milano,
Fotografia Caldarazzo - Roma

Catalogo M.me Webb Editore

Turbata, questa è la parola. La storia delle storie si avvia dopo il turbamento di una ragazzina. Quando l’angelo fa visita a Maria, per annunciarle la sua grazia, “ella rimase turbata”, scrive l’evangelista Luca. Dio si inchina davanti a una ragazza di Nazaret, nel suo turbamento si interrompe la storia. In quel silenzio protratto potrebbe terminare. Dio esiste perché Maria, la vergine di Galilea, erompe nell’annuncio, “ecco la serva del Signore; si faccia di me come hai detto tu”. Dopo che Dio ha rimesso la sua esistenza nelle mani di Maria, lei si fa serva della domanda del parto. Maria, però, non è una mistica, non è stordita dal miracolo, non si lascia sedurre dall’angelo. Il suo turbamento è interrotto dall’interrogatorio: “Come è possibile?”. Allora l’angelo, oltre alla spiegazione ultraterrena, deve concedere quella razionale: “anche Elisabetta, tua parente…”. La vicenda di Elisabetta è speculare a quella di Maria, ma al contrario: Elisabetta è sterile ed è troppo vecchia per avere figli. Maria misura la veridicità dell’annuncio divino nel mondo: il cristianesimo è la fede custodita nel dubbio. L’assoluto sì di Maria, che assume un figlio che dovrà condividere con l’umanità intera, di cui intravede, nell’originario vagito, il rantolo finale, spaventa gli evangelisti. Soltanto Luca racconta la visita dell’angelo a Maria; nel Vangelo di Matteo è Giuseppe a ricevere la parola angelica. Eppure, l’immagine della Madonna con il Bimbo ha fecondato la storia dell’arte, ha ispirato i pittori come nessun altro episodio evangelico. Eppure, nella storia di Gesù, questo è un bagliore, un frammento rapidissimo nel turbine della vicenda di Cristo, l’epopea di un figlio sottratto, di una madre orfana. “Entrati nella casa videro il bambino con Maria sua madre” (Mt 2,11): questa scena è così umana che Dio sembra bandito, eccessivo, in esilio. Dio, in quel momento, abbracciato alla sua mamma, non è, è soltanto un figlio, carne friabile, corpo di vetro, una fiamma, chissà quanto dura, chissà chi può vederla. La collezione di Madonne, in forma fotografica, di Raffaello Giolli (1889-1945), straordinario, delicato e coraggioso storico dell’arte, è una miniera – e forse una conca di madri salvifiche, un chiostro salutare rispetto alla cella di Mauthausen dove Giolli fu finito. Ci sono le Madonne nitide del Trecento e quelle evolute tra i veli del Settecento, la pittura scultorea di Bartolomeo Vivarini si alterna a quella aerea di Francesco De Mura, la metafisica femminile di Leonardo è equiparata al pudore di Bernardino Luini. Erompe il seno della Vergine, non implicato nella colpa del dare la vita – costringendo così ulteriori uomini alla rovina del dolore – che sembra, perciò, il sole. In ogni quadro – ma le fotografie fanno accedere a un mondo più profondo, all’ombra della Natività – la Madonna ha lo sguardo severo ed enigmatico, è la madre che ha sacrificato la propria felicità materna per il bene degli uomini, di perpetuo sconosciuti, si è sacrificata anche per chi tormenterà il suo figlio, mai suo, nato dal suo ventre come dal ventre della Croce. Mai suo, mai. Se non in quell’attimo di turbamento di fronte alla creatura celeste, quel silenzio-ghiacciaio, di infinita vertigine, in cui tutti siamo nati.