Massimo Campigli e gli Etruschi – Una pagana felicità

Informazioni Evento

Luogo
PALAZZO CAVALLI FRANCHETTI
S. Marco 2847, Venezia (accanto al Ponte dell’Accademia), Venezia, Italia
Date
Dal al
Vernissage
20/05/2021

dal 20 al 22 maggio ore 10.30-16 press preview

Contatti
Email: presspartnerscommunication@gmail.com
Sito web: http://www.acp-palazzofranchetti.com
Artisti
Massimo Campigli
Curatori
Martina Corgnati
Generi
archeologia, personale, arte moderna
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Le circa 35 opere di Campigli selezionate per la mostra si affiancano a una cinquantina di reperti della civiltà etrusca, molti dei quali inediti ed esposti qui per la prima volta.

Comunicato stampa

«[...] Nei miei quadri entrò una pagana felicità tanto nello spirito dei

soggetti che nello spirito del lavoro che si fece più libero e lirico». É con

queste parole che lo stesso Massimo Campigli descrive la visita al

Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma nel 1928, attribuendole una

valenza fondamentale per lo sviluppo della fase più matura della sua

produzione artistica. Ed è a partire da queste parole che prende forma

la mostra presso ACP - Palazzo Franchetti a Venezia che vuole proporsi

come un vero dialogo tra le opere del maestro e gli esempi del passato

da cui ha tratto così forte ispirazione. Le circa 35 opere di Campigli

selezionate per la mostra si affiancano a una cinquantina di reperti della

civiltà etrusca, molti dei quali inediti ed esposti qui per la prima volta,

individuati dalla Soprintendente Margherita Eichberg assieme agli

studiosi del Comitato Scientifico Leonardo Bochicchio, Simona Carosi,

Daniele Federico Maras, Rossella Zaccagnini. L'esposizione ha potuto

inoltre contare sul prezioso apporto scientifico della storica dell'arte

Martina Corgnati, curatrice della mostra.

E' un dialogo profondo quello che si instaura nelle sale del piano nobile

di ACP – Palazzo Franchetti. Le composizioni volutamente arcaicizzanti

di Campigli, ben rappresentate in mostra con dipinti che spaziano dal

1928 al 1966, ritrovano le origini della loro ispirazione più profonda nei

reperti etruschi esposti con cui si instaura una naturale condivisione di

atmosfere, segni e colori. A partire dalla famosa visita al Museo Etrusco

di Villa Giulia a Roma nel 1928 si assiste infatti a una sorta di ritorno a

una purezza primordiale nell'arte di Campigli, a un sapore antico fatto di

colori tenui come dipinti ad affresco così simili a come il tempo ci ha

restituito le immagini etrusche, di forme plasmate secondo il disegno di

statue votive o di anfore, di figure femminili con busti a clessidra che si

astraggono in immagini atemporali.

La ricchezza tipologica dei reperti in mostra – dai vasi alle statuine, dai

gioielli ai sarcofagi, ecc. - permette di rintracciare un alfabeto e un

universo di legami che, a partire da generali evocazioni, si declinano in

riferimenti puntuali nelle diverse sezioni della mostra: la prima dedicata

alla figura umana, divisa in gli uomini e le donne; la seconda agli

animali, composta da uccelli, cavalli, animali selvatici ed infine la terza

con forme e geometrie.

Molti dei reperti sono assolutamente inediti e provengono da importanti

operazioni di recupero di materiale archeologico, anche da rinomati

musei internazionali, e ora nella disponibilità della Soprintendenza

Archeologica Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma,

la Provincia di Viterbo e l'Etruria Meridionale. Una nota meritano

sicuramente due preziosi sarcofagi in terracotta del Museo Civico di

Viterbo.

Attraverso il richiamo di queste formule espressive appartenenti a una

gloriosa civiltà passata, l'arte di Campigli rivela una profonda originalità

proprio nella coesistenza tra antichi splendori e attualità, immergendo il

visitatore in una dimensione dove il tempo sembra fermarsi o scorrere

tranquillo in una quiete imperturbabile.

Ci mostra un Novecento contemporaneo alle età più antiche del

Mediterraneo scrivendo così una pagina molto interessante di quello

che l'archeologo Massimo Pallottino ha definito come “romanzo

etrusco”, un mito che dal Rinascimento in poi continua ad esercitare

una forte fascinazione di generazione in generazione.