Maestri del silenzio

Informazioni Evento

Luogo
MUSEO COMUNALE D'ARTE MODERNA
Via Borgo 34, Ascona, Switzerland
Date
Dal al
Vernissage
12/05/2020

NO

Generi
arte moderna
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Negli anni Cinquanta del Novecento la zona dell’alto Verbano, tra Ascona e Locarno, vive la straordinaria presenza di una comunità intellettuale di artisti.

Comunicato stampa

Negli anni Cinquanta del Novecento la zona dell’alto Verbano, tra Ascona e Locarno, vive la straordinaria presenza di una comunità intellettuale di artisti formata da Hans Arp, Julius Bissier, Ben Nicholson, Hans Richter e Italo Valenti, coagulata intorno agli epicentri degli atelier degli artisti Remo Rossi e François Lafranca. Un clima eccezionale cosmopolita che segna una fertile stagione, che dalla fine degli anni Cinquanta continuerà per circa 15 anni, in nome di un’arte sempre più lirica, sintetica e astratta, cifra comune di tutte queste personalità qui riunite in mostra.

Hans Arp e Hans Richter, che avevano già stretto rapporti con la zona fin dagli anni di Dada, nel confrontarsi con la proposta controculturale, libertaria e di “sintesi di tutte le arti” della comunità di Monte Verità di Ascona, quando giungono ad Ascona nel 1958 rinnovano e radicalizzano quanto avevano già precedentemente formalizzato in nome di un’arte sempre più sintetica, concreta e dinamica. Hans Arp (1887-1966) approfondisce la sua proposta di “arte concreta”, di un linguaggio autonomo elementare, fatto di forme astratte e organiche, non imitative ma intrinsecamente inerenti al processo stesso della natura, perché per lui l’artista non deve riprodurre ma “produrre come la natura”. Hans Richter (1888-1976) , per il quale l’arte non può che essere dinamica, multimediale, comunicativa e incisiva, dopo l’esperienza a New York a capo dell’Institute of Film Techniques del City College, ritorna significativamente alla pittura, all’essenza e origine di tutto il suo percorso artistico, creando assemblaggi dinamici in cui convive la tecnica a olio tradizionale, insieme ai papiers déchirés e al collage, in un tutto all’insegna di una spazialità dinamica, tesa o rarefatta, che si espande vibrando oltre la superficie dell’opera, come per Il Musicista del 1972 o Vibra del 1974.

Quando Julius Bissier (1893- 1965) giunge ad Ascona nel 1956, ha alle spalle una lunga carriera artistica contrassegnata da una coerente ricerca di sé, capace di riscattarlo dal disagio esistenziale di un mondo in cui non si riconosceva. Dapprima tra le fila della Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività) – occupato a sondare oltre l’apparenza della realtà fenomenica e l’esuberanza soggettiva dell’espressionismo, in nome di una lucida verità senza orpelli – giunge nel 1930 a fare consapevolmente tabula rasa del passato, abbandonare la pittura da cavalletto per dedicarsi da autodidatta al piccolo formato, dove dare libero corso alle sue intime emozioni, senza inibizioni e preconcetti, creando segni neri di china libera sulla carta bianca, nati in uno stato di pienezza meditativa inteso misticamente. Arriva infine alla formulazione di un suo proprio linguaggio personale, fatto di simboli, archetipi dal valore universale, un’arte dell’essenziale vicina al pensiero orientale, un’arte del silenzio dal carattere “sacro”, da contemplare nella meditazione.

Ben Nicholson (1894- 1982) fin dagli anni Venti del Novecento perviene a un suo stile personale, a un tempo naïf e rigoroso dove, nell’apparente immediatezza di una pittura en plein air di paesaggi d’Italia e della Svizzera, nulla è lasciato al caso, tanto la composizione è strutturata su una ricerca analitica dello spazio e delle forme, che approfondirà ulteriormente a partire dagli anni Trenta applicando gli stilemi del cubismo sintetico di Braque e di Picasso. Creando delle composizioni sempre più ricercate per piani contrapposti e compenetranti sia di superfici colorate che, a uno stadio più estremo, di rilievi e tavole dipinte, Nicholson suscita l’illusione ottica della quarta dimensione di oggetti e spazi che perdurano e si trasformano nel tempo. Con il suo linguaggio elementare di forme astratte sempre più concrete e assolute, Nicholson non si sottomette al rigorismo matematico di un Mondrian ma preferisce mantenersi nel campo dell’intuizione, dell’esperienza emotiva esistenziale, Leitmotiv di tutto il suo operare particolarmente attento alle caratteristiche e potenzialità della materia che sa svelare con poeticità. Tra il 1965 e il 1968 egli si dedica anche alla grafica, realizzando più di 100 acqueforti nell’atelier di François Lafranca a Locarno, dove sperimenta tutte le variazioni tecniche, meravigliandosi, nell’attesa, dei risultati del foglio stampato.

Italo Valenti (1912- 1995), cresciuto nell’ambiente milanese nell’orbita del movimento antifascista di Corrente, declinando una figurazione sintetica espressiva e poetica, sempre più articolata in euritmie di forme seriali (file di trenini, di aquiloni, di barchette roteanti, ecc.) schematizzate e sovrapposte, l’approdo all’astrazione era per così dire nel suo destino. Nel 1952, quando Valenti decide di ricominciare da capo, si trasferisce ad Ascona e si inserisce nell’orbita degli atelier di Remo Rossi, abbandona definitivamente il figurativo per l’astratto. Ora forme e colori essenziali e non più referenziali, sono liberi di esprimere in sé il pensiero sotteso dell’emozione, che nasce dalla pura contemplazione. Un passaggio all’astrazione che in Valenti avviene per gradi – dalle forme pastose di colori espressivi vorticosi, a quelle sempre più sintetiche e tendenti al geometrico, fino all’uso del collage che, nel 1982, rimpiazza la pittura in nome di quell’astrattismo lirico che invade e risuona nello spazio assoluto.

Mara Folini

Meister der Stille

In den fünfziger Jahren des 20. Jahrhunderts erlebte das Gebiet des oberen Verbano zwischen Ascona und Locarno die außergewöhnliche Präsenz einer intellektuellen Gemeinschaft von Künstlern, an der sich Hans Arp, Julius Bissier, Ben Nicholson, Hans Richter und Italo Valenti beteiligt haben. Diese kam um die Ateliers der Künstler Remo Rossi und François Lafranca herum zusammen. Ein außergewöhnliches kosmopolitisches Klima, das eine fruchtbare Periode kennzeichnet, die ab Ende der fünfziger Jahre etwa 15 Jahre andauern wird, im Namen einer zunehmend lyrischen, synthetischen und abstrakten Kunst, die all diese Persönlichkeiten, deren Werke in dieser Ausstellung gezeigt werden, gemeinsam haben.

Als Hans Arp und Hans Richter – die bereits seit den Jahren von Dada mit der genannten Region verbunden waren und sich in Ascona mit den gegenkulturellen und libertären Tendenzen der Gemeinschaft des Monte Verità auseinandergesetzt haben, welche versuchte eine "Synthese aller Künste" zu erreichen – 1958 in Ascona eintrafen, erneuerten und radikalisierten sie, was sie bereits im Namen einer zunehmend synthetischen, konkreten und dynamischen Kunst formalisiert hatten. Hans Arp (1887-1966) vertieft seine Version der "konkreten Kunst", einer elementaren autonomen Sprache, die aus abstrakten und organischen Formen besteht, nicht imitativ, sondern dem Prozess der Natur innewohnend, denn für ihn muss der Künstler nicht reproduzieren, sondern "produzieren wie die Natur". Hans Richter (1888-1976) , für den Kunst nur dynamisch, multimedial, kommunikativ und prägnant sein kann, wendet sich nach seiner Erfahrung in New York als Leiter des Institute of Film Techniques am City College wieder ausdrücklich der Malerei zu, dem Wesen und Ursprung seiner gesamten künstlerischen Laufbahn, dynamische Assemblagen schaffend, in denen die traditionelle Ölmalerei zusammen mit den Papiers déchirés und der Collage in einem Ganzen koexistiert, das durch eine dynamische Räumlichkeit gekennzeichnet ist, voller Spannung oder ätherisch, die sich über die Oberfläche des Werks hinaus ausbreitet, wie bei The Musician (1972) oder Vibra (1974).

Julius Bissier (1893-1965) kam 1956 nach Ascona und hatte schon eine lange künstlerische Karriere hinter sich, die von einer konsequenten Suche nach sich selbst geprägt war, die ihn von den existentiellen Unannehmlichkeiten einer Welt befreien konnte, in der er sich selbst nicht erkannte. Zuerst im Geist der Neuen Sachlichkeit malend – das Erscheinen der phänomenalen Realität und der subjektiven Exuberanz des Expressionismus erforschend, in der Suche nach einer unverkennbaren Wahrheit ohne Ausschmückungen – gelangt er 1930 dazu, bewusst tabula rasa aus der Vergangenheit zu machen, die Staffeleimalerei aufzugeben, um sich als Autodidakt dem Kleinformat zu widmen, wo er seinen intimen Emotionen freien Lauf lassen kann, ohne Hemmungen und Vorurteile. So entstehen in einem Zustand meditativer Vollkommenheit, der mystisch zu verstehen ist freie Zeichen in schwarzer Tusche auf weißem Papier. Schließlich kommt er zur Formulierung seiner eigenen persönlichen Sprache, die sich aus Symbolen und Archetypen von universellem Inhalt zusammensetzt; einer essenziellen Kunst, die dem orientalischen Denken nahe steht, einer Kunst der Stille mit einem "heiligen" Charakter, die in der Meditation betrachtet werden soll.

Ben Nicholson (1894-1982) hat seit den zwanziger Jahren des 20. Jahrhunderts einen zugleich naiven und rigorosen persönlichen Stil entwickelt, in dem in der scheinbaren Unmittelbarkeit seiner Darstellung von italienischen und schweizerischen Landschaften, die an die Malerei en plein air erinnern, nichts dem Zufall überlassen wird, so sehr, dass die Komposition auf eine analytische Erforschung von Raum und Form aufgebaut ist, die sich in den dreissiger Jahren durch die Anwendung der Eigenschaften des synthetischen Kubismus von Braque und Picasso weiter vertiefen wird. Durch die Gestaltung immer anspruchsvollerer Kompositionen mit gegensätzlichen und sich durchdringenden Ebenen, sowohl als gemalte Flächen als auch, in der weiteren Entwicklung, in Form von Reliefs und bemalten Tafeln, erweckt Nicholson die optische Illusion der vierten Dimension von Objekten und Räumen, die im Laufe der Zeit fortbestehen und sich verändern. Mit seiner elementaren Sprache immer konkreteren und absoluteren abstrakten Formen unterwirft sich Nicholson nicht dem mathematischen Rigorismus eines Mondrians, sondern bleibt lieber im Bereich der Intuition, der existentiellen emotionalen Erfahrung, Leitmotiv all seiner Vorgehensweise in der er besonders auf die Eigenschaften und die Potentialität des Materials achtet, das er mit Poesie zu enthüllen weiß. Zwischen 1965 und 1968 widmete er sich auch der Grafik: im Atelier von François Lafranca in Locarno entstehen mehr als 100 Radierungen, wo er mit allen technischen Möglichkeiten experimentierte und sich, nach dem Warten, über das gedruckte Ergebnis wunderte.

Italo Valenti (1912- 1995) , der im Mailänder Umfeld um die antifaschistische Bewegung Corrente aufwuchs, lehnte eine expressive und poetische synthetische Figuration ab, die sich zunehmend in der Eurythmie serieller schematischen und sich überlagernden Formen artikulierte (nebeneinander gereihte Züge, Drachen, kreisende Boote usw.); der Schritt zur Abstraktion war also vorherbestimmt. Als Valenti 1952 beschloss, von vorne anzufangen, zog er nach Ascona und verkehrte im Milieu der Ateliers von Remo Rossi, wobei er die figurative Kunst endgültig zugunsten der Abstraktion aufgab. Jetzt können sich wesentliche Formen und Farben, die sich auf nichts mehr beziehen, frei in ihren eigenen Worten ausdrücken. Ein Übergang zur Abstraktion, der in Valentis Werk schrittweise erfolgt – von den pastösen Formen wirbelnder expressiver Farben über die zunehmend synthetischen und geometrisch orientierten Formen bis hin zur Verwendung von Collagen, die 1982 die Malerei im Namen jener lyrischen Abstraktion ersetzen, die in den Raum eindringt und darin ihr Echo auslöst.

Mara Folini