Lugo ai tempi del colera

Informazioni Evento

Luogo
EX CONVENTO DEL CARMINE
Piazza Trisi n. 4 , Lugo, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

visitabile dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12

Vernissage
12/04/2014

ore 11

Contatti
Telefono: +39 054538488
Biglietti

ingresso libero

Generi
archeologia

La mostra ricostruisce le vicende umane e giudiziarie di alcuni detenuti del XIX secolo incrociando i dati d’archivio con i graffiti incisi sulle brocche e sui catini usati in cella.

Comunicato stampa

Un nome, una data, a volte solo un’iniziale, il segno che si è esistiti e, quel che è peggio, passati da lì.
Figli di un reato minore, certo, sennò finivano nel carcere di Ferrara, ma comunque galeotti, tradotti in cella per furto, ricettazione, simpatie rivoluzionarie o patriottiche.

Ci sono casi in cui, se piove, diluvia: alcuni di loro hanno dovuto patire due volte, la gattabuia e il vibrione. Che c’è di meglio di una stanza umida, malsana, sovraffollata e promiscua per soccombere al contagio? Eppure, ironia della sorte, proprio il colera li ha sottratti all’oblio.

Gli scavi archeologici effettuati nella Rocca di Lugo hanno portato in luce il condotto usato come immondezzaio delle prigioni pontificie ubicate nel torrione detto “Mastio di Uguccione”. Da questo scarico provengono i reperti protagonisti, con documenti e lettere d’archivio, della mostra “Lugo ai tempi del colera”, allestita nella Manica Lunga dell'ex Convento del Carmine, in Piazza Trisi 4 a Lugo, fino al 6 gennaio 2015.

Promossa dal Comune di Lugo e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, in collaborazione con Comitato per lo studio e la tutela dei beni storici di Lugo, l'esposizione propone circa 150 oggetti usati dai detenuti e buttati in occasione dell’epidemia di colera del 1855. Si tratta per lo più di brocche, catini, ciotole, piatti in ceramica ingobbiata e invetriata, fiasche, pitali, pentole e pedine da gioco, manufatti quasi tutti ottocenteschi, salvo un’esigua selezione di materiali dei secoli precedenti (XVII-XVIII) tra cui pentole da fuoco in ceramica invetriata e piatti in smaltata bianca o azzurra, tipo “Senigallia”.

L’interesse di questo materiale sta nei graffiti incisi dai carcerati, talora il nome, la provenienza, segni devozionali come piccole croci, a volte solo una tacca o il lento scorrere degli anni di detenzione, 1835, 1836, 1837 ... con il 1854 terminus post quem.

Ricerche d’archivio su queste incisioni hanno permesso di ricostruire le vicende personali e giudiziarie di alcuni detenuti, fornendo al tempo stesso uno spaccato di vita lughese alla vigilia dell’annessione al Regno di Sardegna.

I documenti raccontano molto di Stefano Ponzi, detto Massagnino, di professione “fachino”: accusato di ricettazione e recluso per oltre un anno, fu rilasciato nel 1855 nonostante la fama di sovversivo e di sicuro non è morto in carcere. Di “Nicola Belletti di San Lorenzo”, detenuto nel 1854, dicono solo che era nato il 26 giugno 1800 da tali Giuseppe e Santa Selva ma né di lui, né di Domenico Fenati e Luigi Caravita, Gaetano, Sante, Marcozzi, E.G., G.S. e gli altri incisori di nomi, croci, lettere e date sapremo forse mai le traversie umane e detentive.

In una mostra che parla di morti, galeotti e colera, va registrato il curioso caso di Francesco Scardovi, uno dei due medici attivi nel lazzaretto di Lugo dove, come recita la sua lapide nel cimitero monumentale, “con eroico zelo, tutto si diede al sollievo dei malati mentre qui infieriva il morbo”: il buon dottore non solo non è perito nel contagio ma è campato fino alla veneranda età di quasi 103 anni.

La mostra, curata archeologhe della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, Chiara Guarnieri e Claudia Tempesta, e da Antonio Curzi del Comune di Lugo, rientra nell'iniziativa "Quante storie nella Storia" promossa dalla Soprintendenza Archivistica per l'Emilia-Romagna dal 5 all'11 maggio 2014.