Lost in the pool of shadows. Un rifiuto comprensibile

Informazioni Evento

Luogo
GALERIE EMANUEL LAYR ROME
Via Dei Salumi 3 00153 , Roma, Italia
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Date
Dal al

su appuntamento

Vernissage
07/06/2019

ore 19

Curatori
Luca Lo Pinto
Generi
arte contemporanea, collettiva

La mostra mette insieme figure accomunate da pratiche artistiche ed esistenze animate da un rapporto di rifiuto, di sfida e insieme dall’urgenza di affermare la propria voce all’interno del sistema culturale in cui si sono mosse o tuttora si muovono.

Comunicato stampa

Lost in the pool of shadows. Un rifiuto comprensibile.
Vincenzo Agnetti, Sarah Margnetti, Cloti Ricciardi, Amelia Rosselli, Cinzia Ruggeri,
Franca Sacchi, Suzanne Santoro, Roman Stańczak, Patrizia Vicinelli
A cura di Luca Lo Pinto
8.6.-31.8.2019

La mostra mette insieme figure accomunate da pratiche artistiche ed esistenze animate da un rapporto di rifiuto, di sfida e insieme dall’urgenza di affermare la propria voce all’interno del sistema culturale in cui si sono mosse o tuttora si muovono. Buona parte delle opere sono state prodotte in un momento storico, gli inizi degli anni ’70, animato dall’aspirazione a dare vita alle utopie e da una forma di resistenza portata avanti su un piano linguistico e personale. Artisti che condividono un’insofferenza verso le strutture dominanti, una fragilità emotiva, un senso di non appartenenza, una continua volontà di rimettersi in discussione, un legame inscindibile tra il proprio vissuto e la propria arte.

Il tema identitario, l’istanza politica, il rapporto con il corpo sono temi centrali nella ricerca di Suzanne Santoro (1946) e Cloti Ricciardi (1939) con la necessità di ridefinizione del soggetto artistico al femminile dettato dall’urgenza di accedere in uno spazio – il mondo dell’arte – dominato dagli uomini. Nonostante il femminismo negli anni ’70 fosse penetrato nel mondo dell’arte e avesse alimentato un dibattito di cui solo oggi si iniziano a vedere i risultati, la lotta politica femminista portata avanti da entrambe, seppur inseparabile dalla pratica artistica, non si è mai identificata del tutto con essa.

Seppur non avendo mai esplicitato una chiara presa di posizione politica, Vincenzo Agnetti (1926-1981) ha portato avanti un’indagine sul ruolo del linguaggio, del tempo, della comunicazione, della critica sociale con ferma coerenza. Alieno a qualsiasi movimento, ha spesso manifestato un’insofferenza ideologica verso il contesto artistico nel quale aveva mosso i suoi primi passi decidendo di abbandonare la pittura a favore di una radicale messa in discussione dell’operare artistico.

Franca Sacchi (1940) è stata una delle pochissime figure femminili della scena elettronica musicale italiana attive tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70, prima di abbandonare l’arte e la musica sperimentale per dedicarsi all’insegnamento dello yoga in cui è tutt’ora coinvolta. Il suo album Ho sempre desiderato avere un cane, un gatto e un cavallo. Ora ho un gatto e un cavallo mi manca soltanto il cane, pubblicato nel 1973, farà da colonna sonora alla mostra.

Cinzia Ruggeri (1945) è un’artista e designer visionaria che nelle sue creazioni ha unito moda, architettura e design in modo unico sfuggendo a ogni possibile definizione. Ha sperimentato incessantemente spingendo il linguaggio della moda verso confini mai esplorati, arrivando a disegnare ogni tipo di accessori inclusi mobili, interni per la casa e a firmare scenografie teatrali. Un immaginario surrealista che dona agli oggetti una nuova vita facendoli interagire con il corpo in una forma insieme ironica e performativa.

Roman Stańczak (1969) è un’artista polacco che ha frequentato il workshop di Grzegorz Kowalski insieme a Paweł Althamer, Katarzyna Kozyra and Artur Żmijewski e che ha debuttato all’inizio degli anni ’90 con un gruppo di opere significative prima di ritirarsi dal mondo dell’arte nel 1997. Durante questi anni di lotta contro la dipendenza dall’alcool, l’artista ha prodotto un grande numero di disegni che ritraggono fiabe ed alcune sculture figurative. Il suo ritorno è stato contraddistinto dall’invito di Paweł Althamer nel 2013 a creare una scultura per un parco nel quartiere di Bródno a Varsavia. Quest’anno ha rappresentato la Polonia alla Biennale di Venezia.

Amelia Rosselli (1930-1996) è una delle voci più importanti della poesia italiana del Novecento. Le tragiche esperienze della sua adolescenza (l’uccisione del padre da parte dei fascisti e varie migrazioni tra Francia Inghilterra, America e infine Italia) le provocarono una sorte di dissociazione linguistica ed una condizione di sradicamento permanente, che si rispecchia nella sua lingua. La poesia – emotiva, sofferta, colta, sofisticata – della Rosselli è un corpo a corpo con la realtà conclusasi tristemente con il suicidio nel 1996.

Nella sua breve e drammatica esistenza, Patrizia Vicinelli (1943-1991) ha partecipato alla scena della neo-avanguardia italiana aderendo al Gruppo 63 e collaborando con Emilio Ville a riviste come Ex e Quindici. Vicinelli ha prodotto una scrittura avventurosa, articolata tra poesia visiva e sonora, con una forte vocazione performativa e dettata da una grande forza intellettuale che l’ha resa una figura influente nella scena underground letteraria e cinematografica. La sua anima autodistruttiva l’ha condotta ad un’esistenza inquieta costellata da storie di droghe, carcere e malattie privandola del riconoscimento che meritava.

Sarah Margnetti (1983) ha studiato presso l’Istituto Van der Kelen-Logelain di Bruxelles, la scuola più antica al mondo specializzata nelle tecniche tradizionali di pittura decorativa. L’artista si è cosi perfezionata nella tecnica del trompe l’oeil sviluppando un personale immaginario pittorico che combina illusioni ottiche a motivi astratti e surreali incorporando spesso parti del corpo. Margnetti ha concepito per la mostra un wall painting che funge anche da set ideale per le altre opere esposte.

- Luca Lo Pinto

Un sentito ringraziamento a tutti gli artisti e a Germana Agnetti, Bianca Boscu, Giuseppe Casetti, Mario Diacono, Giuseppe Garrera, Michał Lasota, Patrizio Peterlini, Massimo Piersanti, Mariolina Ricciardi.
Vincenzo Agnetti
Le mie opere attuali sono solo un segnale per volgarizzare quello che ho a monte, cioè le mie ricerche teoriche e critiche. Io scrivo delle cose dalle quali ricavo i miei quadri che a loro volta mi sono di stimolo per altri scritti…
Io penso che chi guarda un lavoro del genere, prima di recepire il messaggio, subisce un atto di violenza mentale; successivamente cerca di approfondire, di andare più avanti e giungere a delle conclusioni. Ed è questo, per me, l’unico modo per ottenere che il visitatore seguiti a vedere la mostra anche dopo essere uscito dalla galleria.

Cloti Ricciardi
Fu bellissimo. Si trattava di un giorno per ogni artista. A me capitò di giovedì e il giovedì era il giorno in cui noi facevamo la riunione del Pompeo Magno. Allora dissi «noi andiamo a fare il Pompeo Magno a Palazzo Taverna!». E così facemmo! Siccome era una riunione femminista io feci delle figurine femminili in perspex di quelle che si mettono fuori dai bagni e le attaccai fuori dalla porta perché era vietato l’ingresso agli uomini, infatti la mostra si chiamava proprio così, Vietato l’ingresso agli uomini. Facemmo la nostra riunione tranquillamente. La cosa divertente fu che la porta rimase aperta e successe l’ira di dio! Ci fu una specie di rivolta dei maschi che volevano entrare. Io ero consapevole che all’epoca i collettivi femministi erano all’avanguardia, però lo feci senza la consapevolezza di portare il femminismo in un luogo deputato all’arte, senza la consapevolezza precisa, diciamo. Con il senno di poi, il fatto che fossero tutte femmine, l’immagine di donne che discutono e fuori tutti i maschi che guardano... l’impatto era incredibile! I maschi reagirono malissimo e c’erano anche tanti artisti maschi che si indignarono, lo videro come un fatto presuntuoso, di potere. Non solo non potevi venire a vedere perché non c’era niente da vedere, al massimo stavi fuori e ascoltavi, ma non mi interessa proprio se ci stai o non ci stai, questo fu l’oltraggio. Fu una cosa molto forte.

Amelia Rosselli
In verità tra la mia biografia e la mia poesia ci sono strettissimi rapporti anche se ciascuna di esse obbedisce a leggi proprie. Certo è che la morte di mio padre (ed il modo in cui avvenne) e tutte le conseguenti migrazioni cui sono stata costretta hanno prodotto una sorta di dissociazione linguistica ed una condizione di permanente inconsistenza. La lingua riflette tale condizione. La mia preoccupazione è infatti quella d’operare una ricostituzione, soprattutto ponendo il linguaggio della poesia al ritmo delle leggi della composizione.

Cinzia Ruggeri
Amo la libertà e odio i pregiudizi. Ho voluto esprimere me stessa e le mie idee in modo totalmente libero, in campi diversi e far sorridere le persone.
La moda mi ha permesso di esplorare i segreti intimi, le necessità e i desideri di chi indossa i miei capi ma anche le follie, manie e nevrosi delle persone. Amo questo aspetto della moda dal momento che il cuore del mio lavoro non è nel creare in modo continuo e bulimico, ma affrontare questo tipo di questioni anche attraverso dei capi “comportamentali”. Non ho mai smesso di creare per me stessa. Ogniqualvolta che non riuscivo a trovare qualcosa che mi piacesse, persino una tovaglia, la realizzavo per conto mio come reazione al mercato di massa.

Franca Sacchi
Allora mi resi conto che il "discorso sull'evoluzione del linguaggio musicale" non solo non mi interessava più, ma mi dava fastidio. Lo sentivo falso, forzato, schizofrenico, imposto sull'ideologia corrente, dalla quale però non avevo il coraggio di staccarmi. Non sopportavo più questo modo alienato del "fare arte", questa separazione arte-vita. [...] Scoprii, o meglio, ammisi che quello che mi interessava più di tutto era me stessa e la mia evoluzione e che qualsiasi cosa io avessi fatto per essa automaticamente si sarebbe riflessa nelle mie azioni, nelle manifestazioni della mia esistenza.”

Suzanne Santoro
Io penso, ormai, che nella vita sia necessario fare ciò che è necessario, non ciò che piace. Prima l’idea dell’arte era perché mi piaceva, mi dava passione, mi ripagava. Oggi, onestamente, non mi ripaga più come una volta. Elisabetta Rasy, una scrittrice femminista e linguista, ha detto una cosa interessante, che è un tema già trattato dalle femministe, «io lavoro quando voglio lavorare», cioè basta con questa idea del prodotto, quest’idea di dover fare in continuazione che è una cosa che purtroppo appartiene molto al mondo dell’arte, un’ansia sul produrre, di dover star dietro alle gallerie. Invece Carla Lonzi dice che noi dobbiamo rivalutare i momenti non produttivi, a maggior ragione visto che come donne siamo state considerate per secoli come non produttive nella storia, nella cultura. Ma c’è un risvolto positivo perché che cos’è il non produttivo? È il sociale, il colloquio, l’affettività, il sentimento che corrispondono a vita.

Roman Stańczak
Vivo costantemente in una sorta di indagine, conflitto esistenziale, osservando in me stesso e negli altri una qualche forma di spiritualità in cerca del nulla, dell’impermanenza. Questo tema mi accompagna in modo continuo fin dall’infanzia. Conflitti morali diversi. Facendo tante cose come un esperimento, tra controllo e perdono.

Patrizia Vicinelli
La frase aspira ad andare oltre lo stesso ideogramma nella sua macroscopica tentazione e a morire per sempre germina
dal suo protoplasma semantico una sorta di balbettata fonematica micropittografica
in essa la vita gridando cerca la corazza (della psiche e del foglio)
la biografia è l’insopprimibile necessità della mia poesia se riesce come tento a identificarla sempre più con la ricerca e con essa a farmi sempre più concretamente cittadina della nuova città.

Sarah Margnetti
I miei dipinti murali site-specific sono solitamente delle esperienze limitate nel tempo in quanto destinate a sparire alla fine di ogni mostra. La qualità effimera dell’opera talvolta è complicata per me tuttavia enfatizza un legame forte e diretto con il presente. Le parti del corpo che rappresento nei dipinti sono perlopiù riprese a partire dal mio stesso corpo. Trovandomi da sola in studio mi sembrava la forma di modello più conveniente. Ciò che è venuto fuori dalla necessità di un modello ha preso la forma di criptici auto-ritratti. Questo processo di auto-esplorazione e frammentazione del corpo simboleggia anche lo stato di destrutturazione nel quale mi trovo.

Bibliografia:
Giulia Callino, "La sacralità di fare arte: la storia di Franca Sacchi", 2016 - https://www.rockit.it/articolo/franca-sacchi-storia-improvvisazione-musica-enstatica-yoga
Marta Seravalli, "Arte e Femminismo a Roma negli anni ’70", Biblink editori, 2013
Amelia Rosselli, "E’ vostra la vita che ho perso - Conversazioni e interviste 1964-1995", Le Lettere, 2011
Anna Battista, "The Quirky Aesthetics of Joy: Interview with Cinzia Ruggeri", 2013 - https://irenebrination.typepad.com/ irenebrination_notes_on_a/2013/05/cinzia-ruggeri-interview.html
Roman Stańczak, "Life and Work", NERO Editions, 2016
Mario Perazzi, "Non dipingo i miei quadri. Intervista con Vincenzo Agnetti", Corriere della Sera, 20.2.1972