Krzysztof Klusik – Mitate. Tornare a vedere

Informazioni Evento

Luogo
EFFEARTE
via Ausonio 1/A, Milano, Italia
Date
Dal al

Lunedì / Venerdì 10-13 / 14-19 | Sabato su appuntamento

Vernissage
26/03/2014

ore 18,30

Artisti
Krzysztof Klusik
Curatori
Gaia Serena Simionati
Generi
arte contemporanea, personale
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In giapponese Mitate, il titolo della mostra, significa tornare a vedere e, sta a significare un punto di vista nuovo, il guardare le cose più e più volte da una prospettiva diversa.

Comunicato stampa

Milano, 26 marzo 2014. Effearte presenta “MITATE - Tornare a vedere”, mostra personale dell’artista polacco Krzysztof Klusik.
In giapponese Mitate, il titolo della mostra, significa tornare a vedere e, sta a significare un punto di vista nuovo, il guardare le cose più e più volte da una prospettiva diversa.
Il termine è quindi perfetto per delineare la poetica visiva di Krzysztof Klusik, artista giovane polacco.
Non solo Mitate è un vocabolo interessante, sorto nell’ambito letterario, che definisce la sovrapposizione di due immagini visive, una reale e l’altra immaginaria, allo stesso modo la parola significa “un nuovo punto di vista” e prende il significato di metafora, perfettamente utile nel delineare questo tipo di pittura.
Si, perché, apparentemente sono due sole mani a rendere fresco, omogeneo, nitido l’olio di Krzysztof Klusik.
In realtà, una facilità di stesura cela invece diversi strati mimetizzati di lavoro denso, cristallizzato. Come suture del genere umano. Gaps. Come sedimentazioni geologiche di rocce magmatiche, che sopra una massa fusa racchiudono elementi volatili: acqua, anidride carbonica, acidi. O il colore! Quello stesso colore che egli studia a fondo e prepara con cura maniacale, generando nuove cromie.
Klusik dipinge con grandissima eleganza e ironia, la condizione umana della società e dell’uomo che la abita. Dipinge quello che non tutti sono in grado di vedere. Toglie dai quadri grandi opulenti e teatrali dei dettagli fondamentali; come ad esempio da un campo di calcio i giocatori. O, dalle mani di una collezionista, il quadro che essa starebbe per appendere. O un bambino dalle braccia di sua madre.
La serie dei personaggi di Klusik poi, è molto particolare. Ci si affeziona subito conoscendoli, diventano parte di noi, come degli amici di lunga data.
Apparentemente usciti dalla nostra era contemporanea: belli, eleganti, trendy, vittime di status symbols, i soggetti si mimetizzano in una personalità collettiva, come dietro ad una maschera glamour, fatta di stereotipi: occhiali da sole, abiti e scarpe firmate, cappellini, bijoux, ci piacciono e conquistano.
Pigri e vuoti! Come molti giovani; prodotti del mondo industrializzato. Che è paralizzato su se stesso, autofocalizzato, intossicato da concetti fuorvianti, da paradigmi o teorie innaturali, ideologie sbagliate.
La Polonia è uno dei paesi del blocco comunista come l’Ungheria, la Romania, la Cecoslovacchia in cui è stata per anni interdetta ogni forma espressiva, tanto più se artistica.
Oggi il caso di Klusik assorbe tutta l’energia di quella repressione che per anni ne ha vietato l’espressione. E la trasforma. Lì dove non arriva la società, arriva la pittura.
Rappresentando spettri e illusioni visive, questa forma di deficit, di blocco si è tramutata in enorme energia di costruzione, creazione, fare. Ecco forse perché la scuola di pittura di Wilhelm Sasnal, Rafal Bujnowski, Slavomir Elsner ha ottenuto risultati strepitosi non solo in Polonia, ma anche all’estero.

Per la freschezza di lavoro spesso incentrato sulla dicotomia tra apparire ed essere, tra reale e finzione, tra ciò che si può e non si può fare, dire, rappresentare; se l’oggetto, la persona o la sua idea, come se il quadro fosse un trattato di fisica quantistica vivo.
Le dimensioni plurime si attorcigliano su se stesse e su chi le osserva, dando vita a inenarrabili “stringhe” di emozioni. Klusik così facendo filtra una percezione della realtà che non è vera del tutto; è solo una. Ed è per questo che bisogna osservare e osservare e tornare a VEDERE. Per assorbire e rileggere con maggiore profondità; che forse è proprio quello di cui c’è bisogno in Italia oggi!