Joan Fontcuberta – Celestial Stories

Celestial Stories, una mostra dedicata a Joan Fontcuberta, artista e teorico di riferimento nell’ ambito della fotografia concettuale, riconosciuto internazionalmente come uno dei più importanti esponenti della fotografia contemporanea.
Comunicato stampa
Cartacea Galleria e' lieta di annunciare Celestial Stories, una mostra dedicata a Joan Fontcuberta, artista e teorico di riferimento nell' ambito della fotografia concettuale, riconosciuto internazionalmente come uno dei più importanti esponenti della fotografia contemporanea. Con le sue opere Fontcuberta riesce a creare un universo visivo in cui i concetti di verità e finzione sono strettamente intrecciati esaminando il potere persuasivo dell'immagine e la sua veridicita'. L'esposizione comprende dieci opere provenienti da un lavoro inedito, "La Via Lattea" assieme al leggendario progetto "Sputnik" grazie al quale il suo lavoro è diventato noto a livello internazionale.
Tra le istituzioni più rappresentative dove è stato esposto il suo lavoro troviamo: Folkwang Museum (Essen, 1987), il MoMA (New York, 1989), l’IVAM (Valencia, 1992), il Musée Redpath di Montreal (Canada, 1999), la Fondazione Miró (Palma di Maiorca, 2007), l’Australian Centre of Photography (Sydney, 2007), il Fotografiemuseum (Amsterdam, 2010) e il Fotografins Hus (Stoccolma, 2013), Maison Européene de la Photographie (Parigi 2014). Il suo lavoro fa parte di importanti collezioni: MoMA e The MET (New York), dell’Art Institute of Chicago, Reina Sofía (Madrid), del Centre Pompidou (Parigi) e del MACBA (Barcellona) ecc.
The Milky Way / La Via Lattea
Come riferimento a questo progetto Fontcuberta cita Pablo Neruda il quale compose “Ode al Ricercatore” in cui descrive il lavoro di un ciclope dotato di "un solo occhio efficiente", qualcuno che usa il microscopio per osservare e scoprire i misteri nascosti nelle cose più minute: nelle sue parola Neruda eleva il lavoro del tecnico di laboratorio al livello grandioso della poesia epica, dimostrando come i suoi sforzi siano fondamentali per affrontare sia la vita che la morte.
Neruda ha in mente un laboratorio biologico, ma è facile prendersi la libertà di pensare anche al laboratorio fotografico, al grembo oscuro in cui si rivelano gli assalti della luce e dell'ombra. Perché il fotografo, anch'egli dotato di un occhio da ciclope, scruta la vita e la morte sotto il manto della Via Lattea. Più del microscopio, è la macchina fotografica a confermare lo stato di salute del mondo e la sua storia. Il laboratorio fotografico diventa un crogiolo di memoria, dove l'immagine rimane come traccia di ciò che siamo stati e contro cui abbiamo lottato. Scompariremo, avremo amato, avremo devastato Hiroshima e Gaza. La Via Lattea continuerà a tremolare.
Il lockdown dovuto alla pandemia di Covid ha spinto l’artista a rivedere il suo archivio e a rileggere il suo lavoro, esplorando i suoi progetti di ricerca e cercando connessioni tra le immagini che suggerissero nuove narrazioni e poetiche, ovvero che andassero oltre la loro interpretazione originale. Questa trasversalità permette all’autore di intrecciare opere che evocano molti dei concetti attorno ai quali la sua ricerca ha sempre oscillato: l’ambiguità dell’immagine e la costruzione del senso, il conflitto tra documento e invenzione, i regimi di verità, il testo visivo e la sua dimensione espressiva, i palinsesti e il pentimento, la pareidolia e il trompe-l’oeil. “La Via Lattea” è quindi un progetto fatto di progetti che riunisce strategie e pratiche diverse: fotografie convenzionali, fotogrammi (stampe senza macchina fotografica),fotografie provenienti da cataloghi scientifici e registrazioni satellitari, lavoro d’archivio, recupero di fotografie danneggiate, acquisizioni effettuate con microscopi elettronici, immagini foto-realistiche generate con l’intelligenza artificiale… Ad esempio, qui troviamo opere della serie “Constellations” (1993), che sono stampe dirette di zanzare e altri insetti volanti schiantati sul parabrezza dell’auto dell’artista che simulano viste notturne di cieli stellati, con altre di “Cultura di polvere” (2022), grandi ingrandimenti di piccoli frammenti della superficie di vecchi negativi ricoperti di muffa che sembrano rappresentazioni del cosmo profondo con le sue nebulose galattiche. Per tutti questi motivi, “La Via Lattea” può essere considerata, in una certa misura, una sintesi di tutto il lavoro di Fontcuberta. Come egli stesso ha dichiarato, qualora venisse annunciata la sua morte, “La Via Lattea” costituirebbe una sorta di riassunto del suo testamento artistico.
Sputnik (1997)
è un esempio magistrale della pratica artistica di Joan Fontcuberta, in cui finzione e documentario si intrecciano per mettere in discussione il modo in cui percepiamo e crediamo alla storia. Attraverso la creazione del cosmonauta sovietico fittizio Ivan Istochnikov e il supporto di un vasto repertorio di materiali d’archivio - fotografie, documenti ufficiali, interviste, Fontcuberta dimostra quanto sia facile manipolare la memoria collettiva e riscrivere il passato.
Il suo lavoro gioca abilmente con i confini della verità, sfidando l’autorità della fotografia e dei media nella costruzione della realtà. Sputnik sottolinea in particolare i pericoli della fiducia cieca nelle narrazioni ufficiali, soprattutto nel contesto della segretezza e della propaganda della Guerra Fredda affrontando il tema della scomparsa e la costruzione di una narrazione storica tra realtà e immaginazione.