Giovanni Mezzedimi
Una fragile testimonianza di ciò che era stato. In questi suoi lavori, in queste installazioni fotografiche dal carattere decisamente più pittorico che impressivo, vi è una folgorazione dell’immagine.
Comunicato stampa
"Una sola persistenza. Un’attesa che cade diretta nella luce, come se fosse una permanenza invisibile. Rivelato, il mio sguardo si schiude immediatamente nel bagliore di un dettaglio. Una venustas evanescente che si accende in un difetto ed assorbe il mio occhio in una presenza. In una volontà cosÌ imminente che desidero lasciarmi tentare". Che sia forse questo il limite verso il quale lo sguardo di Giovanni Mezzedimi tende? Una fragile testimonianza di ciò che era stato. In questi suoi lavori, in queste installazioni fotografiche dal carattere decisamente più pittorico che impressivo, vi è una folgorazione dell’immagine. È una "sola" immagine che si costituisce come effetto di un’apparizione, una presenza lontana che sottende il desiderio di una tensione parlata. Mezzedimi riordina ogni stratificazione visiva nell’istantaneità di uno scatto che gli permette di indagare nella presenza di quell’immagine, solitaria, dall’intensità contraddittoria, diafana ed alterata, come specchio della sua anima. Certo, il suo "scatto" è un avvicinamento iconografico al ritratto reale, alla certezza visiva, eppure le sue foto-installazioni si incrinano verso una più ampia disgiuntura pittorica: una opaca sostanzializzazione di una immagine febbrile che quasi sfugge alla decisa puntualizzazione dell’hic et nunc. In effetti, osservando i suoi lavori, questi lasciano trasparire quasi la necessità di voler annientare una certezza immobile; è come se si avvertisse il timore che l’immagine possa svanire in un istante. Eppure uno stesso istante ha arrestato quella raffigurabilità che è stata desiderio del suo sguardo; uno sguardo che esamina la realtà nella sua solitudine e che gli permette di catturare visivamente un’inquietudine emotiva. Sono scatti di un’immediata sollecitazione visiva che premono come se fossero liriche proiezioni descrittive, narrazioni intimistiche che si danno come impronte, tracce emotive che l’artista costruisce con un tratto fotografico dalle qualità sintetiche. Ogni sua immagine si carica di una misteriosa presenza, evidenziando una sensibilità latente; una sorta di scena muta in cui la realtà, così fotografata, si stacca dalla sua solidità oggettiva svelandosi in una espansione poetico- narrativa. L’artista vuole bloccare il silenzio e la possibilità di sentire quella solitudine che grava sull’immobilità dei suoi soggetti. Giovanni Mezzedimi, pertanto, smaterializzando l’elemento tangibile e a volte ingombrante che è il corpo nella sua presenza fisica, riesce a compiere una ipersignificazione figurale, che gli permette di agglutinare i significati, di ridirezionarli e farli riemergere.
Antonio Locafaro