Gian Maria Tosatti – Sette Stagioni dello Spirito 5_I fondamenti della luce
In questo quinto capitolo, 5_I fondamenti della luce, concepito come i precedenti appositamente per la sede dove sarà presentato, Tosatti continua il suo metaforico attraversamento del Purgatorio.
Comunicato stampa
La Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee ha varato nel 2013 un programma di patrocinio, denominato MATRONATO, volto al riconoscimento e alla promozione di progetti (aventi sede in una delle seguenti regioni italiane: Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna), che, per il loro valore e qualità culturale, stimolino la coesione sociale, la ricerca scientifica e umanistica, il dialogo fra diverse discipline, il supporto alla produzione e alle mediazione artistica quali fonte e stimolo di progresso collettivo.
Il MATRONATO è stato conferito ai vari capitoli di Sette Stagioni dello Spirito, progetto promosso e organizzato dalla Fondazione Morra con il sostegno di Galleria Lia Rumma, in collaborazione con Regione Campania, Comune, Assessorato alla Cultura e Assessorato al Patrimonio del Comune di Napoli, Seconda Municipalità di Napoli, Vicariato della Cultura della Curia di Napoli, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per Napoli e Provincia, Accademia di Belle Arti di Napoli, Fondazione Ordine Ingegneri e Autorità Portuale di Napoli.
Sette Stagioni dello Spirito è un progetto avviato nel 2013 da Gian Maria Tosatti, a cura di Eugenio Viola, ispirato al Castello Interiore (1577) di Santa Teresa d’Avila, che suddivide l’animo umano in sette stanze. In questo quinto capitolo, 5_I fondamenti della luce, concepito come i precedenti appositamente per la sede dove sarà presentato, Tosatti continua il suo metaforico attraversamento del Purgatorio. Affrontata la spiaggia, il luogo probabilmente più desolante dell’intera commedia dantesca, nella quarta tappa 4_Ritorno a casa, (inaugurata lo scorso 10 settembre nell'ex Ospedale Militare, via Trinità delle Monache 1 a Napoli ed ancora visitabile fino al 15 novembre), l’artista si rapporta subito dopo, in occasione del quinto capitolo del progetto, con la montagna del Purgatorio. Un luogo che Dante descrive altissimo, erto su un'isola al centro dell'emisfero australe, invaso dalle acque, agli antipodi di Gerusalemme, posta invece al centro dell'emisfero boreale.
Questo lavoro è ispirato da una lettera d’amore scritta da una ragazza vissuta all’inizio del secolo scorso, Paolina T., che nel 1917, all’età di vent’anni, rea di non essere una nobildonna ma una semplice “povera” - così è definita nella cartella di ricovero - non ebbe il privilegio del convento e fu internata nel manicomio di Sant’Antonio Abate, a Teramo, con la diagnosi di “immoralità costituzionale”. Di qui il collegamento con la sede prescelta, l’ex reclusorio di Santa Maria della Fede, in fondo una specie di carcere per donne libere, la cui struttura diviene metafora di un percorso ascensionale che si confronta con un altro purgatorio napoletano come quello narrato da Anna Maria Ortese ne Il mare non bagna Napoli, nel capitolo dedicato a La città involontaria. 5_I fondamenti della luce è un’opera, quindi, sullo splendore insopprimibile che alberga nel fondo dell’uomo e che è il motore primo della sua esistenza anche nei momenti più oscuri.
Come nella altre sue stazioni precedenti, il progetto si caratterizza per la riapertura e la valorizzazione di sedi di grande valore storico e culturale, poco note al pubblico o, in alcuni casi, abitualmente inaccessibili. La sede della mostra, la chiesa di Santa Maria della Fede, sorge nel XVII secolo nei pressi del borgo Sant'Antonio Abate. Nel 1645 la chiesa è ceduta agli Agostiniani riformati di Santa Maria del Colorito di Morano che promuovono un rimaneggiamento del tempio e la costruzione di un monastero. Successivamente, il complesso è destinato, per volere di Maria Amalia di Sassonia, moglie di Carlo III di Borbone, ad ospitare un ritiro di sole donne. In seguito diviene un ospedale per le prostitute. Nel dicembre 2014, dopo molti anni di abbandono, l’edificio è stato occupato da un comitato di quartiere che riunisce in sé molte anime dell’attivismo napoletano, al fine di sollecitare la città a riconsegnare alla comunità uno spazio storico - che ha ospitato anche la tipografia di Benedetto Croce - togliendolo al degrado per riportarlo ad una funzione di carattere sociale e culturale. L’artista ha dunque fortemente voluto portare il progetto in questo luogo come atto di sostegno ad un processo di democrazia diretta portato avanti dai cittadini napoletani per migliorare le condizioni di un quartiere ricco di bellezze, ma anche di grandi complessità.