Francesca Piovesan – Noi
Francesca Piovesan, che vinse il premio cramum nel 2015, presenterà al museo per la prima volta il nuovo ciclo di opere “Gli Specchianti”, frutto della collaborazione con gli artigiani muranesi AAV Barbini e Ongaro & Fuga.
Comunicato stampa
La mostra è ospitata dallo Studio Museo Francesco Messina, con cui CRAMUM collabora da anni grazie alla lungimiranza e passione della direttrice del Museo, Maria Fratelli. Francesca Piovesan, che vinse il premio cramum nel 2015, presenterà al museo per la prima volta il nuovo ciclo di opere "Gli Specchianti", frutto della collaborazione con gli artigiani muranesi AAV Barbini e Ongaro & Fuga.
Come ricorda il curatore e direttore artistico di CRAMUM, Sabino Maria Frassà "Francesca Piovesan non si limita a rivisitare lo specchio veneziano, ma lo fa evolvere, caricandolo di significato e di inedita dimensione scultorea. La parte interna di ogni opera – a prima vista una scatola di legno scuro – è ricoperta di specchi veneziani. All’interno di questi specchi Francesca, dopo averci impresso il proprio corpo, riesce a sviluppare fotograficamente la propria immagine, grazie alla reazione che avviene tra l’argento della specchiatura e i sali minerali e grassi lasciati dal corpo sul vetro. Lo spettatore può scegliere se essere più o meno parte dell’opera, aprendo e schiudendo le “scatole”, decidendo se e come specchiarsi e se e come interagire sia con il proprio corpo – riflesso – sia con il corpo dell’artista, “intrappolato” all’interno dello specchio. Con questa scelta è quindi lo stesso spettatore - "l'altro" - a scegliere se abbracciare la visione del mondo proposta, il "Noi", oppure continuare a vedere l'“io” separato dall'“altro”. Guardandomi allo specchio io mi conosco perché non contemplo solo me stesso, ma vedo nello stesso riflesso anche l’altro, ovvero il mondo che mi circonda nella sua totalità di cui anche io faccio parte".
Francesca Piovesan parlando del suo lavoro: "Nulla è eterno, neanche l'opera d'arte. Con le mie opere non fermo il tempo, ma cerco di imparare ad accettarlo, raccontando il tempo che passa e cercando di interiorizzare la stessa finitezza e precarietà dell’esperienza uman. Per questo i miei "specchi" non mi migliorano. Visti da vicino, mostrano tutte le mie naturali imperfezioni e anche quei difetti che la maggior parte di noi preferirebbe non vedere o nascondere. Ma in realtà non ci sono difetti: se guardo un corpo umano, non posso che perdermi in esso, nella sua insita perfezione e complessità."