Felipe Cardeña – Poesie della fine del mondo
Con un titolo “rubato” a una celebre raccolta di poesie di Antonio Delfini – un “anticanzoniere di questi ultimi giorni della vita del mondo”, come la definì il suo autore – Felipe Cardeña affronta, a suo modo, il senso di straniamento legato al bombardamento di “notizie” rimbalzate sulla stampa sull’attesa Fine del mondo del 2012.
Comunicato stampa
Con un titolo “rubato” a una celebre raccolta di poesie di Antonio Delfini – un “anticanzoniere di questi ultimi giorni della vita del mondo”, come la definì il suo autore – Felipe Cardeña affronta, a suo modo, il senso di straniamento legato al bombardamento di “notizie” rimbalzate sulla stampa sull’attesa Fine del mondo del 2012.
“Nel mondo”, scriveva Delfini nella prefazione del suo anticanzoniere, “sta accadendo qualcosa. se non è la fine, resta tuttavia qualcosa (forse, tutto) che non si riconnette al passato. Il poeta vuol bene al passato: vede una bambina con una rosa in mano, la quale porterà la salvezza al mondo che sta per finire o recherà l’oblio al mondo che è già finito. Il poeta non crede più a niente perché non ne vale la pena, ma nello stesso tempo vorrebbe che tutto risorgesse e il male (certo male) non ci fosse mai stato”.
Per questo motivo, il poeta scrive, tra il 1958 e il 1959, il suo “anticanzoniere di questi ultimi giorni della vita del mondo”: gli “ultimi giorni che stiamo vivendo, o che ci illudiamo di vivere." Oltre mezzo secolo dopo Delfini, Felipe riprende l’anticanzoniere del poeta emiliano per raccontare, metaforicamente, la nuovamente attesa, e ovunque sbandierata, Fine del mondo: non attraverso immagini drammatiche o pessimistiche, ma, al contrario, attraverso il suo peculiare e lussureggiante linguaggio, fatto di collage floreali, e l’accostamento di questo universo utopico e paradisiaco con temi e soggetti prelevati dall’iconografia sacra tratta dai più svariati ambiti religiosi (induisti, cattolici, buddisti ecc.); ad ogni quadro è poi accostato, a mo’ di titolo, un verso “rubato” a testi poetici della più varia origine – quasi che l’accostamento delle immagini, dei fiori e del fluire del verso poetico potesse essere in grado, come in una sorta di “mantra”, di allontanare con la sua forza la temuta Fine del mondo. A dar forza e accrescere, anche plasticamente, questo assemblaggio di elementi armonicamente divergenti, è una serie di cornici – realizzate in legni pregiati e dipinte a mano – quasi ad “estendere” nello spazio l’universo floreale di Felipe, come in una naturale continuazione del meticoloso lavoro dell’artista (“certosino e ossessivo come il rosario quotidiano di una monaca di clausura”, come l’ha definito Vittorio Sgarbi) anche al di fuori della superficie della tela.