Fato e Destino. Tra mito e contemporaneità
L’esposizione, che si tiene in concomitanza con la XXII edizione di Festival Letteratura Mantova, presenta 70 opere, tra dipinti, sculture, disegni, grafiche e mosaici, che indagano il tema del fato e del destino, dall’antichità ai nostri giorni.
Comunicato stampa
L’esposizione, allestita nell’Appartamento della Rustica, ideato da Giulio Romano per il duca Federico II Gonzaga, è curata da Renata Casarin, vicedirettore Complesso Museale Palazzo Ducale Mantova, e Lucia Molino, in collaborazione con Michela Zurla, promossa dal Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova, da Fondazione Cariplo e dalla Fondazione Comunità Mantovana, col patrocinio del Comune di Mantova, partner Gallerie d’Italia.
La rassegna, che si tiene in concomitanza con la XXII edizione del Festival Letteratura Mantova, presenta 70 opere, tra dipinti, sculture, grafiche e mosaici, provenienti dalla Fondazione Cariplo, da altre istituzioni pubbliche come il MAR di Ravenna e da collezioni private che indagano il tema del fato e del destino, così com’è stato declinato dall’antichità ai nostri giorni, da autori quali Domenico Fetti, Gustav Klimt, Adolfo Wildt, Angelo Morbelli, Mattia Moreni e molti altri.
Il percorso espositivo, suddiviso in dieci sezioni, si apre con Verità celate, ovvero quelle nascoste nel profondo di ogni uomo e quelle insite nei segreti del cosmo.
A rappresentare questo argomento ci sarà la Sfinge - in questo caso raffigurata in un busto di marmo greco del V secolo a. C. proveniente dal Museo di San Sebastiano di Mantova. L’animale mitologico posto a guardia del palazzo di Tebe che interrogava chi gli si presentava di fronte, segnala l’esigenza di ogni individuo a investigare se stesso. Questi concetti sono tradotti in un linguaggio artistico moderno dalla Vecchia con candela, una copia di Pieter Paul Rubens e dalla Maddalena di un pittore francese del XVII secolo, dove la fiamma simboleggia il perdersi nell’io interiore o nel Ritratto femminile con maschera attribuito al pittore settecentesco Charles-Antoine Coypel, nel quale il gesto della fanciulla di togliersi la maschera rivela il desiderio di mostrare il volto della sua anima.
La rassegna prosegue con Interrogare la sorte che documenta l’attitudine di ogni essere umano ad acquisire il potere divino di conoscere il passato e a prevedere gli eventi che determineranno il futuro, attraverso opere come Ritratto di donna con moneta, dipinto da un pittore toscano nella seconda metà XVII secolo, Il veggente di scuola ottocentesca veneziana o La cartomante di Jules Jean-Baptiste Dehaussy.
I testi biblici contengono molti brani in cui Dio chiama gli uomini a seguire la sua via. Ne Interrogare il cielo, la predisposizione a seguire gli insegnamenti divini è ben esemplificata nell’inedito dipinto riferibile all’ambito di Pompeo Batoni che vede Maria Maddalena attenta ad accettare quanto le viene suggerito dall’alto, tanto che il suo viso è già trasfigurato dalla grazia. Lo stesso accade per la tavola del Cerrini, Maddalena in estasi, dove l’attributo della croce sposta la meditazione sul tema del sacrificio di Cristo e su quello della morte. Lo si vede nella tela Maddalena in meditazione con teschio di ambito di Ercole Procaccini in cui la mistica accarezza il teschio come un’allusione al Golgota e, al contempo, a un memento mori, richiamato dalla testa femminile in ombra.
Tra sacro e profano si muovono Eva di Giovanni Maria Benzoni e una Figura femminile genuflessa di Vincenzo Gemito, che rivolge preghiere a Dio per la salvezza dell’anima. Solo I Puri nel Portfolio di Adolfo Wildt potranno salire all’orizzonte più alto dell’albero, come gli umili il cui unico bene è l’amore familiare espresso in Donna che cuce e due bambini del Maestro della tela jeans.
Nella sezione Sfidare il destino s’incontrano opere eterogenee per cronologia e per temi che enucleano il perenne desiderio dell’uomo di rapportarsi con gli dèi per riceverne aiuto o per entrare in conflitto con essi. In questo caso, si spiega la presenza dell’Argonauta e di Prometeo: sculture nelle quali Enzo Nenci, nel pieno Novecento, affronta soggetti classici ancora attuali. Occasio et paenitentia di ambito mantegnesco e La parabola del tesoro nascosto di Domenico Fetti mostrano come la fortuna debba essere sorvegliata dall’esercizio della virtù per poter ricercare, come fa Diogene nell’acquaforte del Grechetto, i supremi beni spirituali.
La rassegna prosegue con un confronto tra la vita e la morte. Nella traiettoria umana che Angelo Morbelli delinea in Sogno e realtà questi poli sono esplicitati dal contrasto tra il tempo della giovinezza e quello ben più presente della incomunicabilità dei due vecchi, che sembrano solo attendere la fine di un percorso esistenziale che forse non ha mantenuto le promesse dovute. Con superiore ironia invece l’autore delle Scene macabre cremasche irride alla morte, presentando come viventi scheletri che indossano gli attributi di un fasto antico quanto vano.
Il tema della vanitas, così diffuso in epoca barocca, viene analizzato in Vita in un vaso dove si possono ammirare sia nature morte floreali, sia dipinti dove il tema dell’abbondanza e della sua caducità trova connubio tra la figura umana e cesti di verdura. Anche la frutta, come si può apprezzare nella natura morta dell’ambito di Ippolito Caffi, esprime i medesimi significati di fertilità e abbondanza, ma anche di consunzione del tempo. Un’altra modalità di rappresentazione di un periodo fertile, la si può cogliere nella Lezione al convento di Gaetano Chierici e in Rossina merlettaia di Mario Vellani Marchi.
Le Signore in riva al mare di Luigi Gioli interrogano la vastità degli abissi; la scala ridotta degli umani si oppone alla vastità nei paesaggi di Giuseppe Zais e di Giuseppe Canella. È la Natura madre e matrigna che inquieta l’uomo del XVIII secolo, ovvero la natura che accoglie e nutre, ma che può far precipitare nell’horror vacui quanti la sfidano. È il caso del furore degli agenti atmosferici come nella drammatica Tempesta marina di Biagio Poli e il furore, di segno ben diverso, mostrato dalla Battaglia settecentesca di Francesco Simonini.
Stare supini significa attendere il trapasso; le opere della sezione Tra sonno e morte condividono, pur nella loro differenza, una postura che mima l’abbandono all’oblio, comune al sonno e alla morte. Il Cupido dormiente, proveniente dalla collezione di Vespasiano Gonzaga a Sabbioneta, mostra un bimbo abbandonato al sonno, ignaro del pericolo mortale costituito dai due serpenti che già lo serrano nella loro morsa. Perduta è anche la Donna distesa di Klimt, quasi riversa sul suo giaciglio eppure sospesa in un mondo onirico che l’allontana sempre di più dalla vita. La sensualità che profonde dalla linea curva del segno secessionista la si ritrova nella Solitudine appartenente al ciclo Istoria d’amore a Nippo di Arturo Martini: la giovane nuda è smarrita nella foresta e nulla sappiamo se l’amato potrà raggiungerla e soccorrerla. Il frammento superstite della tela distrutta da Mattia Moreni, La paura dell’uomo, ci immerge in un’atmosfera cupa, cui risponde lo sfolgorante Cielo antico di Virgilio Guidi.
Un opportuno approfondimento sarà dedicato all’Albero della vita di Adolfo Wildt, il grande maestro italiano della corrente simbolista e liberty che, con questo lavoro produce un connubio fra il tema dell’albero, emblema della crescita della vita, e quello dell’acqua come fonte di salvezza.
La mostra si chiude con un’apertura a un firmamento brulicante di luci nel lavoro del gruppo ravennate CaCO3. La tecnica del mosaico è funzionale alla realizzazione di un trittico che assume, proprio per il numero delle tavole, una valenza fortemente allusiva a un ente superiore. La stessa che ritroviamo nella trilogia proposta nelle Icone di Sonia Costantini, dove progressivamente si può giungere e conquistare un “nuovo cielo”.
L’Appartamento della Rustica costituisce, con la sua ricca decorazione cinquecentesca, un ulteriore elemento che accresce il valore dell’iniziativa: le stanze recentemente restaurate di quest’area di Palazzo Ducale si prestano infatti a un vivo dialogo con le opere antiche e moderne che saranno esposte.
LA RUSTICA
L’edificio denominato La Rustica fu progettato da Giulio Romano e venne in parte eretto tra il 1538 e il 1539 per volontà di Federico II Gonzaga. Situata di fronte al lago e appoggiata a quel tempo al circuito murario cittadino, la palazzina - in origine priva dell’attico - appariva del tutto isolata rispetto alle altre fabbriche gonzaghesche, quali il Castello di San Giorgio, la Domus Nova e la Corte Nuova, sorte tra la fine del XIV e i primi decenni del XVI secolo, non lontano dalla Corte Vecchia. Il linguaggio di Giulio si ravvisa soprattutto sul lato esterno prospiciente il grande cortile della Cavallerizza o della Mostra. Gli elementi delle colonne tortili, degli archi ribassati, delle bugne in rilievo appaiono utilizzati con spregiudicata inventiva in un quadro architettonico che guarda in particolare al gioco delle sproporzioni, dei contrasti e della dinamica delle forme. Attenendosi a precedenti progetti giulieschi, l’architetto Giovanni Battista Bertani, nominato prefetto delle edificazioni gonzaghesche nel 1549, realizza le ali lunghe di collegamento tra i complessi di Corte Nuova e della Rustica dando regolare conformazione al cortile della Mostra. Inizialmente la Rustica fu poco utilizzata dai Gonzaga, in ragione forse del prolungarsi dei lavori di realizzazione architettonica che si conclusero nel 1561, in occasione delle nozze del duca Guglielmo con Eleonora d’Austria. Gli interventi di decorazione degli ambienti, ancora in atto al momento della seconda visita di Giorgio Vasari a Mantova, nel 1566, furono con ogni probabilità ideati e coordinati dallo stesso Bertani che si avvalse di artisti quali Fermo Ghisoni, Lorenzo Costa e altri collaboratori. Le decorazioni delle volte di alcune stanze dell’appartamento, eseguite in parte in stucco, riccamente dipinte e un tempo anche dorate, sono da annoverarsi tra i più prestigiosi complessi ornamentali di Palazzo Ducale, esempi significativi di un gusto estremamente raffinato che si fonda sulla vivacità delle policromie e degli ornamenti aurei, nonché sulla ricchezza delle forme, dei materiali e dei motivi rappresentati, tratti soprattutto dal mondo naturalistico, come attesta la Sala della Mostra o dei Frutti, la Camera di Nettuno o del Pesce. Le dedicazioni delle camere si devono per lo più al poemetto in ottave del 1586 di Raffaello Toscano e alla pressoché contemporanea descrizione delle sale dello scienziato bolognese Ulisse Aldrovandi.