Emilia Postmoderna – Catalogo
Presentazione del catalogo della rassegna Emilia Postmoderna e dibattito con il curatore Edoardo Di Mauro.
Comunicato stampa
Emilia post moderna
All’interno di una serie di operazioni critiche che sto portando avanti da qualche tempo con l’obiettivo, condiviso da molti artisti e da qualificati critici, basti pensare alle operazioni di rilettura di esperienze quali quelle dei “Nuovi Nuovi” e del “ Nuovo Futurismo” tenacemente perseguite da una personalità storica della critica d’arte come Renato Barilli, di dare assetto ed inquadramento storico ad una serie di esperienze artistiche italiane, che rappresentano in realtà la maggioranza della scena, attive tra la seconda metà degli anni Settanta e la prima metà degli anni Novanta, ho ritenuto doveroso affrontare, aiutato dalla disponibilità e dall’entusiasmo di Antonio Miozzi, titolare della nuova galleria Rezarte di Reggio Emilia, il panorama artistico dell’Emilia Romagna, regione importante da un punto di vista sociale, storico e culturale, ed a me cara a seguito di una intensa frequentazione ormai trentennale, che fa per me di questa terra una seconda patria d’adozione, dopo Torino, mia città di residenza. Per iniziare ad affrontare il format di questa mostra ritengo doveroso riprendere i temi programmatici sviluppati nelle mie ultime rassegne , in particolare “Un’Altra Storia. Arte Italiana dagli anni Ottanta agli anni Zero”, e “Un’Altra Storia 2. Arte Italiana 1980-1990”, tuttora in corso al momento in cui scrivo, per chi non avesse avuto in modo di conoscerli. Per parlare della storia dell’arte italiana contemporanea degli ultimi trent’anni bisogna partire da un dato di fatto, cioè che gli ultimi due movimenti innalzatisi ad un riconoscimento internazionale, sono stati l’Arte Povera e la Transavanguardia, con percorsi diversi che di recente si sono intrecciati in una sorta di reciproco riconoscimento, da cui non era difficile prevedere l’ attuazione in una sottile logica di esclusione di quanto sta al di fuori di quel recinto. La fascia generazionale maggiormente penalizzata da questo stato di cose, che trova solo parziale motivazione nell’indubbia forza espressiva dei movimenti prima citati, è stata quella, di non indifferente qualità, emersa subito dopo la Transavanguardia, tra la metà degli anni ’80 ed i primi anni ’90, periodo nel quale è, tra l’altro, avvenuta la mia formazione critica e da me ben conosciuto, che ho dettagliatamente analizzato nella primavera 1997 con la mostra ed il libro intitolati “Va’pensiero. Arte Italiana 1984/1996”. Il fatto di avere sostanzialmente “saltato” una generazione sta all’origine, a mio modo di vedere, della sostanziale irrisolutezza dell’arte italiana lungo tutto il corso degli anni ’90. Gli autori del decennio precedente si sono giocoforza “riciclati” in quello successivo, facendo saltare qualsiasi paletto divisorio in merito ad un plausibile concetto di “giovane artista”, per di più all’interno di una scena sempre più affollata e confusa, in parte per una occulta volontà ma anche per motivazioni pertinenti l’evoluzione della società post industriale nel suo complesso. Come è noto, dopo il 1975 la situazione muta radicalmente di segno. A seguito soprattutto del rigido rigore del concettuale di matrice analitica e tautologica, dove si manifestava una evidente prevalenza dei significanti sui significati e l’assenza di una dialettica con l’esterno, con l’opera proposta al grado zero, nella sua nudità formale e compositiva, e l’assoluto divieto, sancito dai severi sacerdoti del dogma, dell’introduzione di sia pur minime componenti manuali e decorative, si verificò un’implosione di quello stile, e la lenta ed inesorabile deriva verso altri territori, in sintonia con la costante ciclicità degli eventi artistici. Tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80 prende corpo ed evidenza la svolta post concettuale dell’arte, con l’esplodere di movimenti radunati attorno alle parole d’ordine del ritorno alla pittura, di matrice visceralmente neoespressionista od infarcita di valori simbolici e decorativi e, in generale, del ripristino di una manualità dal sapore antico, nell’accezione etimologica originaria della “technè”. Il moto spiraliforme dell’arte inverte la sua traiettoria e intraprende un cammino a ritroso nel tempo, nel territorio densamente popolato della memoria, cimentandosi in un’operazione di citazione dei modi e delle maniere del passato, recente e talvolta remoto, per poi riproporsi al presente contestualizzato all’interno delle inquietudini della contemporaneità. Tra la metà degli anni ’80 ed i primi anni ’90 viene alla luce una generazione artistica di grande interesse impegnata in una ridefinizione dei generi e degli stili e in un rapporto di confronto serrato con la nuova società post moderna della tecnologia e dello spettacolo. Queste caratteristiche sfociano nel decennio successivo in un clima di generalizzato eclettismo stilistico, con punte di attenzione verso la rivisitazione dei linguaggi concettuali e pop ed un’apertura significativa nei confronti dell’uso della fotografia e delle tecnologie video e digitali. Gli anni ’90, come già citato prima, segnano l’ingresso del sistema artistico italiano in una fase di crisi e di de-valorizzazione nei confronti dello scenario internazionale, all’interno del quale iniziano a fare capolino i paesi emergenti del continente asiatico., e la Russia.
L’Emilia, ed in relazione naturalmente anche la Romagna, sono stati palcoscenico privilegiato di questa fase dell’arte italiana che necessita di urgente e non più rinviabile rilettura, peraltro in atto da alcuni anni con risultati sempre più tangibili. Bisogna quindi battere il ferro fino a che è caldo.
L’Italia è da sempre palcoscenico di storie regionali che tendono poi a relazionarsi fino a divenire tessere di un mosaico unitario. In sintesi la storia della regione nella prima parte del Novecento verte sul perpetuarsi della tradizione dell’Università di Bologna, nell’ambito della storia dell’arte incarnata dalla figura di Roberto Longhi, ed in quella prettamente artistica, è quasi scontato dirlo, da un nume tutelare, nel bene e nel male, come Giorgio Morandi. Longhi fu un meraviglioso acrobata della parola, col tramite della quale riuscì a penetrare ed a dare luce a periodi fino ad allora non in pieno valutati come il Barocco, nell’accezione soprattutto del naturalismo caravaggesco. Poco incline al contemporaneo, come la quasi totalità degli storici dell’arte del primo Novecento, Longhi ebbe in gioventù un effimero flirt con il Futurismo, da lui apprezzato perché in grado di innervare la sua poetica di energia e movimento, scuotendo i rami della pedanteria e dell’immobilismo tardo ottocentesco. La grandezza di Morandi come artista non si discute, così come il lirismo che emana dalle sue metafisiche nature morte, tra le prove più significative della pittura ispirata al realismo magico dell’intero Novecento. Tuttavia è indubbio che la sua austera figura ha in qualche misura autorizzato una certa indolenza di parte della scena bolognese, città da sempre in bilico tra grandi slanci, che tenderebbero ad autorizzarne una più che legittima dimensione internazionale, ed un ripiegamento talvolta eccessivo in un ambito provinciale che, a mio avviso, gli sta stretto. Dal magistero di Roberto Longhi si forma la figura intellettuale di Francesco Arcangeli, a sua volta maestro di molti critici del territorio. Arcangeli fu uno studioso militante dell’Informale, da lui teorizzato dando vita alla corrente dell’”Ultimo Naturalismo”, dove fanno spicco la figura del romagnolo Moreni e del bolognese Bendini. Ed è proprio l’Informale a caratterizzare la scena regionale dal secondo dopoguerra agli anni Settanta, in particolare a Parma, ed a Bologna , dove figurano molti autori di spicco meritevoli di maggiore considerazione, cito tra tutti Sergio Romiti, da poco scomparso. Con gli anni Settanta parte una nuova e feconda fase, che si estenderà fino ad oltre la metà del decennio successivo. Soprattutto Bologna diviene un luogo di attrazione a livello nazionale. Ciò fu causato da una serie di fattori. Da un punto di vista culturale, e non solo, è determinante la fondazione del DAMS, che inizia ad attrarre , in un periodo socialmente e politicamente inquieto, ma fortemente creativo, giovani provenienti da tutta Italia. Bologna è il fulcro del movimento del ’77, al quale io stesso, seppure molto giovane, mi sono formato. L’ala creativa di quel movimento fornirà un fondamentale impulso alla sviluppo della stagione post moderna, caratterizzata da un sincretismo di stili e di tendenze, con l’arte che si fonde e si contamina con la musica, il fashion, il fumetto, il cinema, ed una generazione di scrittori, tra cui spicca il reggiano Pier Vittorio Tondelli, ad assumere il ruolo di cantori di una strana generazione, disillusa ma al tempo stesso smaniosa di esprimere la propria carica di prorompente vitalità, libera da condizionamenti ideologici, ma sanamente imbevuta dalla parte migliore di quei valori, inevitabilmente trasmessi nel codice genetico.
La post modernità in questi territori prende il via con la teorizzazione dei Nuovi Nuovi da parte di Renato Barilli, e con una serie di presenze artistiche che si collocano nella scia della post Transavanguardia, pur non irreggimentate in alcuna corrente, che pongono in essere una attenta rivisitazione dei linguaggi della pittura e dell’installazione, giungendo ad intessere una dialogo fecondo con lo specifico della tecnologia. Non si può poi dimenticare l’apporto di Francesca Alinovi, allieva ed assistente di Barilli, al pari di Roberto Daolio che nei primi anni anni ’80 teorizza ed organizza il gruppo detto dell’Enfatismo, mescolanza di neo pop con i linguaggi del fumetto, della moda, del cinema e della musica. Prematuramente scomparsa la Alinovi nel 1983, le coordinate dell’arte giovane di quegli anni continuano a spingersi in quella direzione, raffinando sempre più lo stile, fino ai primi anni ’90.
Ed è proprio il periodo tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’90 che intendo prendere in esame con “Emilia postmoderna”, rassegna per la quale ho operato una selezione rigorosa e che credo destinata ad ottenere una buona attenzione, anche per la sua novità di proposta.. Gli anni Ottanta, a Bologna e nella regione, si manifestano vivaci ed aperti a varie opzioni. Il post ’77 determina una notevole quantità di iniziative legate non solo all’arte, ma anche alla musica, basti pensare a personaggi come gli Skiantos con il loro rock demenziale e ad un gruppo quale i Gaz Nevada, antesignano della new wave italiana. Io stesso, frequentatore piuttosto assiduo di una città dove era possibile documentarsi a trecentosessanta gradi su tutte le emergente culturali organizzai, insieme ad Enzo Terzano la prima edizione di una Biennale dedicata alla creatività regionale, intitolata “Contemporanea. Biennale di Arte, Filosofia e Spettacolo”, allestita tra luglio ed ottobre 1986 a Palazzo Re Enzo. Nonostante il notevole successo la manifestazione non venne replicata per la non disponibilità del Comune a supportarla. Ma, a parte ciò, bisogna dire che in quel decennio, ma anche nel precedente, le istituzioni svilupparono una attività piuttosto intensa. Basti pensare ad una rassegna storica relativamente alla performance di matrice concettuale come “Gennaio ‘70”, allestita presso la Galleria d’Arte Moderna di Bologna e, più avanti, ad “Anni Ottanta”, curata da Renato Barilli e Flavio Caroli in varie sedi regionali, campionatura davvero completa delle emergenze dell’epoca, alla mostra sul graffitismo americano del 1985 alla GAM, all’attività di gallerie quali gli studi Cristofori e Cavalieri, la G7, le galleria De Foscherari e Marescalchi, uno spazio alternativo come Neon al quale si affiancherà, qualche anno dopo, Il Campo delle Fragole. Gli anni Novanta, come prima citato, segnano l’inizio di una crisi e di una stagnazione del sistema artistico italiano e la regione, Bologna in particolare, non è immune da tutto ciò. Inizia a generarsi un irrigidimento sulle posizioni di un neo concettuale piuttosto stantio e ripetitivo, le istituzioni e le gallerie private iniziano a perdere smalto e capacità progettuale, molti spazi storici chiuderanno i battenti nei primi anni Zero. Attualmente, in sintonia con la “liquidità” della fase che stiamo vivendo, siamo in presenza di quella che si manifesta come una classica stagione di passaggio, foriera forse di positivi sviluppi. Una cosa è certa : la volontà di rileggere ed inquadrare nella giusta dimensione le esperienze oggetto di questa mostra è esigenza avvertita come urgente e non rinviabile.
Venendo agli artisti invitati, essi rispecchiano in maniera fedele l’eclettismo stilistico che ha caratterizzato quella fase, di cui sono stati protagonisti, mantenendo nel tempo, fino ad oggi, coerenza e rigore di stile. Da Bologna abbiamo due protagonisti del Nuovi Nuovi come Bruno Benuzzi e Giorgio Zucchini, il primo ispirato dalla poetica del Liberty e dell’Art Nouveau, ed alla costante ricerca di uno stile in grado di conciliare l’universo della natura con lo specifico culturale, il secondo pittore raffinato ed attento alla poetica dell’intimità quotidiana fatta risaltare sullo sfondo delle vestigia di un passato di cui non bisogna mai trascurare l’esemplare lezione. Andrea Renzini è un artista che ha vissuto il clima frenetico ed euforico degli anni Ottanta attraversandolo trasversalmente, e cimentandosi in una contaminazione continua con il mondo della grafica e del fumetto, e con l’immaginario musicale. Walter Cascio ha da sempre perseguito una linea rigorosamente aniconica, dando vista ad armoniose composizioni astratte, e talvolta cimentandosi con l’environment , creato con elementi lignei ritmicamente disposti sullo spazio parietale, Luigi Mastrangelo si pone con originalità nella scia di un grande protagonista emiliano della post modernità come Luigi Ontani, da cui riprende l’ossessione per l’autoritratto ed uno spirito ludico ed attento alla citazione. Gabriele Lamberti è pittore che narra delle vicende contemporanee senza minimamente appiattirsi sulla realtà, trascendendola con gli strumenti offerti dal mito, dalla favola e dall’universo dei simboli. Marco Ara è, come Cascio, artista di matrice astratta. Il suo stile, rigoroso senza tentazioni verso un appiattimento geometrico dell’immagine, in cui traspaiono talvolta elementi figurativi, può apparentarsi alla linea aniconica del Nuovi Nuovi. Karin Andersen, tedesca da anni residente a Bologna, fin dai primi anni Novanta conduce una ricerca in direzione di un linguaggio in bilico tra pittura e fotografia, attento alle tematiche, in quegli anni di voga ed oggi ancora attuali, della ibridazione tra corpo umano e tecnologia. Fabrizio Passarella conduce fin dai primi anni Ottanta il suo lavoro verso un confronto con l’immenso giacimento di immagini e di stereotipi da cui siamo quotidianamente immersi, provenienti sia dall’immaginario della grafica e della moda, che dalla simbologia religiosa. Gaetano Buttaro adopera la tecnologia digitale per dare corpo ad un universo di immagini di simbolica raffinatezza, dove il motivo unificante è il rapporto tra il corpo umano e la dimensione ambientale. Nell’ambito della fotografia digitale si muove anche Roberta Fanti, il cui obiettivo è dare corpo ad immagini di grande raffinatezza simbolica, dove il corpo umano si relaziona con citazioni storiche od elementi del mondo naturale. Alessandro Rivola ha da sempre fatto dell’attrazione per l’immagine il motivo fondante del suo lavoro, in relazione allo stereotipo pop o, nell’ultima fase, alla fotografia ad altissima definizione. Reggio Emilia è un altro centro ben rappresentato in questa manifestazione. Gli artisti della città emiliana, con cui da anni intrattengo un rapporto di feconda collaborazione, si distinguono per il rigore intellettuale e la serietà con cui portano avanti il loro lavoro. Omar Galliani è artista tra i più attivi nel panorama internazionale. Dopo il fortunato esordio, nei primi anni Ottanta, all’interno di correnti come il Magico Primario di Flavio Caroli e l’Anacronismo di Maurizio Calvesi, Galliani ha condotto un percorso rigoroso e coerente, che ne fa il più significativo interprete, in Italia, nell’uso di uno strumento antico ma sempre attuale come il disegno, con cui raffigura immagini di forte intensità emotiva e concettuale. Iler Melioli negli anni Ottanta, in pieno clima neo espressionista, si è distinto per la capacità di proporre un rigoroso minimalismo fatto di strutture agili e svettanti, così come di opere parietali rigorosamente aniconiche. Giordano Montorsi è artista eterodosso ed attento alla sperimentazioni di nuovi linguaggi, pur nella predilezione per una pittura di grande potenza visiva, mediana tra astrazione e figura, dove è prevalente il segno ed il dualismo tra luce ed ombra, visibile ed invisibile. Pietro Mussini è stato tra i pionieri, in Italia, della ricerca tendente al rivelamento delle relazioni tra arte, scienza e tecnologia, e all’indagine sui meccanismi della percezione e del rapporto tra opera ed ambiente. Wal, anch’egli formatosi nella pattuglia dei Nuovi Nuovi, è un giocoliere dell’immagine, ludico e trasgressivo, attento ad evocare la realtà avvalendosi del tramite del gioco e degli archetipi infantili. Da Parma abbiamo l’originale concettualismo pittorico di Antonella Mazzoni che, negli ultimi lavori riprende, fornendoci una originale versione degli stessi, gli scatti fotografici di un altro grande emiliano come il fotografo Luigi Ghirri, mentre Antenore Rovesti reinterpreta, donandogli un’aura diversa, stereotipi mediali e tratti dall’universo della moda e della pubblicità. Il romagnolo Leonardo Pivi adopera prevalentemente, e con grande maestria, una tecnica pre moderna come il mosaico, operando con questo tramite un corto circuito temporale che lo porta a raffigurare con efficacia ed ironia i miti, più o meno effimeri, della comunicazione contemporanea.
Edoardo Di Mauro, ottobre 2012.