Donne possedute ma libere

Le donne Moussey del Ciad tra possessione sacra e liberazione sociale: la nuova mostra condurrà i visitatori nel cuore di una delle pratiche rituali più affascinanti e complesse dell’Africa subsahariana.
Comunicato stampa
Il Museo d’Arte Cinese ed Etnografico di Parma ha in programma una nuova mostra dal titolo “Donne possedute ma libere” dalle 9.00 di martedì 15 luglio a domenica 28 settembre 2025. L’esposizione temporanea propone un viaggio tra una delle più antiche pratiche rituali, che accomuna molteplici popolazioni del Camerun settentrionale e del Ciad.
Quando la sofferenza diventa rinascita
Tra i Moussey del Ciad, la possessione femminile non è solo un fenomeno spirituale, ma una vera e propria rivoluzione sociale. Le donne anziane, liberate dagli obblighi domestici, intraprendono un percorso di trasformazione che le porta a diventare "su fulina" – spiriti incarnati – assumendo un ruolo centrale nella comunità che trascende i confini familiari e del villaggio.
Ogni donna, nella vita precedente, ha vissuto un'esperienza di profonda sofferenza fisica o mentale, interpretata dalla società come segno tangibile dell'interesse di uno spirito protettore. È attraverso sogni rivelatori o manifestazioni naturali – animali, fiori, fenomeni atmosferici – che lo spirito svela alla prescelta la sua nuova identità da accogliere e celebrare.
Un viaggio attraverso oggetti e simboli
La mostra presenta una preziosa collezione di monili, utensili rituali e fotografie d'epoca che testimoniano questa antica tradizione. Collane di perle, braccialetti e cavigliere, asce rituali, campanelli, pipe e cinture, raccontano l'universo simbolico delle donne possedute, insieme ai colori sacri – rosso e bianco, spalmati sul corpo – che dipendono dal genio che le abita.
Un percorso che riporta principalmente alla metà del XX secolo, offrendo uno sguardo autentico su una pratica che pone la donna al centro di una ritualità essenziale e vigorosa, testimonianza di un legame arcaico con il soprannaturale proprio della cultura africana.
L’esposizione è stata sviluppata da padre Antonino Melis, saveriano, linguista e antropologo, che svolge la sua attività tra Ciad e Camerun, una terra di confine: “La mostra - precisa - non è solo occasione di scoperta di manufatti, espressione di un’artigianalità antica, ma chiara manifestazione di come la donna possa porsi al centro di vitali dinamiche sociali e culturali, trasformando il proprio status e le consuetudini di un intero popolo”.
Un patrimonio da preservare
L'esposizione è resa possibile grazie alle grandi collezioni etnografiche iniziate nel 1901 da San Guido Maria Conforti, fondatore della congregazione dei Missionari Saveriani e del Museo Cinese.