Creatività magia e spiritualità dell’arte africana
Un viaggio affascinante tra le tribù africane attraverso la visione di 140 maschere che ne svelano rituali, costumi e capacità di imprigionare gli spiriti nelle loro raffigurazioni che pur non nascendo per essere opere d’Arte lo diventano.
Comunicato stampa
Un viaggio affascinante tra le tribù africane attraverso la visione di 140 maschere che ne svelano rituali, costumi e capacità di imprigionare gli spiriti nelle loro raffigurazioni che pur non nascendo per essere opere d’Arte lo diventano.
“Voi occidentali non potete capire il potere degli spiriti poiché le vostre orecchie sono sorde allo strepitio che proviene dal loro mondo” affermava lo sciamano e maestro africano Malidoma Somè.
La mostra ha anche la finalità di portare all’attenzione del pubblico le influenze sull’Arte occidentale, in particolare agli inizi del XX Secolo, da parte di un’ arte definita “primitiva”, considerata per secoli mero fatto di folklore e semplice testimonianza delle tradizioni del continente dove, non dimentichiamo, è nato l’homo sapiens.
A partire dalla fine dell’ottocento con le esperienze di Paul Gauguin ed Henry Rousseau, il primo con viaggi reali in Martinica ed a Thaiti ed il secondo con escursioni fantastiche nei misteri degli abitanti della giungla, nasce tra le avanguardie un desiderio di ritorno alle origini, al primitivismo delle forme, alla forza dirompente dei colori puri, rifacendosi visibilmente alla scultura, al ritmo ed ai colori africani e ciò si ritrova in artisti Fauve ed in espressionisti tedeschi come Matisse, Derain, Vlamink, Kirchner, Pechstein, Schmidt-Rottluff.
Anche Modigliani e Brancusi sono affascinati dalle fattezze e dalle maschere del continente nero, prima considerate solo semplici feticci e strumenti rituali e propiziatori.
Con il cubismo si penetra nell’aspetto strutturale dell’Arte africana, in particolare nella costruzione dei piani e dei volumi; Picasso, Braque, Gris e Archipencko, già consapevoli delle intuizioni di Cezanne, elevano in tal modo l’arte nera, da mero fatto artigianale, a vera e propria espressione artistica. “Les demoiselles d’Avignon” di Picasso è il prototipo e l’esempio più famoso del contributo africano alla ricerca artistica occidentale.
Tanti maestri dell’arte contemporanea subiscono in qualche modo l’influenza dall’arte africana: pensiamo, tra gli altri, a Léger, Paul Klee, a Ernst, Mirò, Gabo. Citazione a parte merita Henry Moore, capace di penetrare a fondo nella lezione formale dell’arte nera. Più vicine nel tempo ricordiamo le sculture, poetiche e surreali, di Folon, tanto apprezzate da Federico Fellini.
Tanti anonimi scultori, senza saperlo, rivivono nelle loro opere come invisibili protagonisti di un processo culturale che, in definitiva, rappresenta il risultato espressivo di un’etnia, di una collettività, non dell’individuo.
Interventi di Giorgio Agnisola e Giuliana Albano