Beatrice Pediconi / Ennio Tamburi – Velo d’acqua

Informazioni Evento

Luogo
ETWORKS STUDIO
Via dei Marsi 41, Roma, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
13/12/2025

ore 18

Artisti
Beatrice Pediconi, Ennio Tamburi
Curatori
Roberto Lacarbonara
Generi
arte contemporanea, doppia personale

Mostra Velo d’acqua con le opere di Beatrice Pediconi ed Ennio Tamburi a cura di Roberto Lacarbonara, nello spazio espositivo ETworks Studio, via dei Marsi 41, Roma (quartiere San Lorenzo).

Comunicato stampa

Sabato 13 dicembre 2025 alle ore 18:00 inaugura la mostra Velo d’acqua con le opere di Beatrice Pediconi ed Ennio Tamburi a cura di Roberto Lacarbonara, nello spazio espositivo ETworks Studio, via dei Marsi 41, Roma (quartiere San Lorenzo).

Ciò che passa, ciò che scorre nelle opere di Pediconi e di Tamburi ha la minima consistenza, quella dell’acqua, della luce, dell’aria, insomma di cose così, eteree e fragili. Eppure questa esilità di immagini incorporee resiste con tenacia, ha una pelle che si aggrappa alla carta per via di trasparenze, fibra su fibra, adagiandosi come un velo di seta, come vapore, come la rugiada.

L’amicizia che segnò i due artisti è tutt’uno con le intenzioni plastiche: per entrambi la pittura è una forma di discreta aderenza alla realtà, un linguaggio che privilegia l’evocazione alla visione diretta ed esplicita. “La mia direzione – annotava Tamburi nel 2018 – è verso forme geometriche non finite, fluide, con la materia liquida dei colori lasciata libera di correre: io creo degli argini sulla carta, ma mi piace anche che le forme passino comunque, sfaldandosi. C’è in questo, credo, un nuovo senso drammatico che è entrato nella mia vita: in effetti, l’acqua è anche qualcosa che sfugge. Come il tempo”.

Nelle sue opere in mostra, il tempo è un sedimento, scorre nella lenta stratificazione di fasce cromatiche azzurre o magenta, allineate a formare architetture incerte, aeree, leggerissime. Come già in qualche gouache degli anni Sessanta, la resa atmosferica del colore è affidata a velature liquide e luminose, talvolta a qualche segno svirgolato che punteggia lo spazio con ritmiche presenze. Con gli anni, la stesura della tempera sulle sottili carte nepalesi ha conferito all’opera quella fluidità cercata, meditata e calibrata che l’artista rintraccia nell’equilibrio tra i segni e i vuoti, tra l’ordine delle forme e il loro dissolversi.

Questa idea di operare sul limite della sostanza, sullo sfaldarsi dei contorni, delle forme e dei supporti, caratterizza anche la pratica di Pediconi, affidando all’imprevedibile mutabilità dell’acqua il controllo sulla forma, il privilegio dell'ultima parola. La pellicola pittorica, che si addensa sulle carte o sulle tele, proviene dal recupero dei filamenti di emulsione di vecchie polaroid [emulsion lift]; il pigmento è immerso in vasche piene d’acqua e qui raccolto, deposto e trasferito sul supporto: una tecnica che riversa il medium fotografico in quello del disegno, in un processo insieme alchemico e mentale. Dalla casualità di movimenti e galleggiamenti, e dal tentativo di controllare e disporre su di una superficie piana questo esiguo velo pittorico, nascono corpi disincarnati di luce e di colore, memoria dei tonalismi di Pontormo e di Tiziano, evanescenti come petali di fiori e specchi d’acqua di Monet.

“Parliamo di fiori” – il titolo delle tele – declina il verbo al noi, si apre al colloquio, riporta in queste immagini il dialogo ininterrotto con l’amico, con l’artista, soffermando la caducità dell’esistenza – di un fiore, di un vivente – nella sua traccia lieve, residuale, che resta ben impressa in ogni opera.