Bambole giocattoli e sogni
Bambole d’ogni genere, trastulli, giocattoli, marionette. Apparecchi fotografici di pregio, e poi numerose fotografie in bianco e nero, capaci di mostrare lo spaccato di un’epoca, i costumi del capoluogo sabaudo al tempo della Belle Epoque, la passione di una famiglia della borghesia torinese per la montagna e lo sci, le villeggiature.
Comunicato stampa
Bambole d’ogni genere, trastulli, giocattoli, marionette. Apparecchi fotografici di pregio, e poi numerose fotografie in bianco e nero, capaci di mostrare lo spaccato di un’epoca, i costumi del capoluogo sabaudo al tempo della Belle Epoque, la passione di una famiglia della borghesia torinese per la montagna e lo sci, le villeggiature.
La mostra, curata da Roberto Mantovani, nasce nell’ambito di una continua valorizzazione del cospicuo patrimonio conservato nel Centro Documentazione del Museomontagna in cui è pervenuto, grazie alla donazione di Giampiero Levi Capello, l’archivio della famiglia Bonini di cui in mostra si espone una selezione di immagini, stampate dai negativi originali su lastra. L’intero archivio fotografico è inoltre fruibile grazie al progetto di conservazione, riordino e schedatura sostenuto – come la mostra e il volume – dalla COMPAGNIA DI SAN PAOLO.
L’esposizione del MUSEO NAZIONALE DELLA MONTAGNA – visitabile a Torino, al Monte dei Cappuccini, fino al 3 novembre – e il catalogo che l’accompagna, raccontano una storia curiosa: l’epopea di una famiglia di artisti-artigiani, costruttori di bambole, marionette e giocattoli che, a partire dal 1874, quando Gerardo ed Emma Bonini aprirono il loro negozio-laboratorio al n. 34 della vecchia via Roma, attraversa quasi un secolo e mezzo di storia di Torino. Uno scampolo temporale che va dagli anni postunitari, quando il capoluogo sabaudo venne privato del ruolo di prima capitale d’Italia, alla ripresa economica degli anni Novanta dell’Ottocento, con la nascita delle prime importanti officine meccaniche; dagli inizi dell’industria automobilistica alla stagione della moda e delle case di produzione del cinema; dal fervore dei primi anni del XX secolo alla Grande Guerra, agli anni ’20 e ’30 del Novecento, quando la conduzione della ditta Bonini passò saldamente nella mani della seconda generazione della famiglia (i figli Alda, Paolo ed Edmo). Fino al termine dell’attività iniziata dai capostipiti e alla trasformazione del negozio in un Toys Center condotto e gestito da altri proprietari.
Centoquarant’anni di trastulli e bambole, dunque. E che bambole! Oggetti di pregio, dall’anatomia perfetta, con volti in legno o in raffinata ceramica (i modelli di Biscuit), corredi ricamati a mano; burattini capaci di fare la gioia di generazioni di bimbi e la fortuna delle più rinomate compagnie di teatro di animazione dell’epoca. E dall’altra parte una clientela particolare, «fanciullesca e signorile» che annoverava i figli della migliore borghesia cittadina, dell’aristocrazia e della casa regnante.
La consacrazione letteraria di Gerardo Bonini e del suo antro magico avvenne grazie alla penna di Edmondo De Amicis. L’autore di Cuore si era trasferito a Torino nel 1885, dopo aver trascorso due anni a Pinerolo. Durante le sue peregrinazioni cittadine, lo scrittore era capitato per caso nel negozio di via Roma, dove aveva conosciuto il famoso inventore di «bambine inanimate». Era rimasto talmente colpito da ciò che aveva visto, da dedicare alla visita un lungo racconto, Il “Re delle bambole”, comparso nel 1901 nella raccolta Ricordi di infanzia e di scuola, che qualche critico considera una specie di riscrittura disincantata del libro Cuore. Le pagine di De Amicis su Bonini e le bambole del laboratorio di via Roma, tra le migliori del libro, sono una vera rivelazione sulla misteriosa e affascinante attività del famoso giocattolaio torinese. Un artista capace di creare figure anatomiche perfette, «con belle gambe di donna», visini a cui mancava solo la parola, capigliature alla moda, vestitini eleganti. Oggetti talmente perfetti che l’Istituto Ostetrico-Ginecologico della Regia Università, constatata la perfezione delle forme anatomiche di bambole e marionette, non esiterà a ordinare all’azienda una serie di feti artificiali ad uso degli studenti. E il risultato, stando alle certificazioni dell’epoca, risulterà «rispondente in tutto allo scopo dell’insegnamento».
Ma qual era l’orizzonte culturale di quella famiglia di artigiani specializzati, dotati di grande talento artistico e di savoir faire commerciale, nella Torino a cavallo tra Ottocento e Novecento e negli anni successivi? La risposta si può trovare in un intreccio di interessi in cui convergevano la curiosità per il progresso della tecnica, l’ottimismo verso il futuro, l’attenzione ai grandi movimenti culturali del tempo, la passione per il turismo, la fotografia e, non ultima, la montagna.
L’archivio delle lastre impressionate prima da Gerardo Bonini e in seguito dai figli, oltre che dal genero Francesco Antoniotti (il fondo acquisito dal Museo annovera circa 2800 negativi su lastra e pellicola), oltre agli innumerevoli viaggi di lavoro nelle capitali europee mostrano le villeggiature in Valle d’Aosta e la montagna praticata lungo i sentieri, sui ghiacciai e verso le cime nei dintorni di Gressoney, Saint Barthélemy e Rhêmes Notre Dame. Scatti che permettono di osservare e studiare la montagna di un tempo, prima dell’avvento del turismo di massa. Gran parte delle fotografie dell’archivio Bonini sono tuttavia di stampo prettamente alpinistico, e raccontano quella che era diventata una vera e propria “malattia” di famiglia: scalate, gite invernali e primaverili con gli sci, salite su ghiaccio verso quota 4000.
Attivi all’interno della sezione torinese del Club Alpino Italiano e amici dei più noti alpinisti del tempo, Paolo ed Edmo, oltre a collezionare ascensioni, collaboreranno anche all’attività culturale del sodalizio e alle mostre fotografiche in occasione delle più importanti esposizioni del momento. Passione per la montagna, interesse per la fotografia e il lavoro nel negozio di bambole continueranno per decenni, anche dopo il trasferimento del negozio in via Cernaia 2, a pochi passi da piazza Solferino. Dopo la morte di Edmo Bonini, l’ultimo proprietario dell’azienda, il lavoro passerà in mani altrui. Ma sarà un’altra storia. La scomparsa del vecchio magazzino ancora zeppo di bambole, burattini e giocattoli, segnerà la fine di una storia tutta torinese e unica nel suo genere.
Un appuntamento espositivo, ricco di suggestioni, da non mancare al Museomontagna.